Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Indice degli argomenti Toggle Nuova EPBD per l’edilizia: rinnovare e virare al green un settore antiquatoArchitetto Zoppi, come vede l’Italia nel percorso verso l’innovazione edilizia?Con la nuova EPBD in edilizia cosa cambierà specie in Italia?L’Italia ce la farà a centrare gli obiettivi?Quale ruolo avranno gli architetti per contribuire a raggiungere gli obiettivi fissati dalla nuova EPBDQuale valore avranno la tecnologia e la digitalizzazione?Che ruolo potrà avere il BIM?La nuova EPBD introduce importanti novità in materia di certificazione energetica. Cosa sta accadendo in Italia a tale riguardo? La nuova EPBD in edilizia promette una profonda trasformazione, nel segno della decarbonizzazione al 2050. La revisione della Direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (EPBD) stimola le ristrutturazioni in ciascuno Stato membro: in edilizia residenziale, si dovrà ridurre il consumo medio di energia primaria del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Le misure nazionali dovranno garantire che almeno il 55% della diminuzione il consumo medio di energia primaria venga raggiunto attraverso la ristrutturazione degli edifici con le peggiori prestazioni. Per quanto riguarda gli edifici non residenziali, la direttiva rivista prevede l’introduzione graduale di standard minimi di prestazione energetica per ristrutturare il 16% degli edifici con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% degli edifici con le peggiori prestazioni entro il 2033. Il nuovo standard per i nuovi edifici punterà su “emissioni zero”. Tutti i nuovi edifici residenziali e non residenziali dovranno avere zero emissioni in loco di combustibili fossili, a partire dal 1° gennaio 2028 per gli edifici di proprietà pubblica e dal 1° gennaio 2030 per tutti gli altri nuovi edifici. Si riuscirà a rendere praticabili questi obiettivi? Nuova EPBD per l’edilizia: rinnovare e virare al green un settore antiquato «Nel suo percorso, intrapreso mediante il Green Deal, verso un’economia green e a basso impatto ambientale, l’Europa ha deciso di puntare sull’innovazione in questo campo anche per giocare un ruolo di avanguardia tecnologica e di tutto quello che ne segue, applicandola in vari ambiti. Uno dei settori più importanti, dove è necessaria la transizione, è proprio quello delle costruzioni. Il motivo è chiaro: il 40% della CO₂ totale prodotta proviene dalle costruzioni. E quindi è necessario, da un lato, modificare la catena di realizzazione degli edifici e dall’altro, anche la loro gestione». Lo afferma Diego Zoppi, membro del Consiglio Nazionale Architetti e dell’Architects’ Council of Europe (ACE). Non c’è solo un intento di sostenibilità ambientale, ma anche economica. In Europa il settore delle costruzioni è il secondo per importanza economica. Circa il 9,8% del PIL europeo deriva dalla produzione edilizia, e conta 25 milioni di addetti. «Tuttavia, è un settore che ha innovato poco, noi continuiamo a costruire case come le facevamo 50 anni fa. Cemento armato, ferro, mattoni, sono tutti prodotti che ad altissima impronta carbonica. Quindi ora è partita la corsa verso il bio-based elements, e quindi vince chi trova la soluzione per primo». Come si traduca questa “conversione verde” dei materiali lo spiega lo stesso Zoppi: «il ferro verrà sostituito con ogni probabilità dalle fibre di vetro o di carbonio. Tutto quello che deriva da una base carbonica, quindi organica, come prodotti di scarto alimentari o della filiera del legno costituiranno gli elementi principali per le costruzioni». Architetto Zoppi, come vede l’Italia nel percorso verso l’innovazione edilizia? «Nel percorso intrapreso dall’Europa, l’Italia è fortemente in ritardo. Non è soltanto una transizione materica: lo è anche in tema di capacità di produzione, quindi di capacità industriale e di innovazione professionale. Mi spiace che l’Italia sia stata tra i pochi Paesi che hanno votato contro l’approvazione della nuova EPBD. Mi spiace perché il nostro Paese si era fatto notare positivamente in piena emergenza Covid dopo che il governo italiano aveva ritenuto di usare proprio l’avanzamento nelle performance energetiche per riavviare l’economia. Questo era stato il senso e il valore del Superbonus nel 2021, quando è stato ideato. Questa misura ha funzionato come elemento di spinta dell’economia. Non è un caso che l’economia italiana sia tra quelle uscite meglio dalla crisi del 2021 provocata dalla pandemia. L’errore, però, è stato demandare tutti gli interventi al finanziamento pubblico senza un apparato efficiente di controllo dei costi. Così si è arrivati oggi a una spesa che si dice si aggiri intorno a 200 miliardi, avendo messo mano solo al 5-6% del patrimonio residenziale, avendolo fatto spesso in maniera poco corretta». Con la nuova EPBD in edilizia cosa cambierà specie in Italia? «L’obiettivo dell’EPBD è di arrivare a un patrimonio edilizio decarbonizzato al 2050. Mancano 25 anni, un tempo piuttosto ridotto. Per quanto riguarda l’Italia, la situazione è particolarmente complessa se si pensa che il nostro Paese conta su un patrimonio storico e datato molto più ampio rispetto agli altri Paesi UE. Nel contesto nazionale, il patrimonio storico (realizzato prima del 1919) si attesta sul 10% sul totale, mentre quello che ha più di 50 anni, supera il 60%. Inoltre, la maggior parte di questo patrimonio a oggi è classificato in classe F e G. Secondo la nuova EPBD si dovrà arrivare nel 2030 ad avere un risparmio del 16%, calcolato sui consumi 2020, e nel 2035 dovremmo arrivare a un meno 20-22%. Questo significa mettere mano non al 5%, come abbiamo fatto ora, ma al 40%: sono numeri enormi. Serve, quindi, cambiare strategia, a fronte delle preoccupazioni delle conseguenze che comporta tale situazione (la casa rappresenta per lo più il patrimonio più importante per ognuno di noi) e della complessità con cui agire, contando su un contesto nazionale, in cui la proprietà è estremamente frazionata. C’è poi un altro elemento da considerare: da una parte è necessario rendere più efficiente l’involucro dell’edificio, dall’altra bisogna anche modificare il sistema energetico che lo alimenta, puntando alle fonti rinnovabili». L’Italia ce la farà a centrare gli obiettivi? «Parlo a titolo personale: il nostro Paese è molto bravo a cavarsela nelle emergenze, quando deve basarsi sull’iniziativa dei singoli. È meno virtuoso se deve attivare meccanismi in cui il pubblico faccia da regia e da framework in un quadro in cui i privati si devono muovere. Lavorando su questi numeri è impensabile che lo Stato possa provvedere, come è accaduto per il Superbonus. Anche se il 40% degli edifici su cui occorre intervenire dovrà essere rivisto nell’arco di 15 anni, quindi con un tasso annuale equivalente a quello ammodernato grazie al Superbonus, non possiamo pensare di spendere 100 miliardi all’anno, dato che non ci sono. È possibile pensare a meccanismi incentivanti, sotto forma di sgravi fiscali, anche se quello dei bonus è un meccanismo tipicamente italiano e che fino ad oggi non si è dimostrato particolarmente efficiente sul piano dell’innovazione tecnologica: le aziende, contando sugli incentivi, non hanno interesse a mettere in atto meccanismi più rapidi, economici e performanti. Se, invece, si richiede di contribuire in parte o su tutta la quota con risorse proprie, questo stimola una maggiore volontà di innovare.» In questo percorso, quale ruolo avranno gli architetti per contribuire a raggiungere gli obiettivi fissati dalla nuova EPBD in edilizia, in termini di nuove costruzioni e di ristrutturazioni? «Nella filiera delle costruzioni, che consta di molteplici fasi che vanno dall’idea dello sviluppo immobiliare o della ristrutturazione, fino alla gestione del fine vita, tradizionalmente l’architetto-progettista entra in gioco nella seconda fase, quella cioè della definizione tecnica attraverso un progetto. Quindi, dopo che il proprietario o il costruttore programma il processo, è il momento del progettista. Nell’ottica portata dalla nuova EPBD in edilizia, cambia il ruolo del progettista: esso affianca quasi tutte le fasi del processo, considerando l’importanza di definire la creazione di valore, perché molti edifici oggi abitati hanno un rendimento molto basso. Ecco, allora, che servirà valutare quali dovranno essere gli interventi che partecipano alla creazione di valore. Essi non riguarderanno l’edificio in sé, ma le relazioni che ha con l’intorno: presenza di mezzi pubblici, di aree verdi, di scuole… Tutti questi elementi concorrono alla creazione del valore. Qui sta il concetto di rigenerazione urbana, che coinvolge sì il singolo edificio e quindi le sue prestazioni, ma che rappresentano solo una tessera di un mosaico ben più ampio. In un processo di rigenerazione urbana, si rendono necessari interventi che contribuiscano, insieme, a innalzare la qualità della vita di chi vive in quel luogo. Questo è un valore molto importante: senza di esso, il rischio è di migliorare la qualità dei singoli manufatti, senza però elevare la qualità della città. Quest’ultima non è solo la somma degli edifici, ma qualcosa di più complesso. A questo saranno chiamati gli architetti/progettisti, che dovranno avere una visione olistica dell’intervento». Quale valore avranno la tecnologia e la digitalizzazione? Detto che gli architetti dovranno avere questa visione olistica e più a largo raggio dell’intervento, occorre pensare che nella vita utile degli edifici rientra pienamente la sua gestione. Oggi l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione permea la nostra epoca: così anche gli edifici andranno considerati come device, in grado di fornire informazioni sulle proprie performance, sulle dinamiche, su quanto accade in funzione del loro utilizzo. Tutto questo diventerà parte delle performance del building. Quindi, anche da questo punto di vista, dobbiamo pensare gli edifici non più come un elemento statico, ma dinamico, che andrà gestito mediante una manutenzione programmata e quindi con la necessità di programmare interventi lungo tutto il proprio ciclo di vita». Che ruolo potrà avere il BIM? «Intanto già oggi il suo impiego diventa cogente e dal 2025 sarà reso obbligatorio negli appalti pubblici sopra il milione di euro. Ma va sottolineato il reale valore del Building Information Modeling: esso non è solo un’evoluzione dei programmi digitali che già usiamo da anni. Il BIM è un meccanismo che associa alla grafica e ai disegni una serie di dati che riguardano: i costi, i tempi di produzione e di realizzazione, la sicurezza del cantiere, l’impronta carbonica, comprendono l’intera filiera perché permettono di collegare i bisogni del cantiere alle produzioni in sede industriali, quindi la finalità di ridurre i tempi e i costi. Quindi, di nuovo, è un elemento per rendere più efficiente l’intera filiera. A tale proposito, va considerato lo strumento del digital twin che, in tempo reale permette di avere sottomano e in tempo reale la situazione di un bene. Succede per le navi, per gli aerei, ma accade già anche per le città. Penso, per esempio, all’Urban Digital Twin attuato dal Comune di Bologna. La città predice i propri consumi, l’andamento dei sistemi di trasporto pubblico e privato e una serie di fenomeni che permettono di ottimizzare i consumi e tutto ciò che è dinamico. Questo è il futuro che, come dimostrano già gli esempi in atto, sono già opportunità reali e presenti». La nuova EPBD introduce importanti novità in materia di certificazione energetica. Cosa sta accadendo in Italia a tale riguardo? «Partiamo da un elemento: l’Italia ha un problema di conoscenza del proprio tessuto edilizio, del proprio patrimonio. Da tempo si dice che bisognerebbe costituire una banca dati degli edifici in cui ognuno di essi abbia una “carta d’identità” che lo descriva a livello catastale, progettuale, energetico, statico. Spesso se ne parla dopo un evento sismico, a danno avvenuto. Oggi si apre una nuova stagione che prefigura sempre più di affrontare non solo gli eventi sismici, ma anche quelli atmosferici causati dai cambiamenti climatici. Siccome in questi anni lo Stato italiano si è reso conto di non conoscere l’entità dei bonus che elargisce, anche a seguito degli eventi sismici, intende affrontare questa situazione: dopo aver istituito la cabina di coordinamento della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici, presenterà, mediante il Dipartimento Casa Italia – Presidenza del Consiglio dei Ministri, una piattaforma su cui transiteranno i dati di chi chiederà il SismaBonus. Questa sarà soltanto la prima fase: tale piattaforma, infatti, è destinata a essere la base del Digital Building Passport, ovvero la carta d’identità di ciascun edificio. Con questa piattaforma, che è fatta sulla base del catasto, si dovrebbe andare verso la costituzione, invece di una piattaforma base, dove convogliare tutti i dati riguardanti gli edifici. La nuova EPBD prevede proprio la realizzazione di questo fascicolo obbligatorio che prevede un “passaporto di ristrutturazione”, documento che elencherà la tabella di marcia con cui ogni edificio dovrà avvicinarsi alle performance richieste dalla direttiva. Inoltre, ci dovrà essere un registro digitale degli edifici, che sarà quello previsto dal Dipartimento Casa Italia. Quindi, stiamo assistendo a una volontà di trasformazione fisica, ma anche di standardizzazione del processo, di acquisizione dei dati che se si riuscirà ad acquisire in forma sistemica, sarà possibile avere maggiore contezza delle tematiche da affrontare e quindi anche delle risorse economiche necessarie da investire. Sarà un passaggio fondamentale che, si spera, andrà in porto». Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento