Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Intervenire su edifici abbandonati e in rovina nei centri storici italiani significa riformulare nuove origini e significati di corpi edilizi che da secoli costituiscono i tratti urbani, architettonici e sociali delle nostre città e comunità. La chiesa di S. Francesco dopo la demolizione della parete sovrastante il portico delle tombe malatestiane (©Comune di Fano, Archivio Fotografico, Biblioteca Federiciana) L’ampio dibattito culturale, architettonico e progettuale oggi si articola fra la totale conservazione dell’esistente nel suo stato di fatto, la completa trasformazione o una progettualità di completamento, come scelte di valorizzazione attiva, spesso legate a nuove funzionalità dell’organismo edilizio antico. Il dibattito è aperto a diversi punti di vista e metodologie, di seguito l’esempio di riprogettare come approccio di completamento rispettoso, efficace e funzionale, nell’incontro fra antico e contemporaneo. «Di quale chiesa parli? San Michele? San Paterniano? San Cristoforo? Sant’Antonio? San Pietro?» «No. San Francesco» «Qual è?» «Quella senza tetto». L’intervento sull’ex Chiesa di San Francesco a Fano Sorge nel centro storico di Fano (PU) l’antica chiesa di San Francesco come parte dell’omonimo complesso costituito da un monastero e il suo edificio religioso. Viene annoverata, senza alcun dubbio, come uno degli organismi più interessanti della città, sia dal punto di vista architettonico sia per il patrimonio storico e artistico che rappresenta. Nel corso dei secoli, è stata oggetto di tante trasformazioni che l’hanno resa un prezioso palinsesto della storia della città, diventando memoria storica, artistica e testimonianza culturale. Per tutto il ‘900 fino ad oggi l’ex Chiesa di S. Francesco è rimasta senza copertura. La sua mancanza è diventata il suo carattere distintivo. Ha perso la dignità di luogo per rimanere pura immagine. Non viene ricordata per ciò che è, ma solo per come si presenta. La chiesa è uno sguardo statico, un’immagine che, per quanto emozionante e ammaliante, chiusa tra le sue mura e il suo cancello, rimane lontana e inaccessibile, incastonata tra gli edifici. Si trova al centro esatto della città storica, tra la piazza principale e il comune. È come una cartolina, un’immagine immutabile vista dalla stessa angolatura: l’ingresso, lo scorcio delle colonne, l’abside in fondo. Abside della chiesa di San Francesco dal portico di ingresso ©Francesca Urbinati A 200 anni dalla nascita di John Ruskin, padre del non-restauro, la domanda che ci poniamo è: “vogliamo abbandonare la chiesa al tempo, con la consapevolezza che tra vent’anni avremo quasi completamente perso un palinsesto fondamentale dell’architettura neoclassica della nostra regione, oppure vogliamo tradire la sua forma attuale, imponendo con forza decisioni di contingenza e senza un’idea progettuale alle spalle, per reinserirla in un nuovo ciclo vitale?” L’intero complesso francescano viene edificato intorno al 1330. La chiesa, unica testimonianza materiale pervenuta della struttura medievale originaria, ha una morfologia a navata unica, con un vano di circa 56 ml x17 ml, che termina con presbiterio e abside semicircolare. L’aula è scandita da una serie di semicolonne binate corinzie di ordine gigante, simmetricamente distribuite a delimitare gli spazi degli altari minori e delle nicchie interposte. Al di sopra delle colonne, su tutto il perimetro della chiesa, correva un’imponente trabeazione. Oggi ne rimangono solo alcune parti, sulla parete di sinistra rispetto all’ingresso, sull’abside e sul presbiterio. Alla chiesa si accede dal portico antistante, costruito per volere della famiglia Malatesta, che decise di collocarvi le proprie tombe. Interno della chiesa di San Francesco a seguito dei lavori di rinnovo ottocenteschi (©Comune di Fano, Archivio Fotografico, Biblioteca Federiciana) e situazione attuale (©Francesca Urbinati) a confronto Rilievo fotografico dei fronti interni dell’ex chiesa di San Francesco, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati Tra il 1700 e il 1800, su progetto degli architetti A. Innocenzi e G. Ferroni, la chiesa viene sopraelevata di circa 9 metri, rispetto al profilo originario, e le pareti medievali decorticate per ospitare la nuova foderatura neoclassica collaborante al sostegno della grande volta. Con l’Unità d’Italia, la proprietà dell’intero immobile passa dalla provincia dello Stato della Chiesa al nuovo regno, poiché l’ordine religioso viene soppresso ed il bene ecclesiastico confiscato. Nello stesso periodo infatti, si dà una diversa destinazione al convento, prima sede di Reggimento di Fanteria e in seguito sede del Comune di Fano, e alla chiesa, prima adibita a magazzino e successivamente abbandonata. Nel corso del ‘900, mentre il convento mantiene una destinazione fissa, la chiesa vede susseguirsi diverse proposte di riutilizzo o demolizione, parziale o totale, a causa delle precarie condizioni statiche. Non si arriva però ad alcuna soluzione definitiva. Ancora oggi la ex chiesa si trova al centro di una discussione sulla sua destinazione d’uso. Questo manufatto è perciò un esempio significativo di rovina che permette di ripercorrere lo sviluppo del dibattito sulla disciplina del restauro dalla seconda metà dell’800 a oggi. Attraverso interviste a sette professionisti condotte nell’inverno del 2018, si delinea un quadro aggiornato e più ampio di questo dibattito disciplinare: le testimonianze confermano la condivisa opinione sulla necessità di un intervento tempestivo per salvaguardare la storia e i materiali di un fondamentale palinsesto marchigiano. Bisogna trovare una soluzione compatibile, distinguibile, adeguata per preservare l’ex chiesa di San Francesco, per riappropriarsi di un edificio che, oltre all’importanza che riveste per motivi storico-culturali, potrà essere, un vivo fulcro della città. Il progetto proposto quindi è volto al recupero come massima permanenza dell’esistente con una rifunzionalizzazione che verte a un misurato intervento che sia distintivo e compatibile. La soluzione adottata ha lo scopo di esaltare la preesistenza, utilizzando un linguaggio rigoroso ed essenziale, affinché la connessione tra i frammenti contemporanei, medievali e neoclassici, offra un inedito livello di lettura del tempio nel suo divenire. Questo con un intervento che completi il corpo costruito con una nuova copertura e il progetto della pavimentazione, oltre la complementare riconversione di spazi dell’ex convento a supporto delle nuove potenzialità del luogo. Veduta della chiesa di San Francesco dopo i lavori di sopraelevazione (©Comune di Fano, Archivio Fotografico, Biblioteca Federiciana) e situazione attuale (©Francesca Urbinati) a confronto La nuova ipotesi d’intervento si misura con l’immagine della chiesa prima della demolizione della sopraelevazione ottocentesca, in cui lo sviluppo longitudinale della fabbrica spiccava in modo preponderante nel panorama cittadino, ed era un punto di riferimento che rimarcava l’importanza dell’ordine francescano in città. Oggi l’ordine non esiste più, e la chiesa si è abbassata al livello della città storica. Il progetto di una nuova copertura vuole quindi ridefinire il ruolo della chiesa nel panorama urbano cittadino, marcandone il carattere di eccezionalità, oltre a essere soluzione di protezione per le superfici materiche della chiesa dall’azione delle intemperie. Una visione che si rispecchia in un interno in cui si vuole creare un giardino in pietra aperto al pubblico al centro della città storica. Una piazza coperta, all’occorrenza apribile, che possa essere utilizzata per convegni, concerti, spettacoli, mostre o installazioni temporanee, o anche solo come luogo di ritrovo. L’obiettivo è fare in modo che la comunità possa realmente vivere il luogo in tutti i mesi dell’anno. Progetto di recupero – prospetti e sezioni della nuova copertura, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati La copertura sarà un involucro composto da acciaio e superfici trasparenti. In particolare è pensata una struttura in acciaio a capriate di tipo polonceau, che permetta di coprire le ampie luci della chiesa. Queste si appoggiano direttamente sulla muratura esistente (già consolidata a livello strutturale con i restauri del 2009): lungo la navata le capriate saranno in corrispondenza delle nicchie, mentre nel presbiterio direttamente sulle colonne libere. La struttura non interferirà con la superficie di interesse archeologico, infatti, fatta eccezione per i punti di appoggio, collocati in posizione retrostante rispetto al filo della parete interna, in modo da essere mascherati, non sono visibili i punti di fissaggio della copertura così da apparire fluttuante sulla muratura esistente. Questo per non renderla protagonista della scena, ma visione eterea di una realtà che non c’è più. Le capriate, memento della copertura originaria medievale, si distinguono dall’antico grazie all’uso di materiali e forme contemporanee, rispondendo perciò al concetto di distinguibilità tra parti antiche e nuove. In questo modo si permette a chi visita la chiesa di leggere e capire il monumento storico, riconoscendone le successive integrazioni. La capriata polonceau enfatizza la verticalità e la profondità in altezza della nuova copertura, conferendole dinamicità e slancio verso l’alto. Viene superato quel senso di orizzontalità tipico dalle capriate tradizionali composte da catena-saette-monaco. Data la differenza di altezza tra i muri della chiesa, i fronti su via San Francesco e vicolo Pandolfo III Malatesta vengono ricomposti con delle superfici vetrate, che poggiano sulla struttura delle capriate grazie a una tensostruttura con ragni e tiranti metallici (necessari per controventare l’intero sistema). La parete vetrata del fronte sul portico viene percepita dall’esterno come un profilo di puro vetro, che nelle giornate di sole e chiarore quasi scompare. L’angolo tra il portico e il vicolo diventa quindi un nuovo benvenuto: la chiesa non è più nascosta, accoglie la comunità già dall’esterno, perdendo l’invisibilità che ora la contraddistingue. Progetto di recupero – pianta del piano terra del complesso di San Francesco, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati Progetto di recupero – pianta della copertura e schemi di progetto, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati Progetto di recupero – dettaglio tecnologico della nuova copertura, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati Il ritmo delle capriate di copertura scandisce e ritma la vista e lo spazio, rimarca la distinzione tra navata, presbiterio e abside. Una doppia capriata differenzia infatti la zona della platea-navata da quella del palcoscenico-presbiterio. Si ha una impressione diversa dei due spazi: il presbiterio infatti, come nella sua configurazione originaria, continua a essere il luogo riservato a una ristretta cerchia di persone, una volta era il clero officiante, oggi sono gli attori/musicisti. La navata rimane invece la parte più accessibile e collettiva. Volendo mantenere la possibilità di avere uno spazio all’occorrenza aperto, la copertura è apribile. I pannelli sono divisi longitudinalmente in due parti distinte: gli infissi interni scorrono su quelli esterni che rimangono fissi, in modo da proteggere costantemente pareti e stucchi, grazie a un sistema di guide e carrucole. I pannelli sono composti da lastre in policarbonato semitrasparente rivestite esternamente da una lamiera perforata metallica. Quest’ultima aiuta a riflettere e sfumare l’incidenza della luce solare, enfatizzando così una sensazione di leggerezza della copertura. Quando i pannelli sono chiusi, la copertura è come se fosse una linea d’ombra che lascia solo filtrare la luce solare; aprendoli invece si può ancora ammirare la volta celeste. La scansione degli elementi strutturali in alto viene ripresa anche a terra: la pavimentazione segue sia il ritmo delle capriate di copertura sia la configurazione degli altari. Il selciato a strisce orizzontali modula il percorso dentro la chiesa, caratterizzato da una alternanza cromatica e materica. Vengono realizzate gettate di quarzo di diversa sfumatura che riprendono il ritmo degli elementi degli altari e delle lesene. In corrispondenza degli ingressi, principale e secondario, dell’imposta delle capriate, del cambio di quota tra navata e presbiterio, e nell’abside, la scansione viene interrotta da quel prato che anche oggi tanto affascina la comunità e che delimita gli spazi del presbiterio e i diversi settori della platea. Il progetto si riappropria infine anche dell’ex sagrestia della chiesa, oggi sede degli uffici del protocollo del Comune di Fano. Qui viene progettato uno spazio adibito ad accoglienza e punto informazione, con ingresso sia dalla chiesa, riaprendo la vecchia porta della sagrestia, murata durante i lavori di adeguamento del municipio, sia dal palazzo comunale stesso, mantenendo la conformazione attuale. Vengono perciò realizzati spazi di servizio e un piccolo museo. Quest’ultimo ripercorre la storia della chiesa e conserva tutti i frammenti murari caduti e catalogati durante gli interventi di conservazione. Potrebbe anche accogliere alcuni quadri originariamente conservati a San Francesco, oggi abbandonati nei depositi della Pinacoteca del Palazzo Malatestiano. Foto-inserimento: la chiesa di San Francesco, un’eccezionalità all’interno della maglia storica, a cura dell’autrice ©Francesca Urbinati Foto-inserimento: abside della chiesa dal portico delle tombe con l’inserimento della nuova copertura. La comunità si riappropria degli spazi della chiesa non solo durante occasioni o eventi particolari, ma anche e soprattutto nella quotidianità della vita cittadina. A cura dell’autrice ©Francesca Urbinati San Francesco è invisibile a un occhio disattento. La si trova solo andandola a cercare. È inattesa, nascosta tra le sue mura, ed è in-attesa di qualcuno o qualcosa che la faccia tornare a vivere. Approfondimento realizzato in collaborazione con Architettura>Energia, centro ricerche del Dipartimento Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara. CREDITI Tesi di Laurea Magistrale in Architettura – Progettazione Architettonica Titolo: Ex Chiesa di San Francesco a Fano: una rovina in-attesa Studentessa: Francesca Urbinati Relatrice: Prof. Chiara Dezzi Bardeschi Co-relatrice: Prof. Valentina Radi Politecnico di Milano Anno Accademico 2017-2018 Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento