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Indice degli argomenti Toggle Quali sono le destinazioni d’uso degli immobiliChe cosa si intende per cambio di destinazione d’uso di un immobileQuando è possibile un cambio di destinazione d’uso? Quando non si può fare?Il decreto Salva Casa, cosa cambiaQuanto costa una variazione di destinazione d’usoChi si occupa del cambio di destinazione d’uso La destinazione d’uso è, fondamentalmente, il tipo di funzione che un immobile può svolgere, in totale rispetto dell’iter autorizzativo e della normativa vigente. A seconda delle attività che si svolgono o si dovranno svolgere in un edificio, quindi, si definirà di conseguenza una specifica destinazione d’uso. Una volta fatto ciò, però, può capitare che insorga la necessità di richiedere il cambio di destinazione d’uso, ad esempio se si volesse trasformare un’abitazione in un negozio. Quali sono le destinazioni d’uso degli immobili Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, parla in modo esplicito di destinazioni d’uso e all’art. 23-ter ne individua 5 macrocategorie, che sono: residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale. Tutte le abitazioni, al di là della tipologia, hanno funzione residenziale; invece, le strutture alberghiere, gli ostelli, i campeggi e altre attività assimilabili sono raccolte nella funzione turistico-ricettiva. Poi, tutti gli edifici che ospitano attività legate al mondo del lavoro possono essere con funzione produttiva e direzionale oppure commerciale. Nella prima categoria rientrano tutte le attività di produzione e di servizi (es. aziende, banche, laboratori, studi professionali, ecc…), mentre nella seconda tutte le attività focalizzate sul commercio, dal negozio alla grande distribuzione, e di somministrazione di cibo e bevande, come bar e ristoranti. Infine, c’è la categoria per la funzione rurale, che raccoglie invece tutti gli immobili destinati ad attività relative al mondo dell’agricoltura, dell’allevamento e di altre attività ad essere riconducibili. In quest’ultima categoria, inoltre, ricadono anche gli agriturismi. Definite le 5 categorie in cui si raggruppano le differenti funzioni possibili di un edificio, va chiarito anche che nei casi in cui concretamente convivano due differenti attività, prevarrà sempre quella che ricopre una superfice utile maggiore. Questa “convivenza” è concessa purché le attività siano comunque tra loro collegate. Ad esempio, un agriturismo che vende anche i propri prodotti, in uno spazio dedicato e ridotto rispetto a quella che è la superficie totale, risulterà comunque avere una funzione rurale. Ogni edificio è dunque riconducibile a queste categorie, che nel tempo possono chiaramente essere modificate, purché vi siano i presupposti e il totale rispetto delle normative. Che cosa si intende per cambio di destinazione d’uso di un immobile Il cambio di destinazione d’uso è una procedura che permette di modificare la funzione di un edificio o di una parte di esso. Non necessariamente segue un intervento di ristrutturazione o riqualificazione, ma richiede in ogni caso il rispetto di un iter burocratico e autorizzativo specifico. Il processo di modifica potrebbe essere più o meno rilevante da un punto di vista urbanistico a seconda che si effettui una modifica che comporti o meno il passaggio da una categoria all’altra e servono tutte le verifiche del caso, per il rispetto delle regole e delle normative edilizie vigenti. Per esempio si tratta di un cambio di destinazione d’uso rilevante il caso in cui si voglia trasformare, se possibile, un negozio in un’abitazione; non è un cambio di destinazione d’uso rilevante la trasformazione di un bar in un ristorante. L’iter si conclude, se possibile, con l’autorizzazione, che porta anche ad un aggiornamento catastale. Non vi è alcun modo di cambiare destinazione d’uso di un edificio senza richiedere presso il Comune di appartenenza la dovuta autorizzazione. Quando è possibile un cambio di destinazione d’uso? Quando non si può fare? Un cambio di destinazione d’uso è sempre possibile nel caso in cui non sia urbanisticamente rilevante, ossia quando non si ha il passaggio da una categoria all’altra di quelle definite ed elencate dall’art. 23-ter del Testo Unico dell’edilizia. In tutti gli altri casi è obbligatorio richiedere l’autorizzazione in Comune. Questo non significa che non sia possibile, solo che deve essere rispettato l’iter burocratico previsto e devono sussistere le giuste condizioni. L’esito è positivo se il cambio prevede il totale rispetto della normativa vigente. Deve esserci, infatti, compatibilità urbanistica, quindi la destinazione d’uso richiesta deve essere ammessa in quella zona dal Piano Regolatore Comunale. Potrebbero, inoltre, essere obbligatorie delle opere edilizie (da autorizzare con SCIA o Permesso di costruire a seconda dei casi) per adeguare i locali alla nuova funzione, assicurando anche il rispetto di tutte le norme edilizie e di igiene. Altri vincoli potrebbero riguardare le soluzioni impiantistiche o, nel caso di unità immobiliari in complessi, restrizioni condominiali. Infine, potrebbero sussistere dei problemi legati a vincoli paesaggistici o storici, che rendono le normative più severe e, quindi, più complesso adeguare l’edificio a differenti funzioni. Una delle principali cause che rende impossibile procedere con il cambio di destinazione d’uso dell’edificio è spesso proprio l’inadeguatezza degli ambienti che lo costituiscono. Con inadeguatezza si intende, ad esempio, l’impossibilità di rispettare norme igienico-sanitarie, rapporti aeroilluminanti o altre caratteristiche specifiche per una precisa destinazione d’uso, che possono anche cambiare da Comune a Comune. Capita spesso anche che siano i piani urbanistici locali ad impedire che in un determinato luogo si possa sviluppare una certa attività ed è per questo che si consiglia sempre di verificare presso l’Ufficio Tecnico del Comune che il Piano Regolatore e/o il Regolamento urbanistico non pongano limiti relativi alle funzioni in alcune aree del territorio. Va detto, comunque, che tutte queste problematiche, nella maggior parte dei casi, riguardano i cambi di destinazione d’uso rilevanti, mentre sono più semplici e facilmente concessi i cambi di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria. Il decreto Salva Casa, cosa cambia Il decreto “Salva Casa”, ossia il DL 69/2024, è stato convertito in legge e semplifica il cambio di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari. Chiaramente, non viene meno l’obbligo di rispettare tutta la normativa vigente e i regolamenti condominiali. Il decreto esclude la funzione rurale e riguarda gli immobili che si trovano in zone quali il centro storico (Zona A), zone residenziali di consolidamento (Zona B) e zone di espansione di edilizia residenziale (Zona C). Al di là di quanto definito dal decreto, viene lasciata ai Comuni la possibilità di fissare specifiche regole e condizioni. Viene agevolato il cambio anche tra differenti funzioni, purché la nuova destinazione della singola unità immobiliare sia pertinente alla funzione prevalente delle altre unità che compongono il fabbricato. Inoltre, non è obbligatorio reperire aree per servizi di interesse generale o parcheggi, per quanto si richieda comunque il pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria. Quanto costa una variazione di destinazione d’uso I costi per il cambio di destinazione d’uso variano a seconda del tipo di immobile, della sua localizzazione e degli interventi necessari. In ogni caso, tra le voci principali di spesa ci sono gli oneri di urbanizzazione, che dipendono dal carico sui servizi e le infrastrutture che è compito dell’Amministrazione predisporre. Si parla, ad esempio, di costruzione di parcheggi, fognature e strade. A seconda della destinazione d’uso dell’immobile il carico urbanistico e, quindi, i costi possono variare. A ciò si aggiungono i costi per i tecnici e i professionisti incaricati di gestire le pratiche, preparare progetti, elaborati e, in generale, tutta la documentazione necessaria per il cambio di destinazione d’uso. Infine, se necessarie, si dovranno mettere a budget le opere edilizie per permettere l’adeguamento dell’immobile alla nuova funzione prevista. Possiamo dire che i costi dovuti al cambio di destinazione d’uso sono principalmente dovuti a 4 fattori: dal compenso dovuto al tecnico incaricato per la gestione della pratica e, eventualmente, di progetto e lavori; da eventuali lavori edili necessari al cambio d’uso (ad esempio la messa a norma degli impianti o l’apertura di nuove finestre); dalle spese di segreteria per l’autorizzazione e dagli oneri di urbanizzazione, che dipendono da possibili diversi consumi dei servizi come fognature, parcheggi, ecc… a questi costi si aggiunge quanto dipende dall’aggiornamento catastale, che segue quello urbanistico. Infatti, cambiando di categoria l’immobile, si avrà presumibilmente una rendita catastale differente, sulla quale si calcolano le tasse da pagare, come l’IMU Chi si occupa del cambio di destinazione d’uso Il cambio di destinazione d’uso richiede l’intervento di figure tecniche e qualificate. Generalmente, il proprietario dell’immobile deve rivolgersi a un architetto, un ingegnere o un geometra, che abbia le competenze per gestire la pratica edilizia e presentare la SCIA o richiedere il Permesso di costruire, necessario quando il cambio di destinazione d’uso comporta il passaggio ad un’altra categoria, ovvero quando si tratta di un cambio di destinazione d’uso rilevante- Inoltre, sarà necessario coinvolgere anche tutti i professionisti per l’esecuzione delle opere necessarie, come imprese edili o termotecnici. Articolo aggiornato Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento