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Se ne va un altro grande del design italiano. Marco Zanuso, celebre architetto e designer, si è spento nella sua casa di Milano dopo una lunga malattia. Aveva 85 anni la maggior parte dei quali spesi a portare la creatività Made in Italy ai massimi livelli internazionali. Da tempo si era ritirato dalla vita pubblica ma il suo nome e la sua firma continuavano, e continueranno per lungo tempo ancora, ad essere sinonimi di qualità ed inventiva. I maggiori quotidiani italiani hanno dedicato a Zanuso, nei giorni scorsi, retrospettive a firma di intellettuali e progettisti di fama, da Fulvio Irace ad Andrea Branzi, da Carlo Bertelli a Vittorio Gregotti. Proprio di Gregotti proponiamo di seguito il pezzo apparso su La Repubblica. Il mestiere di creare case e cose – di Vittorio Gregotti Marco Zanuso è stato un creatore di oggetti così importante che talvolta la sua capacità di grande architetto è stata offuscata da quella di disegnatore di prodotti industriali; o meglio di inventore di nuove tipologie di oggetti capace di ripensare strutturalmente la loro natura. Niente di stilistico, ma un’autentica passione per i metodi e i processi industriali: nessun interesse per gli aspetti del mercato e del consumo ma una grande capacità di reinvenzione a partire da una ricerca intorno all’essenza delle funzioni dell’oggetto, del suo modo di essere utilizzato, manipolato nel tentativo di risalire all’archetipo dell’oggetto stesso. Peraltro è proprio questa passione tutta lombarda per il fare con competenza tecnica, per le capacità del mestiere, che è sempre stato alla base anche del suo lavoro di architetto. E forse è bene non distinguere questi due aspetti, considerarli insieme per scrivere commossi un primo ricordo del suo contributo all’architettura moderna. Le sue fabbriche Olivetti di Buenos Aires del 1965 e di San Paolo del 1959, e quelle più recenti per la I.B.M. di Santa Paloma o quella dello stabilimento Brion, solo per citarne alcune, sono non solo la dimostrazione di questa continuità di metodi e di interesse ma monumenti che resteranno come tappe importanti della tradizione dell’architettura industriale. Questo non impediva a Zanuso di portare un grande interesse per le arti visive (le sue collaborazioni con Fontana, Dova, Cascella, nei primi anni ’60) o di dimostrare una straordinaria sensibilità al contesto come fanno vedere quel piccolo capolavoro della casa per vacanze ad Arzachena del 1963 o la casa di Johannesburg del 1975. Essi sono un ritratto preciso della sua calda, sorniona umanità. Zanuso oltre ad essere stato un protagonista dell’architettura del secondo razionalismo italiano, è stato anche un grande rappresentante della cultura milanese. Lo è stato perché della cultura dell’organizzazione ha fatto un materiale poetico, perché ha sentito la responsabilità di essere professore all’università per moltissimi anni, perché ha partecipato alla vita attiva delle riviste di architettura nella Domus e nella Casabella di Ernesto Rogers. Infine egli è stato uno dei protagonisti di una stagione importante della cultura della sinistra milanese. La sua solidarietà con le vicende di una istituzione come il Piccolo Teatro di Milano risale ancor prima dei suoi lavori professionali per le diverse sedi di quelle istituzioni. Il teatro Strehler dovrebbe forse chiamarsi Strehler e Zanuso almeno per riparare un po’ dei molti torti che sono stati fatti ingiustamente all’architetto per quell’opera. Per Marco Zanuso il progetto moderno nella sua continua apertura autocritica, ha rappresentato sempre quella risposta civile alle tensioni della società che egli sentiva come primo dovere nell’essere architetto. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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