DM 1444 del 1968: standard urbanistici, standard edilizi e zonizzazione

Il DM 1444 del 1968 definisce gli standard urbanistici (servizi collettivi) ed edilizi (altezza e distanza degli edifici, densità edilizia) e organizza la zonizzazione del territorio, ovvero lo suddivide in zone territoriali omogenee con specifiche norme e criteri con lo scopo di regolare l’urbanizzazione e la crescita delle città garantendo un equilibrato rapporto fra insediamenti privati e pubblici

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DM 1444 del 1968: standard urbanistici, standard edilizi e zonizzazione

Prosegue la panoramica sulla normativa edilizia. Dopo aver visto i requisiti igienico-sanitari (DM 5 luglio 1975), le barriere architettoniche (DM 236/89), le zone climatiche (DPR 412/93), la normativa energetica e la recente direttiva Case Green, oltre alle norme sugli impianti domestici (DM 37/08), il risparmio idrico e l’economia circolare, oggi vediamo il celebre DM 1444 del 1968 che regola la pianificazione urbanistica comunale attraverso la definizione di standard urbanistico-edilizi.

Il DM 1444/68, è il decreto attuativo delle misure previste dalla Legge 765/67 cd. “Legge Ponte”, che modifica la prima, organica, e tutt’ora vigente Legge Urbanistica Nazionale o LUN del 1942. Prima di allora, nei terreni venivano fatte costruzioni private non regolate da norme a tutela dell’interesse pubblico e venivano poi annessi dei servizi pubblici in zone periferiche di difficile raggiungimento e soprattutto nei pochi spazi che rimanevano disponibili. Ciò determinava una crescita molto disordinata della città che non aveva una pianificazione di insieme ma che appariva piuttosto come aggregazione di elementi indipendenti a discapito dell’interesse della comunità.

Una norma che dura da oltre cinquant’anni. Il Decreto rispondeva all’esigenza, a fronte del contestuale obbligo per i comuni di dotarsi di un piano regolatore generale (PRG), di gestire la crescita delle città garantendo un equilibrato rapporto fra insediamenti privati e pubblici. Ora che il modello economico è profondamente e irreversibilmente cambiato e risponde a criteri di circolarità delle risorse e condivisione, anche lo sviluppo territoriale si sta orientando dall’espansione verso nuovi paradigmi incentrati su logiche di contenimento dell’uso di nuovo suolo e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente.

Zonizzazione del territorio comunale, riserva di spazi per attrezzature collettive o pubbliche per ciascun abitante da insediare e limiti alla densità edilizia, altezza e distanza degli edifici sono quindi gli strumenti attraverso cui il legislatore ha cercato di governare lo sviluppo urbano che dal dopoguerra in poi ha supportato la crescita economica del Paese. Il passaggio della competenza legislativa in materia urbanistica alle Regioni, a partire dal 1971, ha determinato la conferma dell’impostazione “quantitativa” e “limitativa” del DM 1444/1968 nelle varie leggi regionali via via approvate.

Secondo Ance tra i maggiori problemi della rigenerazione urbana, in particolare se prevede interventi di demolizione e ricostruzione, è l’obbligo del rispetto degli standard urbanistici (dotazione minima delle aree per servizi) e degli standard edilizi (limiti di densità fondiaria, altezza e distanza tra edifici). Vediamo tutti i limiti e pregi della prima normativa che ha tentato di arginare l’urbanizzazione selvaggia, la crescita incontrollata delle città italiane.

Il DM 1444 del 1968

Il DM 1444 del 1968, pubblicato nella Gazz. Uff. 16 aprile 1968, n. 97, è il decreto di attuazione della legge n. 765 del 1967 cd. Legge Ponte. La disciplina degli standard urbanistici trova infatti il suo fondamento nell’art. 17 della legge 765/1967 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), che ha introdotto l’art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942.

Il DM 1444 del 1968

Il DM 1444/68 è norma statale che detta prescrizioni e parametri per l’urbanizzazione e l’attività edilizia cui devono attenersi gli enti locali nell’esercitare le loro funzioni di governo del territorio (adozione e approvazione degli strumenti urbanistici, anche attuativi, e delle relative norme tecniche). Sia le norme comunali che regionali non possono andare in deroga ai limiti minimi stabiliti dal presente decreto, tuttavia, possono prevedere più stringenti e rigide prescrizioni riguardo gli standard urbanistici ed edilizi (minori altezze, maggiori distanze, minori indici di fabbricabilità, ecc).

Il DM 1444 detta limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e standard urbanistici (rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi) da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. Il decreto, stabilisce i requisiti di progettazione circa:

  • le zone territoriali omogenee (zto)
  • gli standard urbanistici (dotazione minima di servizi)
  • gli standard edilizi (altezze, distanze, densità edilizia)

Vedremo infine le varie deroghe agli standard introdotte dalle successive normative che si sono avvicendate nel tempo, per ultime, quelle del decreto Salva Casa.

Zone Territoriali Omogenee (Z.T.O.)

Il DM 1444 del 1968, all’art. 2, mette in atto la zonizzazione del territorio, lo suddivide cioè in differenti zone dotate di autonome regole urbanistiche, al fine di una pianificazione territoriale funzionale alle esigenze della collettività.

zonizzazione del territorio nel comune di Padova

L’art. 2 del decreto, in attuazione dell’art. 17 della legge 76/1967, individua aree a diversa regolamentazione dei nuovi strumenti urbanistici, diverse “zone omogenee” o Z.T.O. (zone territoriali omogenee) a cui prevede norme differenziate:

  • zone A (centro storico), agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti;
  • zone B (di completamento), parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, ove la superficie coperta degli edifici esistenti è superiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria e nelle quali la densità territoriale sia superiore a 1,5 mc/mq;
  • zone C (residenziali d’espansione), aree destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità delle zone B;
  • zone D (produttive), aree destinate a nuovi insediamenti di carattere industriale, commerciale e direzionale, o simili;
  • zone E (agricole), parti del territorio destinate ad usi agricoli;
  • zone F (servizi), aree destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

La zonizzazione del territorio permette di utilizzare specifiche norme per la pianificazione urbanistica comunale, regole ad hoc circoscritte per l’area di interesse. Nella volontà del legislatore, le zone omogenee sono uno strumento di verifica dell’applicazione degli standard.

Gli standard urbanistici (dotazione minima di servizi)

L’art. 3 del DM 1444/68 assicura una dotazione minima di servizi per ogni abitante insediato o da insediare, i cosiddetti standard urbanistici: verde, parcheggi, scuole, attrezzature o servizi di quartiere. Sono quantità minime di attività e servizi pubblici da riservare obbligatoriamente in presenza di attività edificatoria.

Standard urbanistici per insediamenti residenziali in zona A-B-C

Gli standard minimi per gli insediamenti residenziali sono pari a 18 mq per abitante, così ripartiti:

  • verde pubblico (9 mq/ab)
  • istruzione (4,5 mq/ab)
  • parcheggi (2,5 mq/ab)
  • attrezzature di Interesse comune (2 mq/ab)

Ai fini dell’osservanza dei suddetti rapporti nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, per ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno). Questa quantità può essere maggiorata di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).

Esistono delle variabili, in funzione del numero di abitanti e della zona in cui operiamo gli standard: la loro applicazione è ponderata e articolata per zone territoriali omogenee.

Standard urbanistici e zone omogenee

L’art. 4 del DM 1444/68, prevede standard urbanistici articolati in base all’uso del suolo, una quantità minima di spazi destinata a servizi, stabiliti in rapporto alla diversità di situazioni obiettive e contingenziali. Il decreto organizza una zonizzazione del territorio, differenziandola per funzioni insediative con lo scopo di attribuire specifiche norme regolatorie, al fine di garantire la crescita equilibrata delle città fra insediamenti privati e pubblici.

Standard urbanistici e zone omogenee

Standard urbanistici differenziati per le diverse zone omogenee territoriali (zto):

  • zone A, il Comune se impossibilitato a raggiungere gli standard minimi (per mancata disponibilità di aree idonee, per ragioni di rispetto ambientale o altro) deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature.
  • zone B, a dimostrata impossibilità di rispettare gli standard su aree idonee, gli stessi vanno reperiti nelle immediate vicinanze;
  • zone C, devono rispettare integralmente gli standard minimi;
  • zone D, devono distinguersi:
  • nuovi insediamenti di carattere industriale o simili, almeno il 10% della superficie di tali insediamenti deve essere dedicata ad uso pubblico (attività collettive, verde o parcheggi);
  • nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento (SLP) di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli pertinenziali di cui all’art. 18 della L. 765/1967);
  • zone E, sono caratterizzate da uno standard ridotto (6 mq) da destinare all’insieme delle attrezzature di interesse collettivo e di aree per l’istruzione;
  • zone F, gli spazi destinati a utilizzazioni collettive, devono prevedere almeno:
  • 1,5 mq/ab per l’istruzione superiore all’obbligo (istituti universitari esclusi);
  • 1 mq/ab per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
  • 15 mq/ab per i parchi pubblici urbani e territoriali.

Ove le zone C in Comuni con più di 10.000 abitanti siano contigue o in diretto rapporto visuale con particolari zone del territorio (coste, laghi, corsi d’acqua importanti) o con preesistenze storico-artistiche e archeologiche, la quantità minima di spazio per verde pubblico è fissata in 15,00 mq/ab; quindi il totale degli standard urbanistici aumenta a 24 mq/ab.

Nei comuni inferiori a 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in mq 12 dei quali 4 mq riservati alle attrezzature scolastiche. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in comuni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi i mc/mq. I comuni che si trovano nell’impossibilità, per mancanza di aree disponibili, di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omogenee, debbono dimostrare tale indisponibilità.

Standard edilizi (altezze, distanze, densità edilizia)

Il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, definisce anche standard di progettazione, limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi.

Standard edilizi (altezze, distanze, densità edilizia)

Definiti standard edilizi, essi sono limiti relativi a:

  • densità edilizia (o fondiaria)
  • altezza degli edifici
  • distanze tra fabbricati

A differenza degli standard urbanistici, che definiscono gli spazi da destinare alle attività e servizi di pubblica utilità (verde, istruzione, sanità, parcheggi), gli standard edilizi regolano l’attività edilizia vera e propria, le quantità e modalità dell’edificazione, i limiti attinenti all’attività edilizia.

Limiti di densità edilizia (o fondiaria)

La densità edilizia indica il rapporto tra superficie edificata e superficie libera. Necessario per regolare il limite di densità fondiaria è l’indice di edificabilità o fabbricabilità, ovvero la quantità massima di superficie edificabile su una determinata superficie territoriale (si misura in mq/mq).

Standard edilizi: Limiti di densità edilizia
Densità fondiaria o edilizia: i limiti del DM 1444/68

L’art. 7 del DM 1444/68, stabilisce i limiti inderogabili di densità edilizia e fondiaria per le diverse zone territoriali omogenee come segue:

Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo, le densità edilizie e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico; per le nuove costruzioni, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq;

Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi (previste dagli articoli 3,4 e 5). Nel caso di singoli edifici trasformati mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti:

  • 7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti;
  • 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti;
  • 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti.

Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti ma, non oltre il 70% delle densità preesistenti.

Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono posti specifici limiti.

Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di 0,03 mc/mq.

Limiti di altezza degli edifici

L’art. 8 del DM 1444/1968 stabilisce i limiti di altezza degli edifici nelle diverse zone urbanistiche del territorio comunale.

Altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee secondo il DM 1444
Altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee secondo il DM 1444

Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

  • Zone A): per le operazioni di restauro e risanamento conservativo, non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture; per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l’altezza massima di ogni edificio non può superare l’altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico.
  • Zone B): l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all’art. 7.
  • Zone C): contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A) predette.

Per gli edifici ricadenti in altre zone (D, E, F), le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati (art. 9) di cui al successivo capitolo.

Limiti di distanze tra i fabbricati

La distanza tra i fabbricati o gli edifici, disciplinata sia dal codice civile che dal D.M. 1444/1968, ne garantisce la sicurezza strutturale oltre alla vivibilità urbana e le condizioni di igiene e salubrità delle nostre città. L’art. 873 c.c. prevede che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri”. L’art. 9 del DM 1444/1968 prescrive per tutte le nuove costruzioni (escluse le ricadenti in zona A), la distanza minima assoluta di 10 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Limiti di distanze tra i fabbricati o edifici (DM1444/68)
Limiti di distanze tra i fabbricati o edifici (DM1444/68)

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

In Zona A, ove vige il generale divieto di nuove edificazioni, per le operazioni di restauro e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

Nelle Zone C, è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a m 12.

Le distanze minime tra edifici – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  • 5 m per lato, per strade di larghezza inferiore a metri 7;
  • 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 e 15 m;
  • 10 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 metri.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa.

L’unica deroga al DM 1444, prevista all’origine (art. 9), valeva solo per gruppi di edifici formanti oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche: in questo caso, sono ammesse distanze inferiori a quelle minime anzidette.

Deroghe al DM 1444: l’art. 2-bis del Dpr 380/01

Uno dei principali problemi che si frappongono ad una realizzazione diffusa ed agevole degli interventi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, soprattutto mediante demolizione e ricostruzione, è rappresentato dal rispetto delle disposizioni sugli standard urbanistici (rapporti fra insediamenti e spazi/immobili pubblici o per attività di interesse generale) ed edilizi (limiti inderogabili di densità edilizia, altezza, distanza fra edifici) contenute nel DM 1444/1968.

Gli interventi di “sostituzione edilizia” si inseriscono generalmente in un contesto urbano consolidato che, soprattutto in presenza di aumenti di volumetria, rende difficile il rispetto dei limiti di densità, distanza o di altezza, così come il reperimento di aree da destinare a standard urbanistici.

Deroghe regionali al DM 1444: l’art. 2-bis del Dpr 380/01

Nel tentativo di “sbloccare” queste situazioni, sono state apportate significative modifiche al Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/01), dalle varie leggi sulle semplificazioni in materia edilizia emanate nel tempo. A seguito della modifica del 2013 (inserito dalla Legge 98/13 di conversione del DL 69/2013), è stato aggiunto l’art.2 bis deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati” con il quale si prevede la facoltà delle Regioni e Provincie autonome di introdurre, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al d.m. 1444/1968, che dovrebbe agevolare gli interventi di demolizione e di ricostruzione o di sostituzione edilizia.

La legge 120/2020 di conversione del D.L. 76/2020 (decreto Semplificazioni) ha inserito il comma 1-ter, una deroga specifica per la demolizione e ricostruzione di edifici. In questi casi, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito. Nelle zone A (centri e nuclei storici consolidati), gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti.

Da ultima, la Legge 105/2024 di conversione del D.L. 69/24 (decreto Salva Casa), ha introdotto nuove semplificazioni edilizie: oltre alle deroghe sui requisiti di agibilità e igienico-sanitari, più generose tolleranze costruttive ed esecutive, ha aggiunto il comma 1-quater, che facilita gli interventi edilizi di recupero dei sottotetti. Sono ora consentiti, nei limiti e secondo le procedure previsti dalla legge regionale, anche quando l’intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a condizione che siano rispettati i limiti di distanza vigenti all’epoca della realizzazione dell’edificio, a patto di nessuna modifica nella forma e nella superficie, all’area del sottotetto, come delimitata dalle pareti perimetrali, e che sia rispettata l’altezza massima dell’edificio assentita dal titolo che ne ha previsto la costruzione, gli interventi di recupero dei sottotetti a fine abitativo.

L’articolazione differenziata delle legislazioni regionali ne rende  frammentata e disomogenea l’applicazione sul territorio nazionale. L’Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) ha aggiornato (aprile 2024) il dossier sulle deroghe regionali al DM 1444/1968 (link in fondo all’articolo).

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