Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
La Città Nuova di Tsukuba, ad una settantina di chilometri da Tokyo, è un insediamento di epoca post-bellica sorto in una zona boschiva del paesaggio agrario della Prefettura di Ibaraki, per raccogliere (come attesta lo stesso architetto Isozaki nella sua relazione di progetto per il Centro Civico) “diversi organismi universitari e di ricerca del Governo che erano dispersi per Tokyo”, concentrandoli più agevolmente in un sito unico allo scopo di risolvere due gravi problemi organizzativi della capitale nipponica: il decentramento dei servizi terziari specializzati nell’istruzione superiore, e più in generale la congestione urbanistica della metropoli. Come tante Nuove Città costruite intorno a Tokyo nel primo ventennio dopo il secondo conflitto bellico mondiale, Tsukuba (insieme con Tama, Konoku, Chiba e Kaihin), fondata istituzionalmente nel 1963 ma complessivamente pianificata sei anni dopo dall’anziano urbanista nipponico Dohi, viene iniziata nel 1971 ed in pratica conclusa entro un ventennio: è stata destinata a Città della Scienza per assolvere a tale sua esclusiva ed importantissima qualificazione pedagogica (costituendo in questo senso “un fenomeno unico in Giappone”), ma non ha comunque trascurato di doversi configurare anche come una cittadina normalmente funzionante ed attrezzata per tutte le altre necessità vitali dei suoi abitanti. Tale caratteristica è quanto la “rende diversa dalle altre nuove città di grandi dimensioni costruite (…) dopo la guerra”, ma alla fine è stato proprio il poderoso Centro Civico isozakiano a fornirla di un più riferito luogo rappresentativo per significatività architettonica e dignità urbana. Comprendendo varie attività di servizio generali e dettagliate (centro di informazioni e per conferenze, sala teatrale, ristoranti e negozi, banca, albergo) raccolte intorno ad una piazza ovoidale infossata, costituisce un autentico perno della città universitaria, ponendosi tra l’altro proprio nel mezzo tra le Facoltà didattiche e gli Istituti di Ricerca, e le restanti aree cittadine. Il critico giapponese Yatsuka ritiene che questo Centro Civico costituisce anche un “cardine” nel lavoro progettuale stesso di Isozaki, perché indica “la fine del suo periodo manierista” e “l’inizio della fase post-modernista”. In realtà nell’ampio repertorio dell’architettura isozakiana, Tsukuba comporta una autentica svolta evolutiva, che (come ho già osservato qualche anno fa)ha segnato una complessa deviazione nei confronti della sua precedente espressione di “qualità minimalistica”, adesso rivolta ad una “opposta complicatezza articolatoria, quasi di accatastamento poliforme”, evidenziate da tutta una serie riconoscibile ed esplicita di aspetti compositivi e formali mai così perseguiti in precedenza, che annunciano certe caratteristiche di post-modernità internazionalistica piuttosto vistose (come in Hollein o Portzamparc) e di genere fortemente eterogeneo nonché perfino già decostruttivo. In questa nuova ecletticità non manca uno specifico accenno allo storicismo, che nell’insieme del Centro Civico tsukubano viene riposto nella piazza pubblica scoperta, disegnata con forma michelangiolesca del Campidoglio a Roma, tuttavia leggermente intaccata da una continua elaborazione segnica ( fratture costruttive e materiali grezzi sistemati quasi con casualità) che contrasta decisamente con le parti geometriche e con i volumi nitidi delle altre architetture isozakiane che la circondano. Questo particolare spazio inoltre è denso di richiami allusivi e perfino mitologici, tanto direttamente riferiti alla cultura giapponese quanto completamente estranei ad essa: innanzitutto il suo impianto complessivo esprime una forte opposizione tra l’impeccabilità della esecuzione edilizia perfezionistica e la disgregazione naturale dei materiali, fatalmente collegata alla rovina imprevedibile delle cose (minaccia sempre in agguato sul territorio nipponico, prevalentemente colpito dagli sconvolgimenti tellurici) o al contrario riconoscibile negli aspetti di continua organizzazione sistemativa degli elementi esistenti in natura, riproposti come essi si presentano o trasformati i creazioni architettoniche dai mezzi tecnologici. E poi risalta l’immagine quasi metafisica (se non fosse invece per la sua realistica risoluzione plastica) dell’albero in metallo che Isozaki ha fatto erigere al culmine dell’erta scalinata che dal fondo della piazza conduce in superficie al livello della pavimentazione cittadina, scarno e patito e con il tronco avvolto da un vello aureo come quello di Giasoen e degli Argonauti, collocato presso una vasca tonda di fiori essenzializzati, con steli e petali anch’essi di ferro: una rappresentazione del tutto basata sull’artificio tecnico, che si oppone alle rocce lisce o sfaldate da cui vengono modellati i gradini regolari della vicina scala che, ritornando nel piazzale, nella sua discesa incontra e segue uno schematizzato ruscello di tipica tradizione giardinistica giapponese, con rive a sbalzi gradinati ed immancabile ponticello di attraversamento, però non più fatto dimassi naturali bensì da una piatta lastra di pietra doppiamente fratturata. I restanti edifici del Centro Civico si elevano imponenti e compatti come una muraglia solida e turrita di memoria antica (i palazzi fortificati d’epoca shogunale) quasi a difesa dal contesto cittadino circostante. Questo particolare complesso urbanistico si propone proprio quale cittadella dell’attualità architettonica, sollevata su grossi basamenti a scarpata (emergenti quasi da un fossato medievale) che la sottraggono alle strade di traffico veloce da cui ovunque è ortogonalmente assediata, e sopra alle quali, con piattaforme rialzatee appositi ponti scavalcnati, si svolgono i percorsi viari (pedonali e ciclabili) indipendenti e riparati da interferenze disturbanti e nocive. Dalla poderosa torre dell’Albergo Daichi, coronata con una sorta di tetto a cappello, si passa al cubo d’ingresso della zona commerciale e degli uffici, le cui porte di entrata accennano ad una iniziante deformazione figurale, percepibile nella disposizione inclinata e storta degli stipiti, che progressivamente si coglie sempre più distintamente nel contrasto già accennato tra modulo costruttivo quadrato, liscio e tecnologico, e pietre grezze sbozzate, ovunque incontrabili nella fossa della piazza. La stessa pavimentazione che racchiude il perimetro scavato del piazzale è disegnata con due trame disparate (per linee e colori) tra loro disassate e ruotate: una derivata dalla vecchia maglia urbana esistente, e l’altra riproposta sulla definizione nuova dell’assetto cittadino generata dalla intrusione del complesso pubblico isozakiano. Ricoperto di opaco materiale lucido dai sordi riflessi metallici, il Centro Civico di Isozaki si riconosce dunque per la sua imponente volumetria stereometrica e compatta, e quindi per i dettagli del suo spazio infossato di utenza collettiva. Una scenografia urbana che si aggiunge alle architetture più consistenti della città di Tsukuba, già egregiamente caratterizzata da altre numerose opere di prestigio edilizio, tra cui si evidenziano le costruzioni universitarie di Maki, il Padiglione con la Torre della Campana nel Parco di Kikutake, l’Autorimessa centrale di Ito, il Palazzo di Educazione Teatrale e Fisica (con auditorio e palestra integrate) di Tanoguchi, ed anche un esemplare straniero, l’Edificio Kasumi, realizzato in periferia da Graves; che si aggiungono tutte alle famose esecuzioni rimaste dalla Expo del 1985,a loro volta debitamente risistemate per contenre i sostanziali servizi pubblici della cultura (Museo e Biblioteca). Foto 1: Corrado Gavinelli a Tsukuba nel 1996, davanti al metallico albero del Vello d’Oro sullo sfondo dell’Albergo Daichi nel Centro Civico di Isozaki Foto 2: Il Centro Civico a Tsukuba nel contesto urbano, isolato dal traffico cittadino tramite sopraelevate e di percorrimento diversificato (foto di C. Gavinelli) Foto 3: L’atrio di ingresso alla parte commerciale (che collega la piazza infossata con la superficie urbana) comincia ad accennare ad una vaga decostruzione morfologica: il cubo si storce e le sue aperture si inclinano (foto di C. Gavinelli) Foto 4: La formula decostruttivistica decisamente espressa da Isozaki nel Centro Internazionle per Conferenze a Kitayushu (1987-90) (foto di C. Gavinelli) Foto 5: La porta di entrata alla zona coperta del Centro Civico deforma la griglia regolare su cui è dimensionata la odulazione del volume dell’edificio, seguendo le linee trasverse dei tracciati topografici urbani segnati sulla piastrellatura della pavimetnazione pedonale (foto di C. Gavinelli) Foto 6: Nella discesa alla piazza, la perfezione geometrica dell’artificio architettonico cede alla spontaneità casuale e grezza della pietra naturale (foto di C. Gavinelli) Foto 7: Il torrente del piazzale con le sue sponde poligonali, in una sorta di organicità tecnologizzata (foto di C. Gavinelli) Foto 8: Anche la inflessibile ortogonalità compositiva dell’Auditorio si corrompe in una deformazione grafica sul soffitto del suo atrio (foto di C. Gavinelli) Consiglia questo progetto ai tuoi amici Commenta questo progetto