Cappotto termico, distanze legali e aumento di cubatura: c’è il rischio di commettere un abuso edilizio

Confermato l’ordine di demolizione per il cappotto termico che provoca l’aumento di cubatura e il mancato rispetto delle distanze minime tra gli edifici. La sentenza del TAR Lazio che definisce diversi principi

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Cappotto termico, distanze legali e aumento di cubatura: c’è il rischio di commettere un abuso edilizio

Il cappotto termico, interno o esterno, è un intervento edilizio diffuso che ha lo scopo di migliorare l’isolamento termico dell’abitazione sul quale è installato. Consiste nell’applicazione di una serie di pannelli isolanti che isolano l’edificio e, conseguentemente, creano spessore verso l’esterno o l’interno.

Ciò vuol dire che, in specifiche circostanze, il cappotto termico potrebbe causare il mancato rispetto delle distanze legali tra gli edifici o la creazione di nuova cubatura, dovuti all’aumento dello spessore delle pareti.

Sulla questione si è espresso recentemente il TAR Lazio, che ha emesso una senza che fissa diversi principi: il più importante è il fatto che l’efficientamento energetico non può “giustificare” la commissione di abusi edilizi. La decisione in questione è la n. 17984 del 17 ottobre 2024.

Di seguito i dettagli.

Cappotto termico, distanze legali e aumento di cubatura: il caso esaminato dal TAR

Nel caso in esame il TAR Lazio ha convalidato l’ordinanza di demolizione riguardante opere abusive su un immobile, tra cui il rivestimento in pietra delle facciate, che in precedenza erano intonacate. A seguito di una verifica tecnica, gli addetti comunali avevano accertato che il cappotto termico realizzato sull’immobile per migliorare l’isolamento termico aveva determinato un aumento dello spessore delle pareti tra i 20 e i 45 cm. Tale aumento ha causato la variazione volumetrica dell’edificio e il mancato rispetto delle distanze di confine previste dalla legge.
Oltre alla realizzazione del cappotto termico, nel caso di specie i tecnici del comune hanno rilevato abusi ulteriori, come la trasformazione di un vano cantina in angolo cottura.

La proprietaria dell’immobile ha tentato, senza successo, di difendere la propria posizione e la legittimità del cappotto termico realizzato con diverse argomentazioni:

  • che l’incremento volumetrico fosse inferiore al 10%
  • che lo scopo dell’intervento fosse il miglioramento dell’interesse superiore di efficientamento energetico
  • che lo spessore del cappotto termico fosse di massimo 9 centimetri, conformemente alle normative vigenti
  • che gli interventi realizzati facessero parte di opere di manutenzione ordinaria o straordinaria e quindi soggette alle deroghe previste dall’art. 167, comma 4, del D.lgs n. 42/2004

Motivazioni respinte, una a una, dal tribunale amministrativo.

La sentenza: l’efficientamento energetico non giustifica gli abusi edilizi

Nel rigettare il ricorso, il TAR Lazio ha confermato l’ordinanza di rimozione delle opere abusive, ovvero del cappotto termico. Difatti, nonostante l’intento di migliorare la classe energetica dell’abitazione, è stato realizzato un ampliamento volumetrico che ha causato l’inosservanza delle distanze legali tra edifici.

Cappotto termico: l'efficientamento energetico non giustifica gli abusi edilizi

Inoltre le motivazioni della ricorrente non sono state accolte poiché non è stata fornita la prova della riduzione dei valori di trasmittanza termica (ex d.Lgs. 192/2005) ed è stato superato il limite di 25 cm dell’aumento di spessore delle pareti esterne (ex art. 12 della L.R. 6/2008).

Le opere abusive devono essere demolite

Oltre agli elementi già evidenziati, ovvero il mancato rispetto delle distanze legali e l’ampliamento volumetrico, i giudici amministrativi hanno evidenziato un’altra criticità.

L’immobile in questione si trova all’interno di un’area soggetta a vincoli ambientali, paesaggistici e sismici. Le modifiche realizzate dalla proprietaria hanno causato sia l’aumento di volume che l’alterazione dei prospetti, ipotesi che rientrano nelle “variazioni essenziali” disciplinate dall’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia). La normativa vigente prevede che gli interventi su edifici in zone vincolate, quando realizzati senza autorizzazioni, debbano essere demoliti.

Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata, le opere abusive – anche minori – realizzate su edifici in aree vincolate hanno un impatto paesaggistico non trascurabile, pertanto devono essere sottoposte alla preventiva valutazione degli enti competenti. Valutazione che, nel caso di specie, è mancata.

Di conseguenza le opere abusive non autorizzate si considerano illegittime e sono da demolire. La decisione del TAR Lazio conferma l’ordine di demolizione emesso in primo grado sia perché non sono state rispettate le distanze minime sia per l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso dell’immobile ubicato in una zona soggetta a diversi vincoli. 

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