5 anni di grandi infrastrutture: calano gli appalti pubblici

E’ quanto mostra una ricerca curata dal Cresme (Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio) presentata lo scorso 16 luglio a Roma dai Presidenti di Unioncamere, Andrea Mondello, e dell’Ance, Paolo Buzzetti durante l’incontro “5 anni di grandi infrastrutture 2002 – 2006. Per un nuovo mercato dei lavori pubblici”.
Dal 2001 al 2004, gli investimenti nelle nuove opere pubbliche sono cresciuti in valori costanti del 27,3%, mentre il PIL è aumentato solo del 3,1%. Ma, a partire dalla fine del 2004, per le opere pubbliche del nostro Paese è iniziata una fase nuova, che disegna uno scenario difficile con il quale confrontarsi. Soprattutto nei prossimi anni.
La capacità realizzativa si è ridotta del 5,2% nel 2005 rispetto al 2004 e dell’1,2% nel 2006. Sulla base delle previsioni, nel 2007 potrebbe rimanere stabile (+0,1%).
Preoccupa soprattutto quanto potrà accadere nel prossimo triennio: secondo la ricerca, a valori costanti, la spesa per gli investimenti in opere pubbliche si ridurrà del 2,5% nel 2008 e del 3,3% nel 2009.
Una conferma di questa difficoltà si ha guardando all’andamento delle gare di appalto. Negli ultimi 25 mesi (dal maggio 2005 al maggio 2007), il valore delle opere pubbliche appaltate è stato pari a 63,4 miliardi di euro, contro i 78,4 dei 25 mesi precedenti, con una contrazione del 19%.
La frenata dei bandi di gara è frutto di varie cause:
– la ripresa del debito pubblico nella seconda metà del 2004 e nel 2005;
– l’ambiziosità della legge obiettivo, progetto ‘mal calibrato’ nel rapporto tra risorse necessarie e disponibilità e la crescita dei costi e dei programmi . Al 30 settembre 2006 il totale delle opere della Legge Obiettivo ammontava a una previsione di spesa superiore ai 271 miliardi di euro ( ma erano già 267 miliardi al 30 settembre 2005), per un complesso di 235 opere. Al 21 Dicembre 2001, quando il programma era partito, la spesa per la realizzazione del programma delle opere strategiche era di 126 miliardi di euro;
– il persistente conflitto tra i diversi livelli istituzionali (stato, regioni e comunità locali);
– l’inefficienza mostrata dalla macchina burocratica, che costituisce un altro importante motivo di rallentamento (scadono le conferenze di servizi, i progetti diventano obsoleti, si dilatano i costi).
Tale contrazione colpisce tutte le fasce di importo, ma avrà effetti drammatici per le piccole e medie imprese, in quanto dalla fine degli ani Novanta ad oggi la tendenza è stata quella di un forte accorpamento dei “tagli” a vantaggio di poche imprese. Tra il 1999 e il 2005, l’importo dei bandi di gara per i lavori di grandi dimensioni, di importo superiore a 83,3 milioni, è passato da 807 milioni a poco meno di 12.000 (+1.359%), mentre i tassi di crescita delle altre tipologie dimensionali oscillano tra il 5,9% dei lavori di importo inferiore a 5,3 milioni e l’88% della fascia tra i 16,7 e 83,3 milioni. La fase espansiva dei grandi lavori è confermata anche dai dati relativi alle aggiudicazioni che, tra il 2002 e il 2006, mostrano un valore passato da 2,2 a oltre 13 miliardi (+508%), a fronte di un tasso di crescita medio del 10% delle fasce inferiori.
Questo cambiamento strutturale della domanda produrrà effetti rilevanti sul futuro della composizione dell’offerta in quanto incide sui meccanismi di conferma delle qualificazioni SOA. In particolare è messa in discussione la modalità di accesso al mercato delle opere di maggiore interesse di molte medie imprese.
In sintesi il mercato delle opere pubbliche infrastrutturali è ora di fronte ad uno scenario difficile con il quale confrontarsi, caratterizzato da tre aspetti:
– il mantenimento dei livelli di spesa e la realizzazione del programma della legge obiettivo (su cui si sta discutendo);
– il ‘buco’ negli appalti, che evidenzia nel complesso dei lavori messi in gara un 20% di risorse in meno nei prossimi anni (2008-2009), con effetti sulle imprese e sull’occupazione (ca, 80/100.000 occupati in meno se si mantenesse la dimensione della frenata);
– un intero sistema imprenditoriale che opera nel mercato delle infrastrutture, pari a circa 1.650 imprese su un totale di 1.700 con qualificazione soprasoglia OG3 o OG4, che rischiano di uscire nei prossimi due anni dal mercato, o vedranno ridotta la loro posizione non essendo in grado di mantenere la qualificazione SOA per la classe dimensionale dell’opera posseduta per le caratteristiche dei processi di selezione e di affidamento di questo specifico mercato.
Lo studio del CRESME mette in luce l’alto rischio di espulsione di 1650 imprese qualificate per partecipare a gare di appalto per la realizzazione di infrastrutture per importi superiori ai 5,3 milioni (soglia UE) su un totale di 1.700 qualificazioni.
Ance ed Unioncamere intendono richiamare l’attenzione sulla necessità di impedire un collasso del sistema imprenditoriale italiano delle costruzioni, ricreando le condizioni per un mercato dei lavori pubblici realmente competitivo e in grado di valorizzare il tessuto imprenditoriale esistente, fatto soprattutto di piccole e medie imprese professionalizzate e in grado di costruire quelle opere di cui il Paese ha bisogno e che in questi anni non si è riusciti a realizzare.
Secondo il Presidente dell’ANCE, Paolo Buzzetti è necessario sostenere il sistema delle piccole e medie imprese per realizzare finalmente le opere che servono al Paese: “Il comparto dei trasporti e della mobilità rappresenta il segmento più importante non solo quantitativamente del mercato delle infrastrutture del nostro Paese. Qui, infatti, opera il tessuto che fa della tecnologia e della organizzazione i suoi fattori di punta. E’ attraverso queste imprese, di tutte le dimensioni, che il sistema Italia nel settore delle costruzioni in passato è riuscito ad essere protagonista anche sui maggiori mercati esteri. La regola lo sappiamo tutti è che solo se sei forte nel tuo Paese puoi essere competitivo nel mondo. La situazione che oggi si è creata di puntare per la realizzazione di queste opere esclusivamente sul modello del General contractor risulta perdente: non dà risultati, costa tanto al Paese, disarticola il sistema dell’offerta; indebolisce le stesse grandi imprese, paralizzate dall’incertezza contrattuale. Bisogna cambiare strada.”
“Bisogna credere nelle potenzialità delle nostre imprese, salvaguardare il patrimonio costruito in decenni di attività fatto di competenza, capacità finanziarie e tecnologiche, mezzi e organizzazione. Come? Innanzitutto rimodulando le risorse in modo più equilibrato attraverso soluzioni che garantiscano una ricaduta delle risorse verso le diverse dimensioni di impresa e fasce di mercato. In secondo luogo, incentivando la costituzione di consorzi stabili e le fusioni per far crescere il tessuto imprenditoriale, così da creare massa critica e mettendolo in condizione di rispondere alle diverse esigenze della domanda sia italiana che estera. E soprattutto perseguendo una politica industriale per la media impresa che punti a salvaguardare e a potenziare fortemente i contenuti tecnologici e ingegneristici che rischiano un diffuso e pericolosissimo processo di smantellamento, proprio a causa dell’abbinarsi della riduzione degli investimenti e dell’attività e degli attuali meccanismi di qualificazione. Solo se si terrà conto con realismo di ciò si potrà affrontare con efficacia la questione del gap infrastrutturale che colpisce duramente tutti i settori economici del Paese e incide negativamente sulla qualità della vita dei cittadini.”

5 anni di grandi infrastrutture 2002 – 2006. Per un nuovo mercato dei lavori pubblici
Roma, 16 Luglio 2007

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