Acqua Oro Blu. Siccità e desertificazione, migrazioni e guerre

L’acqua è importante per la vita e cruciale per l’economia. Un bene che sta diventando sempre più scarso a causa della siccità e desertificazione del territorio che ne esaurisce le riserve. Preziosa per metà della popolazione mondiale a cui non basta. Causa di guerre e migrazioni.  E fonte di business per i privati. Oro blu, appunto.

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Oro blu: acqua, tra rischio climatico e siccità

L’acqua è un bene sempre più scarso e limitato, prezioso come l’oro e blu come il mare. Ne sono ben consapevoli aziende e compagnie che se ne stanno accaparrando le scorte a suon di denari. Il corpo umano è fatto per il 70% di acqua. Il mondo è fatto di acqua: circa il 71 % del Pianeta è costituito da oceani e il restante da continenti e terre. Ma, di queste, solo il 2,5% sono acque dolci (quasi il 70% delle quali è intrappolata nei ghiacciai). E, a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, le riserve d’acqua in tutto il mondo diminuiscono. E numerose sono le guerre e conflitti che originano dal controllo e approvvigionamento dell’acqua, le stesse guerre che causano l’emissione di gas serra accelerando i cambiamenti climatici e le siccità. Oltretutto, le popolazioni che ne soffrono maggiormente sono quelle meno responsabili degli sprechi e dell’inquinamento, i Paesi del Terzo Mondo. È il paradosso dell’acqua.

L’acqua è il bene più prezioso che abbiamo: non è possibile la vita sulla Terra senza acqua. Ne erano ben consapevoli gli antichi Romani che già a partire da oltre duemila anni fa (312 a.C.), avevano costruito una fitta rete di acquedotti: centinaia di chilometri per alimentare fontane, terme, case e condurre l’acqua dalla campagna fino a Roma, definita Regina Aquarum per la ricchezza delle fonti. E lo sapevano altrettanto bene i popoli invasori che, nell’assediare una città per giorni avevano come tattica quella di tagliare le vie di accesso e i rifornimenti d’acqua, così da indurre alla rapida resa il nemico. Sempre Roma, nel medioevo conobbe un periodo di dominio e, tra le varie devastazioni c’erano appunto i suoi acquedotti che, nel Rinascimento, grazie a una maestosa opera di ristrutturazione, tornarono nuovamente a splendere. E lo sa bene Israele che per, indebolire il popolo palestinese, distrugge tra l’altro, le sue infrastrutture idriche. Vediamo di analizzare le criticità dello stato dell’arte, le tendenze e le soluzioni.

L’acqua è un bene scarso in tante Regioni del Mondo, dall’Africa al Sud America all’Asia. Ma anche altre zone del Pianeta, Europa inclusa, a causa dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale, stanno andando incontro al fenomeno della desertificazione del territorio, vivendo sempre più frequenti periodi di grave siccità. Persino alcune aree del nostro Paese, in particolare nel Sud Italia, soffrono la scarsità d’acqua. E notevoli sono le perdite della rete idrica, intorno al 42%.

L’acqua è al centro della cosiddetta blue economy, l’economia che abbraccia tutte le attività economiche legate agli oceani, ai mari e alle coste, generando occupazione, crescita economica e innovazione. Settori chiave come la pesca, l’acquacoltura, il turismo costiero, i trasporti marittimi e l’energia rinnovabile marina. Secondo i dati Eurostat 2021, la Blue Economy in UE impiega oltre 3,6 milioni di persone, con un fatturato complessivo di quasi 624 miliardi di euro. In Italia, l’economia del mare vale 161 miliardi di euro (il 9,1% dell’economia nazionale) ma è il settore più a rischio a causa della crisi climatica. 

E, mentre il consumo d’acqua dei Paesi industrializzati è in costante crescita, viceversa circa 3 miliardi di persone non hanno accesso a fonti d’acqua sicure e sufficienti e la situazione è destinata a peggiorare. Oltre all’aumento della richiesta, nell’ultimo secolo si sono verificati cambiamenti anche nel ciclo idrologico, con una riduzione delle precipitazioni medie e un aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore.

Oro blu: la crisi dell’acqua

Usiamo la natura perché è preziosa, ma la perdiamo perché è gratuita” ha affermato Pavan Sukhdev, ambientalista ed economista indiano, dal 2018 presidente del WWF. Occorre dare un valore alla natura, valore all’acqua. Oggi, nei Paesi industrializzati, ad esclusione di qualche rara eccezione, non si ha la percezione dell’importanza dell’acqua: costa poco e esce abbondante dal rubinetto di casa nostra. Eppure in molte parti del mondo è una risorsa assai scarsa e preziosa, oro blu, appunto.

Stando ai dati della FAO, attualmente 2,3 miliardi di persone vivono in paesi soggetti a stress idrico; di queste, più di 733 milioni di persone, pari a circa il 10 percento della popolazione mondiale, vive in paesi ad alto e critico rischio di stress idrico. E i cambiamenti climatici stanno esercitando una pressione senza precedenti sulle preziose risorse idriche mondiali.

Un canale di irrigazione attraversa un'area altrimenti arida in Kenya.
Un canale di irrigazione attraversa un’area altrimenti arida in Kenya. La siccità è particolarmente grave nell’Africa subsahariana, dove il 95 percento degli agricoltori non ha irrigazione

La siccità sta colpendo pesantemente anche diversi paesi dell’Africa Australe. Anche la Namibia è allo stremo: manca acqua e cibo per 68 milioni di persone. Notizia di questi giorni riportata da IlFattoQuotidiano, il governo ha deciso l’abbattimento di 723 animali selvatici (ippopotami, elefanti, gnu, zebre, antilopi, impala, bufali) per sfamare la popolazione. Un’azione estrema ma “necessaria e in linea con il nostro mandato costituzionale, in cui le risorse naturali sono usate per il bene della popolazione”, le parole del ministro in carica nel Paese. Le Nazioni Unite avevano avvertito della grave insicurezza alimentare che stava vivendo quasi la metà della popolazione – circa 1,4 milioni di namibiani – con la produzione cerealicola crollata del 53% e i livelli d’acqua delle dighe ridotti del 70% rispetto all’anno scorso.

La fioritura di alghe fitoplancton Noctiluca che ha tinto d’arancio le acqua del Mar del Nord (giugno 2023).
La fioritura di alghe fitoplancton Noctiluca che ha tinto d’arancio le acqua del Mar del Nord (giugno 2023).

Il surriscaldamento degli oceani, che hanno assorbito gran parte del calore dell’effetto serra trattenuto dall’atmosfera, sta diventando sempre più preoccupante. Fenomeni come la fioritura delle alghe in tutto il mondo non sono più eventi eccezionali. Alghe spesso tossiche che colorano le acque e causano la morte di pesci e uccelli marini. Ne abbiamo visto gli effetti quest’estate nel Mediterraneo sulla costa adriatica con il mare impraticabile e la moria dei granchi blu. A giugno 2023 la fioritura di fitoplancton Noctiluca ha tinto d’arancio le acqua del Mar del Nord e l’anno precedente aveva invaso il Mar Nero. L’acqua si scalda e cambiano gli equilibri dell’ecosistema marino: compaiono specie tropicali e aliene, altre muoiono e scompaiono, si moltiplicano alghe e batteri.

L’acqua è alla base della maggior parte degli aspetti delle economie e dello sviluppo sostenibile. La stima del valore dell’acqua è implicita nella maggior parte delle decisioni di gestione delle risorse idriche. Pertanto, la valutazione dell’acqua si collega, ad esempio, ai quadri sui diritti umani, all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e ai suoi cinque pilastri (persone, prosperità, pianeta, pace e giustizia, partenariato), alla gestione integrata delle risorse idriche e non solo.

La riduzione delle riserve d’acqua

Le riserve d’acqua si riducono in tutto il Globo, per via dell’inquinamento antropico prodotto dalle attività umane (emissione di gas serra, deforestazione, consumo di suolo) attraverso due meccanismi interconnessi e concatenati:

  1. innescando i cambiamenti climatici che provocano l’innalzamento delle temperature (surriscaldamento globale), riduzione delle piogge e siccità, scioglimento dei ghiacciai, prosciugamento di bacini e corsi d’acqua.
  2. minando la qualità dell’acqua che, a causa dei rifiuti di plastica (microplastiche e nanoplastiche) e tessili, dei PFAS, dei fertilizzanti usati in agricoltura, degli allevamenti intensivi, delle acque reflue di stabilimenti industriali e civili depurate male, non è più utilizzabile;

A questo si aggiungono consumi eccessivi e sprechi dovuti al malcostume ma anche al cattivo stato di salute della rete idrica: si stima che in Italia le perdite idriche siano in media del 42,4% (l’acqua dispersa soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno – dati ISTAT).

Il lago di Ciad sta scomparendo
Il lago di Ciad sta scomparendo (fonte: CNR)

Tutte le riserve idriche sono in affanno, dai ghiacciai montani ai corsi d’acqua e bacini superficiali (fiumi, laghi, mari) alle falde sotterranee: si riducono di massa e volume, arrivando in alcuni casi, a scomparire. Esempi drammatici sono il Lago di Ciad e il Lago d’Aral. Il lago di Ciad, uno dei grandi sistemi idrografici del continente africano compreso tra le frontiere di Ciad, Camerun, Nigeria e Niger, non avendo emissari importanti fa affidamento esclusivamente sulle piogge per ricaricarsi. La trentennale siccità ha favorito una massiccia evaporazione delle acque. Secondo l’Onu, negli ultimi decenni il bacino lacustre si è ridotto del 90%. Il suo progressivo inaridimento rischia di provocare una catastrofe ambientale e umana di enormi dimensioni: dalle sue riserve d’acqua dipende la sopravvivenza di oltre trenta milioni di persone.

La pesante riduzione del lago d’Aral che in quarant’anni è ormai quasi scomparso (NASA)
La pesante riduzione del lago d’Aral che in quarant’anni è ormai quasi scomparso (NASA)

Il lago d’Aral, posto alla frontiera tra Uzbekistan e Kazakistan, una volta il quarto lago più grande al mondo, è sulla via dell’estinzione: la sua superficie si è ridotta del 75% dal 1960 ad oggi. In piena guerra fredda, il regime sovietico ne deviò gli affluenti per irrigare i campi di cotone tanto che, ad oggi, può contare quasi solo sulle precipitazioni. È uno dei più grandi disastri ecologici della storia: al suo posto distese di terreno sterile e salino.

E anche i ghiacciai di tutto il mondo soffrono per l’innalzamento delle temperature. L’ultima campagna di LegambienteCarovana dei ghiacciai 2024”, in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, ha certificato l’estinzione del Ghiacciaio di Flua sul Monte Rosa, la seconda vetta delle Alpi italiane per altitudine. E non va meglio per il Ghiacciaio Mer De Glace sul Monte Bianco, tetto d’Europa e Re delle Alpi: in 174 anni il ghiacciaio ha perso 300 metri di spessore. Le alte temperature non risparmiano nessuno, dalla Marmolada in Trentino, all’Himalaya, all’Ecuador. E questo è un disastro senza precedenti e irreversibile, i ghiacciai sono grandi riserve d’acqua che alimentano fiumi laghi e mari e riforniscono le falde acquifere sotterranee, senza di loro la carenza d’acqua sarà sempre più endemica.

La scarsità d’acqua è una delle sfide di sviluppo più urgenti del nostro tempo. Stando ai dati delle Nazioni Unite, oggi 2,4 miliardi di persone vivono in paesi con carenza idrica ed entro il 2030 il 47% della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico. Una questione di stabilità mondiale, dichiara la Cia. La competizione per questa preziosa risorsa è in aumento, poiché la scarsità d’acqua diventa sempre più causa di conflitto. Le risorse di acqua dolce pro capite sono diminuite del 20 percento negli ultimi due decenni, mentre la disponibilità e la qualità dell’acqua si stanno deteriorando rapidamente a causa di decenni di uso improprio, mancanza di gestione coordinata, eccessiva estrazione di acqua sotterranea, inquinamento e cambiamenti climatici.

In Italia nel 2023 si è ridotta del 18% la disponibilità di acqua rispetto alla media annua calcolata dal 1951. Nel nostro Paese la disponibilità della risorsa idrica per l’anno 2023 è stimata in 112,4 miliardi di metri, in netta ripresa rispetto al 2022, anno dove ha raggiunto la soglia minima di 67 miliardi di metri cubi, minimo storico dal 1951 e corrispondente a circa il 50% della disponibilità annua media (137,8 miliardi di metri cubi), calcolata sul periodo 1951–2023.

Consumo d’acqua globale

Il consumo globale di acqua dolce è aumentato di sei volte negli ultimi 100 anni e continua a crescere a un tasso di circa l’1% all’anno dagli anni ‘80 (AQUASTAT). L’agricoltura è responsabile del 72% dei prelievi idrici globali, che vengono utilizzati principalmente per l’irrigazione, ma includono anche l’acqua utilizzata per il bestiame e l’acquacoltura. Questo rapporto può raggiungere il 95% in alcuni paesi in via di sviluppo (FAO). L’industria (compresa la generazione di elettricità ed energia) è responsabile del 19%, mentre i comuni lo sono del restante 12%.

Prelievi globali di acqua 1900-2010 (fonte: Acquastat FAO)
Prelievi globali di acqua 1900-2010 (fonte: Acquastat FAO)

Le stime sulle tendenze future dell’acqua sono incerte, ma prevedono che la domanda globale di acqua aumenterà tra il 30 e 50% da qui al 2050. Sebbene l’entità esatta dell’effettivo aumento dell’uso globale dell’acqua rimanga incerta, la maggior parte degli autori concorda sul fatto che l’uso dell’acqua per l’agricoltura dovrà affrontare una crescente competizione e che la maggior parte della crescita dell’uso dell’acqua sarà guidata dall’aumento della domanda da parte dell’industria e dei settori energetici, ma anche dagli usi municipali e domestici, principalmente in funzione dello sviluppo industriale e del miglioramento della copertura dei servizi idrici e igienico-sanitari nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti (OCSE, 2012; Burek et al., 2016; IEA, 2016).

La mappa globale della carenza idrica o Water Gap
La mappa globale della carenza idrica o Water Gap

Il racconto di come l’uso umano dell’acqua influisca sul ciclo idrico globale può essere rinvenuto nella World Water Map, sviluppata da National Geographic. La mappa racconta come il consumo di acqua sia aumentato vertiginosamente negli ultimi anni, tanto che la domanda di risorsa idrica è superiore a quella disponibile e alla sua capacità di rinnovo. Ogni anno estraiamo 4.000 chilometri cubi di acqua: otto volte di più rispetto a un secolo fa. Il risultato è quello che viene chiamato Water Gap, la carenza idrica. La visualizzazione territoriale del dato mostra dove questo divario è maggiore, con l’obiettivo di poter restituire la consapevolezza di dove è urgente agire.

La World Water Map si basa su un modello globale sviluppato dall’Università di Utrecht, che calcola il quantitativo di acque superficiali e sotterranee disponibili in una determinata area a partire da qualsiasi dato disponibile su meteo, suolo e vegetazione e analizza i fattori che determinano la domanda di acqua: in primis l’uso domestico.

Agricoltura: la grande divoratrice d’acqua

La necessità di produrre più cibo man mano che la popolazione mondiale aumenta e l’urbanizzazione accelera, intensifica la competizione tra diversi settori economici, tutti dipendenti dall’acqua. L’agricoltura, che rappresenta circa tre quarti dei prelievi globali di acqua dolce (72%), il più alto di tutti i settori, detiene le soluzioni a questa crisi globale.

L'agricoltura, che necessità di grandi quantitativi d'acqua è in grave sofferenza
L’agricoltura, che necessità di grandi quantitativi d’acqua è in grave sofferenza

Investimenti e incentivi mirati nelle pratiche di gestione idrica innovative ed efficienti sono perciò fondamentali per affrontare la scarsità d’acqua: nuove tecnologie per l’irrigazione e lo stoccaggio, il miglioramento del trattamento e del riutilizzo delle acque reflue, l’applicazione dei principi dell’economia circolare e le soluzioni basate sugli ecosistemi.

Secondo un nuovo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), negli ultimi 30 anni la produzione agricola e zootecnica ha subito perdite per un valore stimato di 3.800 miliardi di dollari a causa di eventi calamitosi, pari a una perdita media di 123 miliardi di dollari all’anno o al 5% del prodotto interno lordo (PIL) agricolo mondiale. Gli eventi calamitosi in tutto il mondo sono aumentati dai 100 all’anno negli anni ‘70 ai circa 400 all’anno nelle ultime 2 decadi: aumentano non solo in termini di frequenza, intensità e complessità, ma è previsto anche un peggioramento dei loro effetti, in quanto gli eventi calamitosi legati al cambiamento climatico amplificano le vulnerabilità sociali e ambientali.

Il rapporto sottolinea che le calamità possono produrre effetti a cascata su più sistemi e settori: tra i fattori alla base del rischio di catastrofi troviamo il cambiamento climatico, la povertà, le disuguaglianze, la crescita demografica, le emergenze sanitarie causate dalle pandemie, pratiche come l’uso e la gestione non sostenibile del territorio, i conflitti armati e il degrado ambientale.

La sete tecnologica: Big Tech e AI

Tecnologia digitale e Intelligenza Artificiale sono grandi consumatori d’acqua. Lo Studio del centro di ricerca Riverside dell’Università della California, pubblicato su Nature, ha calcolato che nel 2022 le principali società tecnologiche come Google, Microsoft e Meta hanno prelevato oltre 2 miliardi di metri cubi di acqua dolce: più del doppio della Danimarca in un anno. E prevede che entro il 2027 la domanda di AI generativa potrebbe far triplicare i consumi, portando ad un prelievo tra 4,2 e 6,6 miliardi di metri cubi di acqua l’anno.

Esempio di utilizzo dell’acqua nei data center
Esempio di utilizzo dell’acqua nei data center: acqua in loco (on-site) per il raffreddamento del server e utilizzo dell’acqua fuori sede (off-site) per la generazione di elettricità (fonte: Ren et al., 2023).

Nel 2022, Microsoft e Google hanno registrato un incremento nel consumo d’acqua, rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 34% e del 22%. Shaolei Ren, professore associato di ingegneria elettrica e informatica presso l’Università della California, Riverside, e coautore del documento, ha precisato che “I centri di elaborazione dati sono molto assetati e utilizzano un’enorme quantità di acqua sia per il raffreddamento in loco che per la generazione di elettricità fuori sede“.

Ma veniamo ai consumi dei singoli colossi tecnologici. Microsoft, nel suo ultimo rapporto sull’ambiente, ha ammesso di aver utilizzato molta più acqua nel 2022 rispetto al 2021: l’aumento è stato attribuito alla sua ricerca proprio sull’intelligenza artificiale. Per quanto riguarda Google, nel suo ultimo rapporto ambientale, ha dichiarato che nel 2022 “il consumo totale di acqua nei nostri centri dati e uffici è stato di 25,4 miliardi di litri, l’equivalente di quanto serve per irrigare 37 campi da golf all’anno, in media, nel sud-ovest degli Stati Uniti“.

Cambiamenti climatici & riscaldamento globale

A livello globale le azioni per arginare questa smisurata sete planetaria devono andare di pari passo con la lotta ai cambiamenti climatici. Mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C, rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi nel 2015, eviterebbe il dilagare degli eventi climatici estremi come alluvioni, siccità, incendi e carestie devastanti.

Purtroppo la direzione non è quella giusta, il Pianeta si sta surriscaldando a ritmi preoccupanti. Ormai ci siamo, l’organizzazione metereologica mondiale (WMO) lancia l’allarme: nel 2023 il riscaldamento globale è arrivato a 1,45 gradi, mai così vicini al limite. E in alcune regioni del mondo quel limite è già oltrepassato. O in alcuni mesi dell’anno (febbraio 2024 ha stabilito un nuovo record: + 1,77°C rispetto alla media preindustriale). Per un anno intero, secondo i dati dell’osservatorio climatico dell’UE Copernicus, lo ha superato: 1.56°C sopra la media preindustriale.

Warming stripes: le strisce del riscaldamento globale, anni 1850-2023 (fonte).
Warming stripes: le strisce del riscaldamento globale, anni 1850-2023 (fonte #ShowYourStripes).

Il noto climatologo inglese Ed Hawkins, ha graficizzato le variazioni delle temperature negli ultimi 173 anni e, per agevolarne la comprensione, si è ispirato al codice a barre: sono così nate le “warming stripes”, letteralmente strisce del riscaldamento. Appare evidente a colpo d’occhio come, solo a partire dagli anni 80 sono comparse le prime temperature sopra la media e, negli ultimi dieci anni si sono intensificate stabilmente.

L’Europa, in particolare quella meridionale, sta andando incontro a quella che dagli esperti viene definita come tropicalizzazione climatica. Il clima mediterraneo si sta avvicinando all’equatore. Preoccupa anche il riscaldamento anomalo degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai. Urge invertire la rotta al più presto. A partire dalle emissioni globali di CO2, che anziché stabilizzarsi, stanno ancora salendo: da 34,7 miliardi di tonnellate del 2015 alle 36,8 del 2022. Purtroppo, le recenti guerre in Ucraina e Palestina a cui l’Europa partecipa attivamente, e l’uso ancora predominante dei combustibili fossili, vanno nella direzione opposta.

Non importa dove vivi, le conseguenze della desertificazione e della siccità ti riguardano. A livello globale, il 23 percento della terra non è più produttivo. Il 75 percento è stato trasformato dal suo stato naturale, principalmente per l’agricoltura. Questa trasformazione nell’uso del suolo sta avvenendo a un ritmo più veloce che in qualsiasi altro momento della storia umana, e ha accelerato negli ultimi 50 anni.

Degrado del suolo, siccità e desertificazione

Siccità, degrado del suolo e desertificazione sono problemi ambientali correlati, che possono determinare situazioni emergenziali con impatti severi su economia, ambiente, agricoltura. Il “trend” climatico degli ultimi anni mostra un ritmo e un’intensità crescente dei fenomeni siccitosi, anche in ambito del Mediterraneo e nel nostro stesso Paese. Il degrado del suolo e del territorio è un fenomeno complesso causato da molteplici fattori che limitano o inibiscono le funzioni produttive, regolative e fruitive nonché i servizi ecosistemici che un suolo naturale è in grado di offrire.

Degrado del suolo, siccità e desertificazione

Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), fino al 40% del territorio del pianeta è degradato, colpendo direttamente metà della popolazione mondiale e minacciando circa la metà del PIL globale (44 trilioni di dollari). Ogni secondo, l’equivalente di quattro campi da calcio di terra sana si degrada: un totale di 100 milioni di ettari ogni anno. Il numero e la durata dei periodi di siccità sono aumentati del 29% dal 2000: senza un’azione urgente, entro il 2050 la siccità potrebbe colpire oltre tre quarti della popolazione mondiale. Non va meglio in Italia. Secondo le ultime stime, quasi un quinto del territorio nazionale (il 17,4%, dati ISPRA) è degradato e a rischio desertificazione.

Mappa globale della siccità

La crisi idrica globale è stata individuata in 21 hotspots, zone della Terra tra cui l’Italia, 21 punti critici dove la scarsità d’acqua è endemica. E’ quanto emerge dalla prima mappa globale della siccità, realizzata dall’Università olandese di Utrecht con il finanziamento della National Geographic Society e pubblicata sulla rivista Environmental Research Letters.

Mappa globale della siccità: i 21 hotspots di scarsità idrica identificati
I 21 hotspots di scarsità idrica identificati in base al divario idrico del periodo 2010-2019 (fonte: Leijnse et al., 2024)

Dal Giappone alla California, India, Cina, Messico, Perù e Cile. L’Europa è in una posizione delicata, con Spagna, Italia e Grecia tra i Paesi maggiormente esposti ai cambiamenti climatici.

Acqueduct: mappa del rischio idrico nel mondo

Il World Resources Institute – WRI – ha creato Acqueduct, una mappa del rischio idrico nel mondo. Sono 25 i Paesi del mondo con stress idrico estremamente elevato, un quarto della popolazione globale. E l’Italia centro-sud è posta a livello di rischio idrico estremamente elevato.

Siccità e rischio climatico in Italia

I dati del report SNPA “Il clima in Italia nel 2023” consentono di caratterizzare il clima del Paese e la sua evoluzione, dalla scala nazionale a quella locale. Per il decimo anno consecutivo le temperature sono in aumento: il 2023 record per le temperature minime con +1,20 °C in media. Temperature record di 48,2 °C registrate il 24 luglio a Jerzu e Lotzorai, nella Sardegna sud-orientale, massimo assoluto mai registrato in Sardegna, inferiore di 0,6 °C al record europeo di 48,8 °C registrato a Siracusa l’11 agosto 2021. Anche la temperatura superficiale dei mari italiani nel 2023 aumenta di +0,9 °C rispetto alla media climatologica 1991-2020.

Mappa del rischio climatico nelle città italiane

Sul fronte precipitazioni, dopo il minimo storico toccato nel 2022 (-22%), nel 2023 è finalmente tornata la pioggia con valori quasi nella media (-4%). Ciononostante, l’Italia risulta ancora in condizioni di siccità e severità idrica, avendo una disponibilità di risorsa idrica inferiore del 16% rispetto al valore medio 1991-2020. Il report ricorda le precipitazioni eccezionali in Emilia-Romagna e Toscana, dagli effetti disastrosi, con esondazioni che hanno interessato importanti aree commerciali e molte zone residenziali e causato 8 vittime e quelle particolarmente scarse in Sicilia e parte della Calabria, emblematiche di un’estremizzazione del clima mediterraneo.

Dalla siccità alle alluvioni, dalle grandinate agli allagamenti. E’ l’immagine di un Paese fragile quella che emerge dal “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, che denuncia anche i tagli alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico, che il Governo Meloni ha dimezzato da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi. I numeri parlano da soli: negli ultimi 14 anni – dal 2010 al 2023 – sono stati registrati ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia (86 casi), seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma (49 allagamenti da piogge intense), Bari (21), Agrigento (15), Palermo (12), Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre.

“Quattro le priorità da cui ripartire: serve approvare il PNAC, una legge contro il consumo di suolo, superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, definire una regia unica da parte delle Autorità di bacino distrettuale che preveda anche una maggiore collaborazione tra enti”, suggerisce Legambiente.

Legambiente lancia l’allarme: dal 2020 a maggio 2024 nella Penisola si sono registrati 81 danni da siccità prolungata. Lombardia (15), Piemonte (14) e Sicilia (9) le regioni più colpite in questi anni seguite da Sardegna (6), Emilia-Romagna (6) e Trentino-Alto-Adige (6).

Le aree costiere sono una straordinaria risorsa ambientale, turistica e culturale ma sono sempre più minacciate da erosione, consumo di suolo ed eventi meteo estremi. Il Rapporto di Legambiente “Spiagge 2024” evidenzia la crescita degli eventi meteo estremi, dal 2010 a giugno 2024, che hanno colpito i litorali italiani: 816 (+14,6% rispetto al bilancio dello scorso anno in cui erano stati 712) su un totale nazionale di 2.086 (ossia il 39,1%) avvenuti in 265 dei 643 comuni costieri (pari al 41,2%).

Autobotti, gli interessi occulti dei privati

In Sicilia è nuovamente emergenza siccità. Ogni estate si rinnova l’appuntamento con la carenza d’acqua che, in linea con i cambiamenti climatici, peggiora anno dopo anno. E i privati che gestiscono il business dell’acqua festeggiano: le autobotti fanno affari d’oro. Speculazione e prezzi raddoppiati come denuncia Graziano Scardino, presidente della Confederazione italiana agricoltori in Sicilia. Legambiente si chiede dove prendono l’acqua se non c’è.

Come riporta ilSole24ore, è emergenza siccità al Sud: rese dimezzate in agricoltura. Compromesse quest’anno la metà della produzione di olive in Puglia, il 50 % del grano in Sicilia, a rischio il mais in Abruzzo e la trebbiatura in Basilicata. In Sicilia, già ad aprile era stato lanciato l’allarme: mancano all’appello 180 milioni di metri cubi d’acqua, la metà delle risorse idriche necessarie per una gestione ordinaria annuale. Nel mese di Luglio, ad Agrigento, l’acqua viene erogata ogni 15 giorni e, intanto la rete è un colabrodo: le perdite idriche arrivano al 60%.

Il lago di Pegusa in Sicilia è ormai ridotto ad una pozzanghera
Il lago di Pegusa è ormai ridotto ad una pozzanghera

E intanto il lago di Pegusa è scomparso, come denunciava in giugno Legambiente Sicilia nonostante gli appelli lanciati da anni di per il “ripristino del sistema di monitoraggio ambientale e la pulizia dei diversi canali che dal bacino naturale del lago portano l’acqua”. Lo afferma Giuseppe Maria Amato, referente Gestione risorse idriche di Legambiente Sicilia: “In queste ore, dopo mesi di agonia e dopo una incredibile settimana di irrespirabili miasmi, il lago di Pergusa è quasi completamente scomparso, al suo posto rimane una chiazza nerastra di fango umido che si sta essiccando al sole di questa estate appena iniziata. La sua scomparsa, di certo imputabile alla gravissima crisi climatica che attanaglia la Sicilia, è stata però velocizzata dalla totale disattenzione e dall’inerzia degli enti che, invece, avrebbero dovuto intervenire a vario titolo“.

E, mentre la popolazione è allo stremo, la politica spende miliardi di euro per il Ponte di Messina. Al coro di “Vogliamo l’acqua dal rubinetto, no al Ponte sullo Stretto” migliaia di manifestanti sono scesi in piazza il 10 agosto scorso per dissentire contro la grande opera.

Conflitti, guerre e migrazioni per l’acqua

Oltre mille conflitti in appena vent’anni hanno avuto l’acqua come fattore scatenante o strumento contro le popolazioni. Tra il 2000 e il 2023 sono stati ben 1.385 i conflitti per l’acqua, secondo il focusAcqua, conflitti e migrazioni forzate: la corretta gestione delle risorse idriche come strumento di stabilità e pace” presentato da Legambiente con il contributo di UNHCR. Per citare un esempio noto, la guerra civile siriana che ha creato in dieci anni 6 milioni e 700 mila sfollati interni è stata collegata agli impatti della crisi climatica, in particolare alla scarsa disponibilità idrica causata da un lungo periodo siccitoso che ha colpito la regione dal 2007 al 2010.

A questo è legato il cosiddetto fenomeno dei “migranti climatici”. Secondo il rapporto Groundswell della Banca Mondiale, si prevede che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa degli impatti climatici, tra cui lo stress idrico. Tra le parti del mondo più colpite il Corno d’Africa: solo in Somalia nel 2023, secondo le stime dell’UNHCR, la più grande siccità degli ultimi 40 anni e le inondazioni, combinandosi con situazioni di conflitto e insicurezza, hanno causato quasi 3 milioni di migrazioni. Numeri e cifre evidenziate dal report “Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate”, presentato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2024.

I migranti climatici al 2050 (fonte: Banca Mondiale)
I migranti climatici al 2050 (fonte: Banca Mondiale)

Entro il 2050, l’Africa subsahariana potrebbe vedere fino a 86 milioni di migranti climatici interni; l’Asia orientale e il Pacifico, 49 milioni; l’Asia meridionale, 40 milioni; il Nord Africa, 19 milioni; l’America Latina, 17 milioni; e l’Europa orientale e l’Asia centrale, 5 milioni. La corretta gestione dell’acqua è una sfida anche per l’Italia e le economie sviluppate. Nel corso del 2023, il paese ha registrato un aumento del 22% degli eventi meteorologici estremi rispetto all’anno precedente, per un totale di 378 episodi (dati Città Clima Legambiente) e danni per miliardi di euro.

Aree come il Medio Oriente e l’Africa, oltre a essere caratterizzate da instabilità politica e problemi di sicurezza, si trovano ad affrontare gravi carenze idriche. Il Darfur, ad esempio, è stato teatro di conflitti etnici e politici accentuati dalla progressiva desertificazione, dovuta a prolungate siccità. Le controversie legate alle risorse idriche tra agricoltori e pastori nomadi hanno contribuito ai sanguinosi conflitti, causando migliaia di vittime e numerosi sfollati. Ma, i conflitti legati all’acqua sono destinati a crescere, influenzati dall’incremento demografico, dal fabbisogno energetico e dai cambiamenti climatici.

La mappa globale dei conflitti idrici

Dai 507 conflitti globali correlati al controllo delle risorse idriche identificati dalla Banca Mondiale, nasce l’idea di creare una mappa del mondo in grado di prevedere dove potrebbero sorgere conflitti legati alla carenza idrica. La mappa globale dei conflitti per l’acqua, progettata dai ricercatori della “Water, Peace and Security Partnership” (WPS) e successivamente presentata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oltre alle guerre in corso, può prevedere i conflitti nei prossimi 12 mesi: buona parte dell’Africa e il sud dell’Asia, le zone coinvolte da tensioni e violenze.

mappa globale dei conflitti per l'acqua
Mappa globale dei conflitti per l’acqua (fonte: WPS)

Uno strumento innovativo che utilizza per la prima volta dei fattori ambientali, come la siccità, per prevedere dove si verificheranno i prossimi conflitti. Secondo i creatori, il modello è in grado di rilevare circa l’86% dei conflitti futuri, costituendo dunque uno strumento scientifico utile nell’anticipare le mosse politiche nello scacchiere globale.

Tra i conflitti per l’acqua, va citato quanto accaduto in Nigeria, dove la desertificazione che ha colpito il Lago Ciad ha portato a tensioni tra gli agricoltori e i pastori seminomadi di etnia Fulana per il controllo delle risorse idriche. Nel giugno del 2018 le tensioni si sono tramutate rapidamente in veri atti di guerriglia, che hanno causato la morte di 86 agricoltori nigeriani. Solo in quell’anno, il conflitto tra pastori e agricoltori ha causato la morte di quasi mille persone. Ma il conflitto più lungo, legato anche all’acqua, è quello che coinvolge Israele e Palestina ed è tutt’ora in corso.

L’appropriazione dell’acqua (water grabbing) è spesso legata a quella della terra (land grabbing). Perlopiù interessi sulla coltivazione di grandi appezzamenti (abbiamo visto che l’agricoltura consuma 2/3 dell’acqua globale) da coltivare o destinare al pascolo e all’allevamento, ma anche stabilimenti industriali, produzione di energia solare (agrivoltaico), eolica o idroelettrica.

Water grabbing: la corsa all’oro blu

La corsa all’oro blu è il fenomeno dell’accaparramento dell’acqua per scopi economici, politici e di potere: attori potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni. Dall’inglese water grabbing, letteralmente il furto dell’acqua, è direttamente connesso al cosiddetto “land grabbing”, ovvero alle terre rubate. Protagonisti di queste pratiche sono multinazionali, fondi pensione, società di private equity, compagnie assicurative e altri operatori finanziari che agiscono in modo aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche e le terre necessarie alla produzione di colture di pregio, all’allevamento, ma anche alla produzione di energia (si pensi all’aumento esponenziale del numero di dighe per l’idroelettrico, come in Etiopia o Mekong) a scapito delle popolazioni e delle economie locali.

Un terreno destinato alla coltivazione di avocado
Un terreno destinato alla coltivazione di avocado

Spesso sono coltivazioni dall’impatto devastante sotto il profilo dell’impronta idrica: secondo Water Footprint Network, per produrre un chilogrammo di avocado servono circa 2000 litri d’acqua (per un kg di pomodori circa 214 litri). Ma sono talmente remunerative per le grandi aziende che non faticano ad espandersi, favorendo la crisi idrica di Paesi già e la deforestazione per accaparrarsi nuove terre adatte alla coltivazione. D’altronde, dopo le banane e l’ananas, l’avocado è il terzo prodotto frutticolo più diffuso al mondo. E va anche peggio per gli allevamenti: l’impronta idrica della carne di bovini da carne è pari a 15.400 litri per kg.

Ma, come avviene il water grabbing? A volte attraverso un’appropriazione violenta, altre tramite un uso distorto della legge. In alcuni casi la presa dell’acqua è illegale, in altri casi “perfettamente legale” anche se non legittima. Quasi sempre è espressione del potere – di grandi aziende e società – resa possibile dallo Stato. Acqua e terra sottratta alla popolazione per destinarla a profitto di pochi, quando la maggioranza non ne ha a sufficienza per dissetarsi. E sarà sempre peggio. Secondo il report del 2019 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in aree a un livello elevato di stress idrico e, a questo scenario, si lega indissolubilmente il problema del water grabbing.

Le soluzioni di resilienza climatica

Il cambiamento climatico aumenta la variabilità delle precipitazioni, gli stress idrici e gli eventi meteorologici estremi (siccità e alluvioni). Pertanto, implementare strategie mirate a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sarà un elemento importante della soluzione, esattamente come le misure a tutela dei più vulnerabili.

Acqua: le soluzioni di resilienza climatica

Circa tre quarti di tutta l’acqua potabile è destinata all’agricoltura, pertanto cambiare il modo in cui produciamo generi alimentari, fibre tessili e altri prodotti agricoli è estremamente importante. Oltretutto, esiste un surplus di produzione alimentare che genera valanghe di sprechi: il 19% del cibo globale viene buttato via insieme all’acqua usata per la sua produzione, secondo il Food waste index report 2024, realizzato dall’Unep con lo scopo di monitorare i progressi dei Paesi nella lotta allo spreco alimentare. Se consideriamo che per produrre 1 kg di carne di manzo occorrono 15.400 litri d’acqua e che ogni anno l’industria della moda genera 40 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, possiamo comprendere la portata del problema.

Possiamo e dobbiamo trovare metodi più efficienti per produrre, che necessitano di meno risorse idriche. Gli agricoltori, allevatori e operatori della blue economy devono diventare abili nella gestione delle risorse idriche e disporre degli strumenti corretti per poterlo fare in modo sostenibile. E, per farlo, occorre fornire loro tecnologie, formazione e garantire la loro partecipazione a tutte le fasi della pianificazione e dei processi decisionali. La gestione delle risorse idriche inizia con la scelta e l’uso della corretta biodiversità nei sistemi produttivi, ad esempio bestiame, coltivazioni e piante (specie e varietà) locali e che siano resilienti e adeguati all’ambiente.

Le aziende devono gestire l’acqua in modo responsabile, attraverso un impiego più efficiente delle risorse idriche e riducendo l’uso di inquinanti lungo le filiere di approvvigionamento. Ciò avrà non solo ricadute positive sulla natura e sulla società, ma anche sulle aziende: l’attenta gestione delle risorse idriche può migliorare la loro immagine e i loro profitti e aiutarle a evitare che problemi come scarsità d’acqua, inondazioni, inquinamento o direttive più severe possano in futuro esporre a rischi le loro attività.

Non dobbiamo dare l’acqua per scontata. Operare scelte consapevoli sui prodotti che acquistiamo, sprecare meno acqua ed evitare di inquinare sono modi semplici per contribuire alle azioni positive per il futuro dell’alimentazione, delle persone e del pianeta.

Soluzioni di governi e istituzioni per la sostenibilità idrica

Da una parte la politica nazionale e globale deve mettere in atto una serie di misure concrete verso la decarbonizzazione dell’economia, dall’altra deve sensibilizzare l’adozione di comportamenti sostenibili da parte di ogni singolo cittadino e consumatore.

Soluzioni di governi e istituzioni per la sostenibilità idrica

Le Nazioni Unite propongono una serie di soluzioni collaborative per la sostenibilità idrica: un invito all’azione per tutti gli stakeholder. Una gestione più oculata dell’acqua inizia con la creazione di partnership. Ciò significa che i governi devono collaborare con organizzazioni internazionali, istituti di ricerca e mondo accademico, il settore privato e la società civile per ideare soluzioni sostenibili per un futuro sicuro per acqua e cibo.

I governi devono progettare e incentivare politiche per migliorare la gestione dell’acqua, riconoscendo il nesso acqua-cibo-energia, senza compromettere la salute dei nostri ecosistemi. In ambito urbano devono promuovere interventi di riqualificazione delle città, agevolando e proponendo l’uso delle NBS (Nature-based Solutions) e infrastrutture verdi per migliorare la resilienza urbana agli eventi metereologici estremi e la qualità della vita. Nel settore edilizio devono sostenere interventi di riqualificazione energetica degli edifici e migliorare l’uso delle risorse idriche attraverso sistemi di recupero delle acque piovane o meteoriche e di riuso delle acque grigie, attraverso gli incentivi fiscali dei bonus edilizi come l’ecobonus o il bonus ristrutturazioni (rimpiangendo il superbonus).

Agricoltori e contadini, allevatori e pescatori, e coloro che lavorano nell’economia blu devono diventare agenti di gestione sostenibile dell’acqua, dotati degli strumenti giusti per farlo in modo efficace, nella ricerca e nell’implementazione di soluzioni idriche adatte alle loro esigenze. Tuttavia, questo è realizzabile solo se vengono fornite loro tecnologie appropriate, formazione e informazioni tempestive e accurate. Dovrebbero anche essere coinvolti in tutte le fasi del processo di pianificazione e decisione.

Risparmio idrico: privati e cittadini

Il settore privato deve impegnarsi concretamente per migliorare l’efficienza nell’uso dell’acqua e ridurre l’inquinamento lungo la filiera. Consapevoli che, dare priorità alla governance dell’acqua può aumentare la reputazione sociale dell’impresa e i profitti ed evitare il rischio che la scarsità d’acqua, le inondazioni e l’inquinamento potrebbero rappresentare per il futuro.

Vademecum per il risparmio idrico

La Sicilia, sull’orlo della crisi idrica, ha emanato un vademecum con alcuni suggerimenti alla popolazione volti al risparmio idrico.

Un appello ai cittadini con indicazioni sempre valide, e universali:

  1. Controllare l’efficienza dell’impianto idrico e verificare la presenza di eventuali perdite (con un rubinetto che gocciola si possono perdere fino a 5 litri al giorno d’acqua);
  2. Evitare di far scorrere inutilmente l’acqua (lavarsi i denti con il rubinetto aperto può sprecare fino a 30 litri d’acqua);
  3. Utilizzare lavastoviglie e lavatrici sempre a pieno carico;
  4. Installare sciacquoni a doppio tasto (è possibile risparmiare anche 100 litri d’acqua al giorno);
  5. Preferire l’uso della doccia (40 litri d’acqua) a quello della vasca da bagno (consumo medio fra 100 e 160 litri d’acqua): il risparmio è di circa 1.200 litri d’acqua all’anno;
  6. Installare sistemi di raccolta per l’acqua piovana e per il riuso delle acque grigie;
  7. Innaffiare, le piante del balcone o giardino, la notte (l’acqua evaporerà più lentamente, per un risparmio medio complessivo di circa 5-10 mila litri all’anno);
  8. Non utilizzare l’acqua potabile per il lavaggio dei veicoli, di aree cortilizie e piazzali, o per alimentare fontane ornamentali, vasche e piscine o innaffiare orti e giardini;
  9. Installare coperture vegetali sui tetti e giardini pensili (possono assorbire fino al 50% di acqua piovana e riducono la possibilità di allagamenti in caso di forti precipitazioni. Oltretutto favoriscono l’isolamento termico del tetto, riducono le polveri sottili e creano un microclima più gradevole, con meno calore dovuto all’irraggiamento;
  10. Utilizzare pavimentazioni drenanti nelle superfici esterne agli edifici (favoriscono la ricarica delle falde e mitigano l’effetto “isola di calore”;

Ognuno di noi deve dare valore all’acqua. Non dovremmo più darla per scontata. Prendere decisioni informate sui prodotti che acquistiamo, sprecare meno acqua e non inquinare sono modi semplici per tutti noi di contribuire ad azioni positive per il futuro del cibo, delle persone e del pianeta. Ad esempio preferendo, ove possibile, l’acqua del rubinetto all’acqua in bottiglia, ci permetterebbe di risparmiare 17 kg di plastica all’anno. Comprando meno prodotti monouso e prediligere il riciclo e riuso.

In campo alimentare, optare per prodotti locali a km0 e di stagione, biologici o senza diserbanti, carni uova e latte da allevamenti non intensivi, e magari privi di inutili imballaggi in plastica. Sul fronte della mobilità prediligere quella sostenibile, spostamenti a piedi e in bicicletta che permettono di godere delle meraviglie dell’architettura storica e paesaggistica di cui è pieno il nostro Paese e, per i lunghi tratti optare per i veicoli elettrici a batteria ricaricabile. A casa, impiegare le energie rinnovabili per produrre elettricità e scaldare l’acqua, ridurre l’uso dei condizionatori e se necessario porre in atto interventi edilizi di riqualificazione energetica per ridurre i consumi e inquinare meno. Per vestirci, anziché cedere alle lusinghe del fast fashion, potremmo rivolgerci al settore dell’usato, ai marchi etici e sostenibili, alle aziende circolari e, in ogni caso, prediligere le fibre tessili sostenibili. Riciclo e riuso delle acque meteoriche e/o di quelle grigie per usi non potabili, che ognuno di noi può installare nella propria abitazione o condominio. Insomma, ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la sua parte. E tu, sei pronto a farlo? Il Pianeta non può più attendere.

Diritto alla vita, Acqua pubblica

Nel 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 64/292 riconoscendo “il diritto all’acqua potabile e pulita e ai servizi igienici come diritto umano essenziale per il pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani“. L’acqua deve essere pubblica, gestita dallo Stato e a disposizione di tutti, come il referendum del 2011 in Italia ha sancito con un plebiscito popolare: 26 milioni di italiani hanno detto no al profitto sull’acqua. Volontà che è stata profondamente tradita.

Diritto all'acqua potabile per tutti

In Italia, ignorando totalmente il risultato del referendum del 2011 che obbligava gli enti pubblici – a tutti i livelli – a garantire la gestione pubblica della risorsa idrica, si sta assistendo alla privatizzazione sempre più spinta dei principali bacini, in particolare quello dell’Appennino mediterraneo, addirittura mirando direttamente alle sorgenti. È infatti nel Sud Italia che è presente la più cospicua – e qualitativamente migliore – risorsa idrica, in particolare in Campania, dove la regione ha rinnovato il contratto di gestione dell’intera rete di fonti regionali a una società che è al 47,9 % della Vianini S.p.A. di Caltagirone (quindi Suez/Acea) e per il 47,9 % di Veolia S.p.A., altra multinazionale francese.

L’accesso all’acqua deve essere garantito come diritto alla vita a ciascun essere vivente. Non dovrebbe essere un prodotto sottomesso alle leggi del mercato. Non dovrebbe essere soggiogato alla logica del profitto. Purtroppo da 13 anni ad oggi la situazione non è cambiata. Da quando nel 2008 il governo Berlusconi, con l’art. 23 bis del DL 112/2008, aprì alla liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici locali, fino ad allora di esclusiva competenza pubblica, permettendone l’ingresso dei privati nella gestione. E, nonostante l’abrogazione avvenuta ad opera del DPR 113/2011, promulgato a seguito dell’esito referendario, la situazione non è cambiata, anzi. Sebbene, infatti, ci fu un’iniziale arresto al processo di privatizzazione in corso, questo riprese poco tempo dopo come nulla fosse. Allo stato attuale abbiamo un’acqua pubblica come proprietà di bene e infrastrutture, ma il servizio di gestione è perlopiù privatistico e viene fornito da società pubbliche, miste o private. Spesso sono grandi aziende quotate in borsa, delle SPA che hanno chiaramente interesse a far profitto.

Bibliografia:

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