Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
I manti di copertura in scandole lignee, oggi piuttosto rari da trovare in territorio Italiano, sono la testimonianza di una tecnica costruttiva antica e un tempo molto diffusa anche nel nostro Paese. Il termine stesso, “scandola”, proviene dal latino: Scandolae-arum. ( f. plur. col.) con il significato di: assicelle, asserelli, schegge, principalmente per coprire i tetti (1). Nell’epoca della Roma antica già si parlava di scandole e da alcune testimonianze scritte di autori quali Vitruvio Pollione e Plinio sappiamo che gli edifici di Roma, per 470 anni prima della guerra di Pirro, erano coperti in scandole e che queste coperture si trovavano anche in Gallia, Portogallo, Spagna, Guascogna, Germania. Ancora oggi in alcune di queste aree europee troviamo tracce diffuse di questa tecnica costruttiva mentre la sua presenza è ancora più cospicua nelle regioni dell’Europa centro settentrionale quali Svezia, Norvegia, Germania, Baviera, Francia, Austria, Svizzera, Carelia, ma anche sulla riva del Bosforo, in Turchia, e in alcune zone dell’ex Unione Sovietica, come la città di Kiew, la regione della Galizia e l’Ucraina. Anche nell’America del nord, in Canada e negli Stati Uniti, sono presenti numerose coperture in scandole dette “shingles” o “shakes”, a seconda della tecnica di taglio utilizzata per ricavarle dal tronco d’albero originario. Negli U.S.A., e in special modo nell’Oakland, il termine “shingle” ha addirittura designato uno specifico stile costruttivo, il “shingle stile”, appunto. In Italia, i tetti coperti da scandole lignee sono ormai piuttosto rari, se non del tutto assenti, e sono stati spesso sostituiti da manti realizzati con elementi in pietra, cotto e, spesso anche in lamiera. E’ ancora possibile trovare alcuni esemplari di simili coperture nelle montagne piemontesi, nell’alta Valle di Susa, nell’alta Valle Anzasca, e nella Val Formazza, in alcune valli lombarde come nell’alta Val San Giacomo, nell’alta Valtellina, nell’alta Val Malenco e, soprattutto nella conca di Livigno. Con frequenza maggiore se ne sopravvivono poi molti in Alto Adige e in alcune zone del Trentino e del Veneto ove, in qualche area, sono ancora in netta prevalenza rispetto ad altri manti di copertura. Nel resto della penisola Italiana le scandole sono invece rarissime e risultano segnalate in singole e specifiche località: in Toscana, nel Grossetano, in Sardegna, nella Barbagia, in Campania, nella penisola Sorrentina e, infine, in Liguria. La presenza di scandole in Liguria si concentra essenzialmente nella provincia di Savona: nell’alta Val Bormida, nel Comune di Sassello e nell’alta Valle dell’Orba. Testimonianze toponomastiche della antica presenza di tetti coperti con scandole si hanno peraltro anche in provincia di Genova: nel comune di Davagna si trova, infatti “Scandolaro” un paese abbandonato e raggiungibile solo a piedi. Proprio la scoperta della presenza in Liguria, di una tecnica costruttiva quasi dimenticata, seppure di tradizione antichissima, ha svegliato la mia curiosità, ai tempi della tesi di laurea. Quali edifici erano coperti in scandole? Come erano costruiti quei tetti? Con quale qualità di legname erano realizzate le piccole tavolette lignee? Con quali accorgimenti tecnici erano poste in opera? Garantivano effettivamente la tenuta all’acqua? Quanto possono durare nel tempo? Sono, infine, riproponibili al giorno d’oggi? Queste e molte altre domande sono all’origine del mio studio, che ancora continua. La mia curiosità ha felicemente incontrato l’interesse scientifico di quello che, nel 1993 era l’Istituto di Tecnologia dell’Architettura dell’Università di Genova e, in particolare modo, del Prof. Gianni V. Galliani e del Prof. Stefano F. Musso che divennero i relatori di una tesi di laurea un po’ particolare. TECNICHE COSTRUTTIVE Le tecniche costruttive, come i materiali e gli accorgimenti adottati nella realizzazione delle coperture in scandole, variano sensibilmente non solo da regione a regione ma anche da una valle all’altra, all’interno dello stesso territorio provinciale. Questo articolo farà quindi essenzialmente riferimento alle coperture in Scandole dell’alta Valle dell’Orba, pur offrendo riferimenti a quanto esiste altrove o a informazioni reperite sulla trattatistica architettonica e sulla manualistica di arte del costruire prevalentemente di ascendenza ottocentesca. Scelta dell’albero e taglio costruzione delle scandole Già in relazione a questo primo aspetto nascono notevoli discordanze, tra le fonti di informazione, gli operatori e i manufatti stessi: mentre nelle regioni alpine il legno più comunemente utilizzata è il larice o con altre essenze resinose, quali il pino o l’abete, in Liguria e in Campania troviamo ancora oggi in prevalenza scandole in legno di castagno. Negli antichi trattati e nei manuali ottocenteschi i tipi di legno comunemente indicati come a datti a ricavare le scandole erano il rovere, la quercia o il faggio mentre in America si usa oggi anche una specifica qualità di cedro, il “Western Red Cedar”. Le scandole, in un passato lontano, erano ottenute a spacco e non a taglio e questo permetteva una loro migliore durata e qualità. Più spesso, soprattutto nel corso degli ultimi due secoli, le scandole sono state ottenute tuttavia anche per segagione. La differenza tra le due tecniche è emblematicamente denunciata dalla lingua inglese che, con la parola shakes indica la scandola ottenuta a spacco mentre il vocabolo shingle rimanda a quella ottenuta per segagione. Prima della diffusione industriale dei chiodi le scandole venivano inoltre fissate alle strutture portanti del tetto tramite perni in legno, chiamati in Liguria Berioli o Cavicchioli, ed erano quindi forate con apposite verine. Struttura portante del manto La struttura su cui si poggia il manto di copertura in scandole varia sensibilmente, da regione a regione, e in relazione alla tipologia dell’edificio ma non risulta in ogni caso vincolante se non per l’inclinazione, in genere piuttosto alta (in Liguria varia dai 36° ai 50°) e per la presenza dei listelli a cui sono ancorate le scandole. Manto di copertura Le scandole, nei tetti a capanna, si presentano come tavolette rettangolari di legno aventi, nell’alta Valle dell’Orba, due dimensioni fisse: la lunghezza, pari a 75 cm., e lo spessore di circa 3÷4 cm. La larghezza degli elementi varia invece in relazione alle dimensioni dell’albero da cui sono ricavate e, in genere, si aggira intorno ai 20-40 cm. Differenti sono infine le misure dello “scandolino”, posto come elemento terminale del manto lungo la linea gronda per assicurare la tenuta dell’acqua lungo questa importante discontinuità della copertura, e a coprire il corso adiacente il colmo. Lo scandolino ha, infatti, una lunghezza inferiore rispetto quelle delle scandole normali, essendo circa di 45/50 cm. Le scandole ricorrenti nelle valli poste a ponente, come in Val Bormida, sono poi ancora differenti e hanno in genere una lunghezza pari a 60 cm, uno spessore di 1 cm e una larghezza assai variabile. In un antico “Statuto di Sassello” risalente al 1730 si legge a questo riguardo che: “…quelli che fanno scandole da vendere o fanno negozio di scandole per rivenderle, da coprir tetti debbono farle o venderle che siano di lunghezza palmi tre, e di grossezza almeno un’oncia e mezza e se saranno meno di tale lunghezza e larghezza incorrirà il venditore in pena…” (2). Differenze ancora maggiori si riscontrano nelle regioni alpine e sono testimoniate anche dai manuali ottocenteschi di arte del costruire. G. Rondelet, nel suo “Trattato Teorico e Pratico dell’Arte di Edificare”, edito nel 1832, indica ad esempio una lunghezza di 12-14 pollici (circa 33-34 cm); Quaremare De Quincy nel suo “Il Dizionario di Architettura” del 1842 indica una lunghezza pari a 32-38 cm e uno spessore di 1 cm mentre Eugene Viollet le Duc nel “Dictionnaire Raisonnè de l’Architecture Francaise du XI au XVI siecle” indica 22 cm di lunghezza e 0,8 cm di spessore. In Germania, poi, G. A. Breyman ne “Il Trattato Generale di Costruzioni Civili” indica lunghezze variabili tra i 20 ai 90 cm e osserva come una minore dimensione garantisca una tenuta migliore all’acqua e come, di converso, le scandole piccole siano più soggette ad essere trasportate dal vento e, in caso di incendio, resistano in modo più svantaggioso rispetto a quelle più grandi. Se le falde hanno invece andamento curvilineo, come nella copertura dell’abside di una chiesa, allora bisogna “aggiustare” le scandole con l’accetta, per dargli una forma trapezoidale. È questo un lavoro totalmente artigianale, eseguito in parte a piè d’opera, in parte sul tetto stesso nel momento del montaggio, lavoro che necessita di una notevole capacità nell’uso degli strumenti da taglio e nel controllo delle geometrie dei singoli elementi in funzione di quella globale desiderata. Tutte le scandole sono in ogni caso generalmente appoggiate ad un tramato di listelli e trattenute in posizione dalla resistenza offerta allo spostamento dai “cavicchioli” ossia dai piccoli perni di legno a sezione originariamente quadra, resi cuneiformi per fissarsi più stabilmente nel foro praticato entro le scandole. Il foro, con un diametro di circa 1 cm, è collocato a circa 10 cm dalla sommità della scandola e leggermente spostato a sinistra, ma molti autori e operatori affermano che ciò è del tutto casuale. Non si sono peraltro rintracciate specifiche spiegazioni che motivino tale pratica consolidata. Molto raramente le scandole erano incatramate e se ciò è avvenuto lo si deve ad una pratica diffusa solo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Le scandole sono usualmente poste in opera su tre strati sovrapposti, come gli abbadini di ardesia, facendo particolare attenzione che ogni giunzione sia coperta dalla scandola sovrapposta. Ciò non crea particolari problemi di sfalsamento ai corsi sovrastanti in quanto le scandole hanno larghezze differenti. Con la siccità, poi, le scandole si ritirano ma quando piove, gonfiandosi, si pressano tra di loro non permettendo all’acqua di filtrare. La tenuta all’acqua del manto così realizzato è inoltre garantita dalla presenza del triplice strato di elementi sovrapposti. Manutenzione tradizionale della copertura Le coperture in scandole nell’alta valle dell’Olba, a detta dei testimoni e degli operatori del luogo, tuttavia, potevano in realtà durare molto tempo (un secolo o più) soprattutto in quanto era loro assicurata una manutenzione continua, consolidata nelle abitudini degli “olbaschi”. Le scandole, dopo circa 30 anni venivano, infatti, girate così che la parte esposta agli agenti atmosferici veniva bucata, fornita di cavicchiolo e montata in alto, al riparo, sottoposta ad altri due strati di scandole. A volte, per prolungare ulteriormente la vita del tetto, le scandole venivano anche ribaltate in senso trasversale, in modo da invertire il lato interno del manto di copertura con il lato esterno. Le scandole eccessivamente deteriorate, inoltre, erano puntualmente sostituite con nuovi elementi. Gustav Adolf Breyman collega inoltre la durata media di una copertura col variare dell’essenza lignea utilizzata, individuando un limite superiore pari a 50 anni, per le scandole in rovere, e uno inferiore di 10-20 per quelle in abete, mentre Viollet Le Duc è più ottimista e indica addirittura “parecchi secoli” come orizzonte di sopravvivenza di un simile manto. ELEMENTI COMPLEMENTARI Il colmo Gli elmenti che tradizionalmente costituivano il colmo erano spesso ricavati da vecchi tronchi di castagno, già vuoti all’interno e ulteriormente scavati tramite il “cavou”, uno strumento con manico a zappa e lama concava di cui non si è trovato il corrispettivo nome italiano. Era difficile trovare, per i tetti delle grandi cascine, tronchi tanto lunghi da coprire tutto il colmo. A tutto ciò si sopperiva allora congiungendo, in due differenti modi, i pezzi di tronco scavato; si potevano sovrapporre i vari pezzi come fossero coppi o porre una giuntura sopra il congiungimento dei pezzi, e questa, un tempo in legno o cuoio, è stata spesso sostituita dalla lamiera. A volte il colmo era realizzato inchiodando due tavole poste perpendicolarmente tra loro a cavallo delle falde convergenti e ponendo attenzione a non esporre la giuntura tra di esse in corrispondenza della direzione dei venti. Grondaie Le grondaie erano in genere utilizzate solo sul lato dell’ingresso dell’abitazione. Erano costituite da semi tronchi scavati di Ontano, fissate ai cantelli tramite cicogne lignee sporgevano di un metro dal bordo inferiore della falda e scaricavano direttamente sul terreno. Comignolo Il camino, ove presente, era sempre posto in adiacenza ad un muro portante. Sul tetto veniva posta una grossa “ciappa” bucata posta come fosse una scandola di differenti dimensioni, quindi sovrapposta e sottoposta alle scandole inferiori e superiori. Cavalletti Al di sopra del manto di copertura venivano posti anche delle sorte di cavalletti, detti “crociere”, costituiti da tavole o da travetti lignei, affinché il vento non sollevasse le scandole. Tavola paravento Questa tavola, la cui funzione è di evitare che il vento scalzi le scandole di bordo della falda, era fissata lungo le linee di bordo del tetto a capanna ed era inchiodata all’ultimo cantello dell’orditura minuta del tetto, quello più esterno, costituendo l’unico elemento inchiodato dalla copertura. DEGRADO E RAGIONI PER UN RECUPERO Le coperture in scandole presenti nell’alta valle dell’Orba sono oggi in gran parte degradate a causa della vetustà degli elementi stessi che hanno subito l’azione nociva di funghi, muffe, agenti atmosferici. Tutto ciò a causa dell’assenza totale di manutenzione legata all’abbandono o ad un mutato modo di vivere. In passato, nell’ambito di un’economia silvo-pastorale, tali coperture rispondevano in modo assai positivo ai requisiti tecnici ed economici loro richiesti. La materia prima era facilmente reperibile in loco; la lavorazione, il montaggio e la manutenzione erano agevolmente eseguite dagli abitanti stessi delle cascine; la tenuta all’acqua era garantita in modo apprezzabile e la presenza del pagliaio nel sottotetto offriva spesso una buona coibenza termica alla copertura così realizzata. Il legno, inoltre, garantiva una buona resistenza agli effetti del gelo e degli shock termici, cosicché copertura poteva durare anche più di cent’anni. Se si vogliono tuttavia ancora mantenere le poche coperture in scandole superstiti è evidente la necessità di adeguarle alle nuove esigenze abitative e, a questo proposito, la prima domanda da porsi è se ciò abbia effettivamente senso. A sostegno di tale ipotesi vi sono innanzi tutto ragioni culturali e di tutela della memoria storica dei luoghi e delle comunità cui tali tracce di antiche tecniche costruttive appartengono: solo 100 anni fa, ogni casa della valle dell’Orba, fuori dei paesi, e un’alta percentuale di quelle comprese nei centri abitati, erano coperte in scandole. Questi manti sono poi progressivamente scomparsi prima dai paesi e poi dalle cascine, almeno dove la popolazione continuava ad abitare e adeguava continuamente gli edifici agli standard di vita moderni, senza preoccuparsi di mantenere i caratteri originali. Oggi, nell’alta valle dell’Orba, sono in ogni caso rimaste poco più di 30 costruzioni ancora dotate di coperture in scandole, quasi tutte poste al di fuori dei paesi, abbandonate, raggiungibili solo tramite sentieri o strade sterrate o solo recentemente asfaltate. Vi sono poi innegabili ragioni di carattere ambientale che spingono al mantenimento dei manti di copertura lignei poiché si inseriscono naturalmente nei paesaggi silvestri e nei contesti territoriali agricoli. Vi sono inoltre anche molte ragioni di natura tecnologica poiché il tetto coperto in scandole, come nel passato, bene si adatta ad un clima semimontano, dal momento che il legno resiste al gelo e agli shock termici meglio di altri materiali. In Trentino Alto Adige, nel Veneto, in Friuli Venezia Giulia si sono infine invocate anche ragioni di tipo turistico per la conservazione di una tradizione tecnica tanto antica che è ormai vissuta come ulteriore attrazione di quei luoghi. È però chiaro, che se si vogliono mantenere le coperture in scandole bisogna adeguarle alle nuove esigenze abitative e all’attuale modo di vivere risolvendo qualche problema di natura tecnica. Totalmente a sfavore di tale ipotesi appare, in primo luogo, giocare il costo delle scandole che risulta più che doppio, almeno in Liguria, rispetto a quello delle tegole marsigliesi in cotto. Una strada da perseguire potrebbe allora essere quella di “imporre” la conservazione, per lo meno per i casi di maggiore pregio, a fronte di un finanziamento anche parziale dei lavori di manutenzione o di incentivi di varia natura da parte dello Stato o degli Enti Locali interessati INTERVENTI SU COPERTURE IN SCANDOLE INDICAZIONI TECNICHE Problemi tecnologici: esigenze, requisiti e prestazioni Oggi, al sistema tetto, viene richiesto di soddisfare una serie di requisiti, di possedere cioè caratteristiche di funzionamento tali da assicurare determinate esigenze di benessere, fruibilità, sicurezza, etc. Tali requisiti fanno riferimento ad alcune norme specifiche che non è il caso di riportare semplicitamente in questa sede anche perché generalmente note. Nella cultura e nel modo di vivere del secolo scorso della valle dell’Orba, al tetto si richiedevano, infatti caratteristiche prestazionaliessenziali e certo minori dlele attuali: il riparo dalla pioggia, la manutenibilità, la durabilità, e l’immediato reperimento del materiale. D’altro lato, il tetto tradizionale coperto con scandole non risponde ad altri requisiti quali: la resistenza all’ingresso di animali fastidiosi o dannosi, come ghiri o topi o la resistenza al fuoco; l’isolamento termico; la tenuta all’aria; la stabilità morfologica degli elementi a fronte di variazioni igroscopiche o dell’azione del vento; la resistenza all’attacco di agenti biologici quali i funghi; la resistenza ad agenti aggressivi, in particolar modo all’umidità che porta, nel tempo all’imputridire delle scandole. Per tutte queste ragioni, occorre trovare soluzioni sostenibili e tecnicamente efficaci, affinché la tensione alla conservazione non sia annullata dalla scarsa efficienza dei manti slavati. Sottotetto non abitabile L’intervento di recupero di un tetto a scandole, qualora non si voglia rendere abitabile il sottotetto, è sicuramente il più economico e quello che rispetta la concezione tecnologica preesistente. Basterebbe porre uno strato termoisolante nel piano orizzontale del solaio senza modificare null’altro. La ventilazione del sottotetto sarebbe garantita dagli interstizi fra le scandole e dalla circolazione dell’aria interna al sottotetto stesso. Si otterrebbe in questo modo una copertura ventilata con elemento termoisolante sul piano orizzontale, essendo questo il sistema di copertura che, dal punto di vista termoigrometrico, fornisce le migliori garanzie di buon funzionamento. Per contro tale soluzione non permette l’utilizzo del sottotetto come locale abitabile, e per le cascine olbasche, significa rinunciare ad un volume notevole. Recupero con sottotetto abitabile Rendere abitabile i vani sottoposti ad una copertura tradizionale in scandole significa guadagnare una discreta superficie abitabile ma comporta la risoluzione di notevoli problemi tecnico-costruttivi oltre che un considerevole aumento dei costi dei lavori rispetto alla soluzione precedente. Per potere rendere abitabile il sottotetto è necessario anzitutto porre uno strato termoisolante, di tenuta all’aria e all’acqua tra il manto di copertura e l’ambiente abitabile. Considerando fondamentale per la conservazione del manto di copertura una ventilazione del sottomanto stesso, si propongono due possibili soluzioni: 1) Copertura isolata ventilata con intercapedine Si prevede la presenza di una intercapedine ventilata a spessore costante lungo le falde, disposta tra lo strato isolante e l’elemento di tenuta, ossia le scandole. Sopra l’orditura portante del tetto è posto un assito in legno, capace di adattarsi alle eventuali irregolarità della struttura. Su tale assito viene disposto lo strato di tenuta all’aria. Al tavolato sono fissati poi, in corrispondenza degli elementi portanti del tetto, dei distanziatori, che si dispongono seguendo la linea di massima pendenza della falda. I distanziatori devono essere più alti, di almeno 10 cm, dello spessore dello strato di materiale termoisolante disposto tra loro, e ciò per permettere la formazione della intercapedine di ventilazione. Sui distanziatori sono poi fissati i listelli e, su questi, le scandole. Lo strato di tenuta all’acqua può essere disposto sopra al materiale termoisolante e superare l’ostacolo costituito dai distanziatori ripiegando sotto ad essi. Perchè l’aria circoli all’interno dello strato di ventilazione è necessario disporre delle bocchette di entrata e di uscita dell’aria relativamente disposte in corrispondenza della gronda e del colmo del tetto. Per evitare l’intromissione di piccoli animali nell’intercapedine di ventilazione si può porre una griglia in corrispondenza delle bocchette per l’aria. 2) Copertura isolata non ventilata ma con forte microventilazione In questo caso si può ottenere un sottotetto abitabile anche quando non vi sia lo spazio per realizzare un’intercapedine ventilata. Deve tuttavia essere garantita la microventilazione della superficie inferiore delle scandole e della parte superiore dell’elemento isolante. La soluzione ricalca quella precedente ove ai distanziatori siano sostituiti dei listelli più alti di pochi centimetri dello spessore dell’isolante. Di conseguenza alla intercapedine alta almeno 10 cm della soluzione precedente viene a sostituirsi uno strato libero per la microventilazione con altezza di 2-3 cm. Elementi complementari Colmo e displuvi sono due dei principali punti critici della copertura in scandole tradizionale. L’uso di tronchi cavi o di tavole inchiodate non assicura una buona tenuta dell’acqua e l’evoluzione che tali componenti hanno avuto ne è testimonianza. A Calizzano e nell’alta val Bormida il cotto ha preso il sopravvento sul legno per quanto riguarda i colmi di coperture in scandole. In tal caso l’ultimo corso di scandole verso il colmo viene sostituito con tegole alla marsigliese ed a queste, mediante l’uso di calce, sono fissati gli elementi in cotto del colmo stesso. Anche l’uso della lamiera garantisce la tenuta all’acqua benché spesso deturpi esteticamente la copertura. La lamiera in rame può inserirsi tuttavia meglio di altre sul manto in scandole. Tale lamiera infatti non arruginisce e, una volta ossidata, si inserisce cromaticamente ai toni grigi del manto. La lamiera può comunque essere coperta dal tradizionale tronco cavo o dalle tavole inchiodate. Ciò permette di risolvere il problema della tenuta di acqua del colmo, mantenendo i caratteri tradizionali della copertura. NOTE (1) E.Villauri, Vocabolario Latino-Italiano, ed. Taurineses, Torino, 1870 (2) Statuti di Sassello del 1730, Cap. 21, citati da D. Moreno, S. De Maestri, “Casa rurale e cultura materiale nella colonizzazione dell’appennino Genovese tra XVI e XVII secolo”, in “I paesaggi rurali europei”, atti del convegno internazionale indetto a Perugia nel maggio 1973 dalla “Conference europeenne pour l’etude du paysage rural”. Perugia 1975. L’autore Marta Gnone, laureata in Architettura con una tesi intitolata “Coperture in scandole di legno nell’alta valle dell’Orba e in Liguria: materiali, tecniche costruttive e ipotesi di recupero”, ha conseguito il diploma di specialista in Restauro dei Monumenti presso la Facoltà di Architettura di Genova, con la quale collabora in programmi di ricerca. Ha redatto, con alcuni colleghi, il progetto di restauro del castello di Rapallo (GE), di cui ha curato l’esecuzione come Direttore dei Lavori e svolge attività professionale nel campo del restauro, del rilievo e della catalogazione dei beni architettonici. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento