Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Introduzione La produzione di rifiuti di costruzione e demolizione, secondo recenti indagini, è in consistente aumento in tutti i paesi europei e varia in un range tra 0,4 e 0,8 t. annue per abitante. Per ciò che riguarda l’Italia, l’ultimo rilevamento, al proposito, risale al 1993 e registra una produzione di rifiuti per quell’anno di 34,3 milioni di tonnellate. Il problema ha raggiunto dimensioni tali che essi sono attualmente classificati tra i Flussi Prioritari di Rifiuti dalla Commissione delle Comunità Europee e sono in fase di studio le potenzialità di reimpiego che essi offrono all’interno dello stesso settore che li ha prodotti. L’importanza delle cifre coinvolte ben chiarisce come il recupero dei rifiuti di Costruzione e Demolizione, anche noti come C&D, rientri a pieno diritto tra gli obiettivi del Decreto Ronchi (Dlgs. 5/2/’97). Si ricorda come tale normativa proponga la loro valorizzazione come materie prime secondarie e raccomandi, per la valutazione degli impatti ambientali connessi al loro riutilizzo, l’approccio metodologico definito come Analisi del Ciclo di Vita. Classificazione I rifiuti di C&D possono essere suddivisi in tre categorie: – frazione riutilizzabile: è costituita da quegli elementi che possono essere riportati alla loro forma precedente e riconvertiti direttamente alla loro funzione originale. Ne fanno parte, ad esempio, travi, finestre, inferriate di balconi, ecc. ; – frazione riciclabile: è costituita dagli scarti riciclabili o dai rifiuti che, sottoposti a termodistruzione, forniscono energia. A differenza della frazione riutilizzabile, questa frazione non ha conservato né la forma né la funzione originarie; – frazione inutilizzabile: è costituita dai componenti indesiderati presenti nel materiale da riciclare o dalle frazioni che contengono inquinanti, da conferire in discarica o trattare separatamente. Per meglio comprendere la natura e la composizione del C&D è possibile applicare un’ulteriore classificazione che li suddivide in funzione della fase del processo costruttivo a cui fanno capo. In quest’ottica abbiamo: – rifiuti della fase di costruzione: al pari di quella di manutenzione, questa fase, genera scarti molto eterogenei, costituiti da cartoni, metalli, imballaggi vuoti, legname per impalcature e ponteggi, plastiche, sfridi di materiali da rivestimento (es. moquette), di isolanti e di impermeabilizzazioni, materiali ceramici, sfridi di laterizi e calcestruzzi; – rifiuti della fase di demolizione: genera scarti più omogenei, con una prevalenza di laterizio e calcestruzzo. La situazione italiana Nel nostro Paese la maggior parte delle demolizioni viene effettuata con l’impiego di mezzi meccanici come escavatori, frantumatori, macchine con bracci telescopici attrezzabili a loro volta con pinze, pale idrauliche e cesoie, che consentono di separare tre tipi di materiale: il legno, il ferro, il calcestruzzo combinato con laterizio e altro. Un simile modo di procedere, come è facilmente intuibile, non garantisce una selezione del materiale veramente efficace ai fini di un riciclo delle diverse componenti. Con queste tecniche l’unico caso di recupero pressoché totale per un nuovo utilizzo si verifica nel caso del ferro proveniente dalle armature, che viene venduto in matasse alle acciaierie per essere reimmesso in nuovi processi di fusione. Il recupero, e reimpiego, della parte più interessante di questa enorme massa di materiale, (ci riferiamo alla frazione litoide) è raggiungibile solo attraverso il trattamento in impianto fisso di frantumazione della frazione distinta “solo calcestruzzo”. Tra gli obiettivi dei ricercatori, dunque, uno dei principali è proprio il reimpiego del vecchio calcestruzzo frantumato come aggregato. La prassi comune, al contrario, prevede il riutilizzo di questo materiale prevalentemente come riempitivo nelle risagomature del terreno. Oltre al dispendio – economico ed ambientale – che queste procedure comportano, va sottolineato come, in conseguenza dell’ampia gamma di nuovi materiali oggi impiegati in edilizia (come ad esempio i sistemi a cappotto o i composti bentonitici) gli scarti sono chimicamente tutt’altro che inerti. Va, inoltre, ricordato come il dato sulla capacità di riutilizzare il materiale demolito nel nostro paese evidenzia, nel confronto degli altri paesi europei un profondo ritardo. Secondo le stime elaborate dall’EDA (European Demolition Association), in Olanda e Belgio venivano riutilizzati o recuperati, già nel 1990, il 60% dei detriti totali in Olanda, il 38% in Belgio e il 42% in Gran Bretagna, mentre la Germania si collocava al 16%. Nelle previsioni per il 2.000 la percentuale sale verso valori prossimi al 90% per Olanda e Belgio, mentre la Gran Bretagna raggiungerebbe il 50% e la Germania, addirittura l’80%. Si evidenzia così il ritardo dell’Italia, dove, come abbiamo visto, la percentuale di detriti riutilizzati e/o recuperati non raggiunge il 9%. Demolizione selettiva La separazione all’origine richiede l’ausilio di tecniche di decostruzione che vengono indicate con il termine generale di demolizione selettiva. Secondo recenti previsioni, entro il 2020, la frazione calcestruzzo, collocabile all’interno della categoria “materiale riciclabile”, andrà aumentando fino a raggiungere li 6/7% delle macerie, e ciò in conseguenza della demolizione di edifici realizzati sino agli anni ’50-’60. Un contributo fondamentale nella direzione di un sempre più consistente riciclaggio degli scarti di C&D può essere dato dalla demolizione selettiva, che può essere meno dispendiosa della demolizione tradizionale quando i costi di decostruzione vengono compensati da una riduzione nei costi per il conferimento in discarica dei materiali e/o per il loro riciclaggio (nel primo caso infatti gli scarti presentano una maggiore omogeneità). Per contrastare il degrado ambientale, dovuto al depauperamento delle materie prime, l’unica strada possibile è quella di imporre idealmente una direzione di circolarità ai processi di trasformazione delle risorse, mantenendo le materie prime riciclate, divenute quindi materie prime seconde, all’interno dello stesso ciclo di produzione. Un processo di riciclo così configurato consente di “chiudere il cerchio”. In realtà, tutte le materie prime utilizzate nel processo di costruzione vengono reimmesse nell’ambiente in una qualche forma al momento della demolizione. Per chiudere il cerchio, però, è necessario attuare una forma di riciclo di alta qualità, quale può essere per esempio il reimpiego degli scarti di C&D per la produzione di nuovo calcestruzzo. Il primo obiettivo, dunque, deve essere l’ottenimento di rifiuti altamente selezionati e ciò può essere raggiunto esclusivamente garantendo un’alta qualità degli scarti già sul cantiere di demolizione. Un ambizioso obiettivo che può essere raggiunto solo operando significative modifiche già all’origine del processo edilizio, ovvero durante la fase di progettazione della costruzione. L’edificio dev’essere pensato in funzione di un disassemblaggio finale dello stesso e non della sua demolizione. Una progettazione inquadrata nell’ottica del ciclo di vita del componente e dell’edificio consente di operare delle scelte che lavorino nella direzione di una separazione del componente al termine della vita utile. E’ auspicabile quindi introdurre una pratica progettuale in cui si eviti il ricorso a componenti associati, quali pannelli in lamina con isolante, e l’incollaggio o la sigillatura dei componenti tra loro, che possono agevolare il montaggio ma rendere impossibile la separazione al termine della vita utile dell’edificio. Lo scopo della decostruzione è quindi quello di aumentare concretamente il livello di riciclabilità degli scarti generati sul cantiere di demolizione qualunque sia la configurazione di partenza dell’edificio. I vantaggi I vantaggi connessi alla demolizione selettiva sono essenzialmente di due tipi: 1. economici 2. ambientali 1. Vantaggi economici Su questo fronte interessanti studi sono stati condotti da diversi istituti di ricerca, primo tra tutti ITC-CNR. Per poter effettuare una comparazione diretta dei costi sostenuti e dei ricavi per la demolizione tradizionale e selettiva sono stati considerati per la demolizione tradizionale due casi, in quanto i ricercatori hanno reputato poco significativo confrontare la demolizione tradizionale con la selettiva senza conteggiare i costi di smaltimento che l’impresa avrebbe dovuto sostenere se avesse conferito il materiale in discarica al prezzo di mercato. Un’interpretazione di questo confronto sottolinea che attualmente la demolizione selettiva, se è competitiva nei confronti di quella tradizionale con conferimento in discarica, non lo è ancora rispetto alla pratica corrente di utilizzare le macerie per riempimenti. Se però il settore fosse meglio regolamentato e ci fossero maggiori controlli sulla natura veramente inerte del materiale usato per riempimenti, la frazione così riutilizzabile sarebbe inferiore, aumenterebbe la percentuale di materiali da smalitire o trattare separatamente e quindi il quadro delle convenienze muterebbe. 2. Vantaggi ambientali I vantaggi ottenibili dalla demolizione selettiva contrapposta alla demolizione tradizionale riguardano contemporaneamente più fronti: – l’incremento netto della quantità e della qualità dei materiali da avviare ai rispettivi processi di riciclaggio, con risparmio di materie prime vergini che, nel caso della frazione litoide, sono anche risorse limitate; – la riduzione delle emissioni nocive nel suolo derivanti dal deposito di materiale non completamente inerte sul territorio secondo la prassi del riutilizzo delle macerie per riempimenti. Fonte: ITC-CNR Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento