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Il neo presidente nazionale della sezione AIME DESIGN Giorgio Caporaso spiega come intende portare le Pmi a ragionare anche in ottica green e circular Indice degli argomenti: Cosa significa l’apertura al design da parte di AIME? Quali sono le criticità e le potenzialità legate all’intenzione di gettare il seme dell’eco-design in contesti produttivi tradizionali? La sua esperienza di architetto come aiuterà nella visione di insieme? L’eco-design circolare applicato alle piccole e medie imprese. Da qui parte il percorso che ha avviato AIME, Associazione Imprenditori Europei che ha costituito da poco l’area di lavoro Design, affidandone la Presidenza nazionale di questa sezione all’architetto e designer Giorgio Caporaso. È una scelta ambiziosa, quella di affidarsi a uno dei più importanti interpreti attenti all’ecosostenibilità e all’economia circolare. Caporaso ha ricevuto vari premi e riconoscimenti per questo suo impegno green: lo scorso anno ha ricevuto il premio Top Design of the Year di GrandesignEtico proprio a motivo della qualità del suo design, nella tutela dei valori della sostenibilità e per il rinnovamento qualitativo indotto dalla ricerca e dalla tecnologia. È lui a spiegare cosa implichi ragionare in maniera nuova, differente: «la maggiore complessità nel passare da una logica di economia lineare a una di economia circolare è costituita dal pensiero: non possiamo più ragionare contando su risorse inesauribili, ma riusando quanto già c’è. Questo presuppone che il progettista debba sedere fin da subito al tavolo decisionale: da qui si parte con la rivoluzione prospettata dall’eco design, dall’architettura sostenibile. Occorre ragionare in maniera integrata, sistemica, interdisciplinare in un mondo sempre più complesso e rapido». Architetto Caporaso, cosa significa questa apertura al design da parte di AIME? Questa nuova area di lavoro nasce con l’obiettivo di comprendere ambiente, architettura e design, con un’attenzione rivolta anche alla progettazione in ottica di circular economy, aprendo così a un nuovo paradigma di visione progettuale. È un percorso sfidante, che intende far comprendere, specie alle Pmi, questo nuovo concetto di design ecosostenibile. Quali sono i primi passi del suo percorso? In questo momento sto lavorando sulla programmazione triennale 2020-2022. I primi passi saranno dedicati a momenti d’incontro informativi, magari direttamente in azienda o in sede AIME, iniziando a presentare in forma sintetica questi nuovi concetti rappresentati dal design – e ancor più design sostenibile – e dalla sua importanza anche su produzioni già esistenti e prospettando anche visioni di progetto, in termini di prodotti o di servizi. L’approccio vuole essere graduale, rispettoso delle realtà produttive, facendo prendere progressivamente confidenza su questi temi alle aziende associate, innanzitutto. Mi piacerebbe fare interventi progettuali mirati a modificare quello che c’è già, con un’ottica aperta all’ecosostenibilità, a una maggiore attenzione a questo aspetto e all’economia circolare già su produzioni esistenti. Da qui si può poi lavorare su nuove idee, facendo leva sulla capacità produttiva delle aziende. Ma il mio intendimento è andare oltre. In che direzione le piacerebbe spingersi? Desidererei arrivare a stimolare una collaborazione tra aziende, un’apertura che possa valorizzare ancor di più le capacità e le eccellenze di un’azienda. Il “design ecologico” può fornire nuovi spunti anche in questo senso, intervenendo anche su determinati aspetti più ampi come il packaging, la logistica, i servizi. Quali sono le criticità e le potenzialità legate all’intenzione di gettare il seme dell’eco-design in contesti produttivi tradizionali? Le criticità sono legati principalmente al fatto che spesso il “green” è associato a un costo maggiore, in termini di processi e di prodotti. Occorre prima di tutto far comprendere i benefici e le opportunità connesse, mostrando anche i costi occulti legati alla mancata sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre sarà importante cercare di orientare a una produzione di prossimità, generando un circolo virtuoso territoriale che favorisca il tessuto produttivo locale ed eviti costi maggiori magari collegati alla logistica e ai trasporti, per esempio. Mi piacerebbe avvicinare micro, piccole e medie imprese e poterle mettere in rete per generare un valore aggiunto maggiore. Le potenzialità sono legate all’imprescindibilità dell’attuazione di questo processo: su questi concetti di design sostenibile e di riuso delle risorse occorre muoversi fin d’ora per evitare poi di dover fare un balzo in avanti obbligato tra qualche anno, con le conseguenti difficoltà. Quindi, è opportuno avviare un percorso a piccoli passi. Si deve arrivare a considerare che il prodotto ecosostenibile non deve essere considerato un ostacolo, ma un’opportunità per essere maggiormente competitivi. Per farlo, però occorre saperlo presentare in modo adeguato, con una logica mirata: ed è qui che entra in gioco il design. Inoltre tutto questo modo di intendere apre anche nuovi percorsi e direzioni e permette di accedere anche a nuovi mercati. Non si vuole stravolgere un’esperienza, una storia aziendale: ma se si comincia ad affiancare l’esistente al nuovo paradigma è necessario avviare un percorso oggi, graduale e in grado di aprire anche nuove opportunità di business. La sua esperienza di architetto come aiuterà nella visione di insieme? La mia formazione può essere un aiuto nel settore del design circolare perché tradizionalmente l’architetto favorisce il ragionamento in maniera sistemica, coordinando fattori complessi per cogliere soluzioni, ragionando sull’intero ciclo e non su una singola parte. Pensiamo all’edilizia, alla necessità di instillare la sostenibilità che è un aspetto trasversale e che riguarda non solo il singolo edificio, ma la città. Non per niente si è cominciato a ragionare in termini di smart city, città intelligenti che coniughino funzionalità e benessere, servizi e rispetto ambientale. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento