Interessante proposta di riuso di aree ad alta sensibilità ambientale

Il tutto in un contesto di immersione in una natura, sicuramente antropizzata, ma ancora di grande fascino e suggestione, quale quella dell’Appennino tosco-emiliano.
Le aree coinvolte nel progetto (proponente Neolis® srl), collocate in affaccio diretto sul scenografico bastione del Castello di Bardi, sono attraversate da movimenti franosi, in un generale quadro di fragilità idrogeologica del comparto, che conferisce ulteriore valore a un’ipotesi, pur rispettosa dell’ambiente, di sviluppo di territori di mezza montagna altrimenti destinati all’abbandono.
Ed è soprattutto questo l’aspetto di rilievo di un progetto che ha visto, nel necessario iter di variante ai vigenti strumenti urbanistici e territoriali, l’attenzione degli enti di verifica e tutela, Comune e Provincia in primis, ma anche Arpa, Asl, Comunità montana, ecc., per una proposta in grado di valorizzare gli elementi di pregio del territorio, facendoli entrare sinergicamente in relazione con lo spirito dell’iniziativa imprenditoriale avanzata. Siamo, infatti, spesso abituati a concepire i vincoli posti a protezione di aree sensibili come divieti assoluti, che se, da un lato, ne evitano la compromissione, dall’altro, inibendone l’uso, “pesano” su zone sovente già interessate da calo demografico, invecchiamento della popolazione, movimenti migratori e altre forme di impoverimento del territorio e della sua cultura.
Sperimentare nuove e intelligenti funzioni, con cui rivitalizzare aree povere di risorse, che non siano la sola bellezza proprio del loro relativo isolamento, costituisce per il nostro Paese, un sicuro obiettivo prioritario per il futuro. A maggior ragione ora, in cui non sembra ragionevolmente ipotizzabile pensare più di tanto, negli anni a venire, un trasferimento di finanze pubbliche in favore di siti non più centrali nelle dinamiche di sviluppo economiche e produttive e, pertanto, con corto respiro di bilancio.
Al fine di dare il senso dell’esportabilità di questa iniziativa, abbiamo rivolto ai principali esponenti del team di progettazione, che ha portato avanti la procedura di variante al prg e ha messo a fuoco il masterplan d’insieme del comparto, alcune domande intese come più generale riflessione su un tema di grande attualità.
Tra questi, Claudio Sangiorgi (coordinatore del gruppo), docente di Tecnologia presso il Politecnico di Milano e con anni di esperienza e ricerca nel campo della bioedilizia; Marco Nieri, eco-designer, progettista di giardini bionergetici e autore di un prezioso manuale sul “Bioenergetic landscape”; Monica Lazzarini, dello Studio Associato Ecos, specializzato in studi di incidenza e valutazioni di impatto ambientale.

Claudio Sangiorgi (www.studiosangiorgi.it):
Una richiesta di variante agli strumenti urbanistici vigenti testimonia di una rigidità del quadro vincolistico e prescrittivo sul territorio inadeguata rispetto alle contemporanee esigenze di flessibilità nella gestione di quest’ultimo?
Non direi. Un quadro normativo, in campo urbanistico-territoriale, è per definizione una codifica di esigenze e di valori di una Comunità a una data soglia temporale. Ipotizza un determinato sviluppo delle dinamiche insediative e ambientali e interviene per regolamentarle, sì da agevolare quanto in esse viene ravvisato di positivo e per tenere sotto controllo ciò che, invece, potrebbe risultare negativo per una crescita equilibrata del sistema comunità-territorio. Ciò non toglie, ovviamente, che possano sorgere successivamente istanze e urgenze, non inizialmente considerate, ritenute degne di attenzione e in linea con il disegno politico (nel senso più nobile del termine) di conservazione e sviluppo del contesto alle diverse scale (locale, provinciale e regionale). La procedura di variante, prevista dalla legge, è quindi proprio lo strumento correttivo per poter introdurre, in un quadro urbanistico consolidato, elementi di novità e innovazione che, originariamente, non erano stati previsti.
Personalmente diffido, al contrario, di quei sistemi normativi e regolamentari che tracciano solo linee quadro di riferimento, lasciando alla autonoma proposta del mercato e dell’impresa piena e libera iniziativa in un settore così delicato come la gestione del territorio. La deregulation, in quest’ambito, sovente rischia di essere uno slogan dietro cui si celano interessi speculativi, a volte sin troppo evidenti.

Qual è il livello di scala cui deve scendere la definizione preventiva di un intervento, in una procedura di variante agli strumenti urbanistici? Ci si può accontentare di semplici indicazioni parametriche?
Ovviamente, una risposta a questa domanda non può essere univoca, nel senso che dipende da caso a caso. In generale si deve trovare un equilibrio tra la necessità della Pubblica Amministrazione, di definire quanto meglio il campo di possibili successivi interventi alla concessione di variante, sì da essere certa dell’effettiva realizzazione di quanto autorizzato poiché ritenuto conforme al disegno politico di gestione e sviluppo del territorio, e le esigenze del privato proponente, di ottenere – senza eccessivamente esporsi in termini di oneri – una certezza normativa in grado di innescare i processi di finanziamento indispensabili per operazioni sempre di un certo impegno economico.
Sotto questo profilo, ritengo il caso-studio della nostra proposta per Varsi, da voi succintamente tratteggiato, un buon compromesso tra queste contrastanti necessità. Si sono, infatti introdotte nella norma specifiche connotative (dei manufatti, della loro interazione con il territorio e delle loro reciproche relazioni) e di destinazione, che mettono precisi paletti a ciò che potrà essere il processo di trasformazione dell’area oggetto di variante. Una notazione di dettaglio, quella richiesta dalla Pubblica Amministrazione, che è stata, tuttavia, utile pure per il nostro gruppo di progettazione, in quanto ci ha obbligato a meglio definire, anche in termini di progetto, il disegno dei singoli elementi costitutivi del complesso oggetto di proposta, aiutandoci a chiarire le intenzionalità e i fini di quest’ultima.

Come si gestisce il rapporto “certezza dei tempi”, requisito fondamentale per la committenza, e “profondità di analisi”, indispensabile per l’Amministrazione, in una procedura di variante finalizzata a un intervento inteso come investimento?
Questo è sicuramente una questione su cui è difficile trovare un punto di equilibrio. Colui che richiede una variante agli strumenti urbanistici, avrebbe il comprensibile desiderio di ottenere le indispensabili autorizzazioni in tempi ristrettissimi. La Pubblica Amministrazione, da lato suo invece, non solo deve avere il tempo necessario per compiere le dovute verifiche rispetto alla proposta avanzata, ma direi che deve anche poter sedimentarla rispetto a una molteplicità di fattori (a volte anche privi di rappresentanza e inespressi, pensiamo alla flora e alla fauna), che è giusto siano considerati prima di concedere la propria autorizzazione a procedere. Certo, il vaglio attento e scrupoloso non deve diventare un alibi per nascondere inefficienze e ritardi non giustificati, ma, in tutta onestà, devo dire che non mi è mai capitato, come professionista, di confrontarmi con situazioni di questo genere.
Non bisogna tacere, al contrario, che, spesso, ritardi e lungaggini sono in realtà ingenerate da un atteggiamento di insofferente sufficienza da parte della committenza e dei professionisti, che non si preoccupano neanche di capire esattamente i termini e i contenuti di presentazione degli elaborati e dei documenti richiesti per un’esaustiva istruttoria delle pratiche da parte della Pubblica Amministrazione.

La procedura di variante e i passaggi in cui si concretizza, nella sua personale esperienza, potrebbero essere oggetto di una semplificazione? In che termini?
Semplificare, senza banalizzare, ciò che è complesso è difficile. Anche perché ogni operazione di trasformazione del territorio, se è vero che incide immediatamente a livello locale, è altrettanto vero che determina degli effetti a sistema su scala provinciale e regionale (e a volte nazionale). Forse, però, ci sono enti (penso all’Arpa o all’Asl), le cui istanze specifiche di carattere generale potrebbero essere raccolte preventivamente dal proponente la variante, invece di intervenire in sede di conferenza dei servizi, e, semmai, approfondirsi in termini di maggior dettaglio nella fase di definizione puntuale del progetto vero e proprio.
Si rischia, altrimenti, di introdurre uno strabismo di scala, nell’esame delle proposte, che può ingenerare una certa confusione e risultare insensatamente oneroso per il proponente.

La variante di piano non dovrebbe, più opportunamente, essere accompagnata da uno studio di fattibilità e capacità economica di dare corso alla trasformazione richiesta?
Di questo sono intimamente convinto. Una variante, una volta accolta, configura un nuovo quadro normativo regolamentare di uso di un determinato territorio, con cui eventuali ulteriori ipotesi di nuove destinazioni – a loro volta da definirsi in variante o tramite aggiornati strumenti urbanistici – devono confrontarsi. Le funzioni autorizzate, in altri termini, diventano parte integrante del disegno politico di una Comunità, da me più volte richiamato e posto alla base della gestione e dello sviluppo del territorio.
Non ci dobbiamo, infatti, dimenticare che l’economia (etimologicamente, “la regola della casa”) è la scienza delle scelte, essendo per definizione le risorse a disposizione della “casa” scarse. Orientare l’economia di un territorio secondo un certo programma e poi scoprire che quel programma non è attuabile, significa compiere delle scelte (e magari escluderne delle altre, o comunque condizionarle) senza che poi queste portino il loro positivo contributo in termini di sviluppo. E questo è, con tutta evidenza, non solo un peccato, ma anche un danno. Non si tratta, infatti, solo di un’occasione mancata; è una scelta che esclude alternative possibili e, magari, al contrario realisticamente concretizzabili.

Marco Nieri (www.archibio.it)
Può essere davvero sostenibile, al di là degli slogan, un intervento edilizio in aree di sensibilità (vulnerabilità) ambientale? In che termini?
Ogni intervento edilizio comporta una modificazione ambientale dovuta alla struttura in sé ed ai servizi ad essa collegati. La responsabilità del proponente consiste proprio nel riuscire a valutare preventivamente in quale misura e con quale impatto complessivo la struttura riuscirà ad “integrarsi”, in quanto proprio qui sta il valore dell’intervento. Dopo tanto scempio ambientale, non abbiamo certo bisogno di ulteriori protagonismi progettuali o celebrazioni del genio di qualche personaggio. Lasciamo a contesti urbani altri accostamenti d’avanguardia ed opere massicce, per ricercare modalità di inserimento misurato che chiedano permesso alla natura e ai suoi abitanti. In questo senso, se la sensibilità di tutti si accorda su questa lunghezza d’onda, il risultato può rappresentare addirittura un’opportunità di avvicinamento all’ambiente.

I criteri di certificazione della sostenibilità degli interventi, che si stanno diffondendo anche in Italia, sono efficaci strumenti di controllo della qualità delle trasformazioni territoriali o essenzialmente strumenti di mercato, in risposta a una crescente sensibilità per le tematiche ambientaliste?
Attualmente la situazione ambientale è estremamente delicata, e fortemente connessa a quella economica. Pensiamo ad esempio al cosiddetto problema del picco del petrolio e alla questione del cambiamento climatico, ben interpretati dal movimento delle “Transition Town”. Esistono pressanti motivi che ci inducono ad accelerare senza indugio scelte che vadano nella direzione del risparmio energetico e del controllo sulla origine eco e socio-sostenibile dei materiali utilizzati. Le certificazioni che da alcuni anni si stanno diffondendo a proposito svolgono comunque un ruolo importante di indirizzo e controllo, testimoniando l’applicazione di principi inderogabili. La risposta positiva del mercato immobiliare che ne deriva è poi un segnale di gradimento sociale di scelte importanti di qualità e di accorgimenti, che tutto il comparto edilizio dovrebbe assumere come prassi quotidiana. Casomai occorre chiedersi se oltre all’interesse per l’aspetto energetico – aspetto assai focalizzato, ad esempio, da Casa Clima – e per quello ecologico, incentrato sull’ambiente, non siano altrettanto importanti le scelte e le verifiche in direzione della bio-compatibilità, cosa che trovo un po’ trascurata dalle linee guida delle certificazioni di sostenibilità. Queste oggi corrono il rischio di tecnicizzare l’approccio all’architettura, dimenticandosi dell’uomo nella sua interezza.
Da questo punto di vista quasi rimpiango i primi movimenti forse un po’ “sognatori e idealisti” di venti, trent’anni fa, quando le persone volevano proprio avere una casa che fosse in linea con le loro aspirazioni e filosofie di vita, a tutti i costi.

Non sarebbe più corretto, in termini di valutazione degli impatti, invece di utilizzare la definizione di “bioecologica”, parlare di architettura “migliorativa”?
Non credo. La necessità attuale è di procedere per salti di qualità; non possiamo più permetterci di temporeggiare. Quindi sono favorevole ad applicare il meglio che possiamo, in tutti i sensi, connotando fortemente le nostre scelte anche con vocaboli evocativi come “bioecologico”. E del resto, il termine “migliorativo” esprime già un limite, nel senso che si può certamente fare di meglio sempre; ma chi decide cosa è meglio e quanto vogliamo migliorare? Il rapporto costi/benefici deve sempre essere valutato da tutti i punti di vista: ambientale, biologico, sociale, energetico, e aggiungiamo pure spirituale, emozionale, estetico…

Quale ruolo attivo può svolgere il verde (che non voglia ridursi a una cornice paesaggistica) nella sostenibilità di un intervento?
Ogni intervento sul verde è paragonabile all’impatto che ha una qualunque altra architettura, almeno in termini di segno grafico e presenza fisica e scenica. In più rappresenta un elemento vivente che a tutti gli effetti interagisce col territorio, gli animali e le condizioni climatiche. Aggiungo anche che, come esseri umani, siamo intimamente collegati alla natura, che riveste per la psiche ed il corpo un’importanza fondamentale: la stessa forma di un albero interagisce con gli archetipi depositati nella nostra memoria più di quello che coscientemente percepiamo.
La coerenza paesaggistica, l’affinità del nuovo all’esistente, è perciò un valore fondamentale in qualunque intervento cosiddetto sostenibile, e l’armonia che questo comunica è in larga misura testimonianza di un ordine, che la psiche coglie osservando il lavoro svolto nella sua cornice ambientale complessiva.

L’analisi energetica di un sito quali fondamenti di scientificità ha? Il suo essere “hic et nunc” (qui e ora) non la rende uno strumento di pura fotografia istantanea (e quindi inaffidabile sotto il profilo della previsione) che nulla può dire in termini di sviluppi e andamenti futuri dei caratteri di un sito?
La storia documentata dell’uomo ha sempre intrecciato il rigore del sacro con la spontaneità del profano. Curiosamente però, in entrambi questi ambiti si è sempre riconosciuto al luogo la capacità di influenzare la vita e la salute delle persone. Gli antichi templi, le cattedrali romaniche e gotiche che spesso sorgevano sui resti di questi, gli antichi edifici di potere,…: tutti erano costruiti tenendo conto di aspetti “energetici” del luogo, per lo più riconosciuti nei secoli da sacerdoti e sensitivi.
Oggi moltissimo di questi saperi è andato perduto, ma la sensibilità umana rimane vulnerabile nei confronti di forze o energie che la scienza fatica a riconoscere. Basti pensare al fenomeno dell’elettrosmog, di cui abbiamo modo di verificare intensità e provenienza, ma di cui il mondo accademico non riconosce ancora pienamente la nocività, pur esistendo infinite prove evidenti e testimonianze in questo senso. Se poi ci addentriamo in valutazioni sulla qualità e intensità di energie di origine naturale, il divario si fa incolmabile. Ma per la delicatezza e complessità di questi fenomeni è ancora difficile trovare un linguaggio interpretativo comune. Personalmente, per queste analisi opero seguendo gli insegnamenti del Dott. Walter Kunnen di Anversa, un autentico capo scuola sull’analisi elettromagnetica della Biosfera e sulla valutazione della sua influenza sulla nostra salute, che ha dedicato più di 40 anni a queste ricerche. Da questi studi possiamo verificare che oggi certamente i luoghi sono in trasformazione, soprattutto a causa dei campi elettromagnetici artificiali. Anche quelli di origine naturale lo sono di conseguenza, ma abbiamo anche strumenti per migliorare e ottimizzare localmente la qualità del nostro ambiente, a partire dalla qualità dell’edificio, dall’impiantistica biocompatibile fino ad arrivare a particolari accorgimenti esterni di schermatura, e addirittura alla creazione di giardini bioenergetici, a cui mi dedico da tempo, in grado di apportare un particolare beneficio sui vari organi del corpo umano. In questo senso possiamo affermare che la combinazione di questi elementi ci consente di ottenere un risultato duraturo nel tempo.

Monica Lazzarini (www.ecos-sa.it)
Una valutazione d’impatto formalizzata su commissione del privato interessato a un intervento di trasformazione territoriale (come sovente accade), non nasce con un vizio “ab origine” nella sua pretesa di scientificità?
Ritengo che il vizio “ab origine” non sia così stringente, anche se questo tipo di valutazione deve partire dalla serietà professionale e intellettuale dei tecnici chiamati al lavoro.
Per quanto concerne la mia esperienza diretta, impostando un rapporto di chiarezza con il committente privato fin dai primi passi, è possibile arrivare ad una valutazione seria e indipendente, che fornisca un parere motivato, le possibili alternative, le misure di mitigazione e di compensazione da mettere in campo nel caso si verificassero impatti.
Ricordo infine che la valutazione finale viene sempre comunque espressa dagli enti territoriali competenti.

L’analisi di un sito non dovrebbe precedere lo studio di fattibilità di un intervento (e non il contrario, come spesso accade), fornendo le linee guida utili per la formalizzazione di quest’ultimo?
Si, infatti per quanto riguarda i Siti Natura 2000 (entro cui ricade l’area oggetto di richiesta di variante, nel Comune di Varsi), sottoposti a valutazione di incidenza, esistono sempre dei formulari che riportano le relative valenze faunistiche e floristiche e spesso anche cartografia e relazioni di approfondimento.
Per quanto riguarda il progetto valutato nel Comune di Varsi effettivamente erano disponibili molti dati, ovviamente riferibili al SIC (Sito di Interesse Comunitario) nella sua estensione completa. Il lavoro dello studio Ecos è stato proprio quello di valutare quali sensibilità potevano essere presenti nell’area ristretta di intervento e quale poteva essere il ruolo dell’area di studio per la conservazione dell’intero sito.
Mancavano invece linee guida specifiche, perché non era ancora disponibile un piano di gestione.

E’ davvero prevedibile l’impatto di un intervento sul territorio? In che misura e con che margini di aleatorietà?
La misura con cui si può giudicare l’attendibilità di una valutazione di incidenza credo che risieda principalmente in due fattori: il progetto dell’intervento di trasformazione deve essere quanto più possibile accurato, così come anche la conoscenza del sito su cui si sta avanzando con processi di valutazione.
E’ necessario quindi raccogliere quanti più dati bibliografici disponibili e procedere con tutti i sopralluoghi e i censimenti necessari per completare le informazioni.

Quali indicatori fondamentali definiscono la qualità di un intervento sul territorio?
Nel caso specifico di un intervento all’interno della Rete Natura 2000, come per il progetto di Neolis® srl, penso che l’indicatore più funzionale sia una misura della biodiversità, intesa in primo luogo come mantenimento delle specie (vegetali e animali) più sensibili, e successivamente come la conservazione di tutte le altre specie presenti.

In contesti di particolare sensibilità, non sarebbe corretto pretendere un monitoraggio permanente dell’impatto degli interventi, come obbligatorio per l’autorizzazione degli stessi?
Ritengo che il monitoraggio post-operam sia un ottimo strumento, almeno per qualche anno successivo alla conclusione degli interventi (non necessariamente in modo permanente).
Bisognerebbe però avere il rigore scientifico e politico di trovare soluzioni, anche impegnative dal punto di vista progettuale, per poter fare un passo indietro nel caso venissero sollevati impatti dimostrati dai monitoraggi.
In caso contrario il monitoraggio sarebbe un inutile spreco di risorse.

Il testo della Deliberazione del Consiglio Comunale, Delibera n.62, data 29 dicembre 2010:
“Approvazione variante normativa all’art.51 (zone residenziali di espansione) e abrogazione art.90 (distanze dai limiti di zona) delle NN.TT.AA. al P.R.G.

Art. 51
Zone residenziali di espansione
1 – Le zone C sono destinate prevalentemente alla residenza.
2 – Destinazioni diverse dalle attività ricettive e residenza sono consentite solamente ai piani terra e primi piani degli edifici. In caso di destinazioni diverse dalla residenza dovranno essere assicurate le superfici di parcheggio previste dalla tabella B.
3 – Le zone C si dividono in zone residenziali di espansione di tipo 1 e 2. Quando non espressamente specificato si interpreta come zona residenziale di espansione di tipo 2.

Destinazioni d’uso compatibili:
U1 – Abitazioni
U2 – Attività ricettive, di tipo alberghiero ed extra alberghiero, abitazioni collettive
U3 – Attività di servizio pubbliche e private
U 3.1 – Attività commerciali al dettaglio
U 3.2 – Pubblici esercizi
U 3.3 – Usi vari di tipo diffusivo.
U 3.4 – Centri commerciali integrati
U 3.6 – Direzionale e complessi terziari
U 3.7 – Artigianato di servizio
U 3.9 – Attività culturali di ritrovo e spettacolo
U 3.10 – Servizi sociali (di quartiere)
U 3.12 – Attrezzature sociosanitarie

4 – Nelle zone residenziali di espansione, il piano si attua per intervento urbanistico preventivo sulla superficie minima di intervento individuata graficamente nelle tavole di P.R.G. applicando i seguenti indici:

Zone di tipo 1
a) It = indice di fabbricabilità territoriale = 7500 MC/ha.;
b) Q = rapporto di copertura = 40%;
c) Sl = aree di urbanizzazione primaria; strade= P.R.G. e progetto;
parcheggi = P.R.G. e tab. B;
d) S2 = aree di urbanizzazione secondaria (sulla superficie utile realizzabile) = 25 mq/100 mc comprensivi della superficie a parcheggio di cui al punto precedente;
e) Opere di urbanizzazione primaria: strade, parcheggi, fognature e illuminazione devono essere realizzate a carico del richiedente e cedute al comune secondo le modalità fissate dalla convenzione. Opere di urbanizzazione secondaria: possono essere realizzate per conto del Comune per il controvalore degli oneri di concessione, secondo quanto disciplinato in sede di convenzione;
f) H = altezza massima 8, 50 m.;
g) Vl = indice di visuale libera = 0,5;
h) oneri di urbanizzazione in conformità a quanto fissato dalla delibera del Consiglio Comunale;
i) Parcheggi privati (coperti e scoperti) = 10 mq. ogni 100 mc.;
l) distanza minima dai confini = ml.5.

2) Zone di tipo 2
a) It = indice di fabbricabilità settoriale = 6500 mc/ha;
b) Q = rapporto di copertura = 25%;
c) Sl = aree di urbanizzazione primaria: strade= P.R.G. e progetto parcheggi= P.R.G. e tab. B;
d) S2 = aree di urbanizzazione secondaria (sulla superficie utile realizzabile) = 25 mq/100 mc comprensivi della superficie di parcheggio di cui al punto precedente;
e) Opere di urbanizzazione primaria: strade, parcheggi, fognature e illuminazione devono essere realizzate a carico del richiedente e cedute al comune secondo le modalità fissate dalla convenzione. Opere di urbanizzazione secondaria: possono essere realizzate per conto del Comune per il controvalore degli oneri di concessione, secondo quanto disciplinato in sede di convenzione;
f) H = altezza massima= ml 8,50;
g) Vl = indice di visuale libera = 0,5;
h) oneri di urbanizzazione in base a specifica delibera del Consiglio Comunale;
i)Parcheggi privati (coperti e scoperti) = 10 mq. ogni 100 mc.;
l) distanza minima dai confini ml. 5.

5) Località Cà Ferrari o Chiappa
In località Cà Ferrari o Chiappa è previsto un comparto a volumetria predefinita, da realizzarsi con strumento urbanistico attuativo, con principi di bio-architettura, bio-edilizia, risparmio energetico e utilizzo ottimizzato delle risorse naturali esistenti (ad esempio: pannelli foto-voltaici, recupero acque interne, ecc.), ed è volto alla valorizzazione anche delle aree circostanti. Gli obbiettivi principali dovranno essere:
5.1. Il comparto si estenderà su un’area di 62.988 mq, al cui interno si trova un piccolo agglomerato di unità immobiliari da ristrutturare, in un contesto naturale di estrema bellezza circondato da boschi cedui e con vista sul castello di Bardi.
5.2.Un giardino bioenergetico all’interno di aree boscate e a seminativo con l’obbiettivo di garantire la fruibilità anche ai disabili.
5.3. Un’area attrezzata, esterna all’area di lotto oggetto di convenzione, per offrire trattamenti con fanghi naturali all’interno di un bosco di 44.610 mq con sorgente.
5.4.Percorsi vita e attività di rigenerazione in sinergia con la vegetazione esistente.

Indici e parametri edilizi:
a) volumetria massima complessiva realizzabile mc 12.800;
b) superficie massima edificabile (nuove costruzioni) mq 3.200;
c) H = altezza massima = ml 4 per interventi di Nuova Edificazione.
Ml 8,50 per interventi di Ristrutturazione edifici già in essere.
Mantenimento attuali quote di gronda per edifici sottoposti a Restauro e Risanamento Conservativo;
d) distanza minima tra le case: 5 m tra fronti ciechi, 10 m tra fronti finestrati per interventi di nuova edificazione.
Distanze minime esistenti per interventi di Restauro e Risanamento Conservativo e Ristrutturazione per edifici già in essere;
e) parcheggi superficie massima da realizzarsi all’interno della perimetrazione di piano mq 1500;
f) opere di urbanizzazione primaria: strade, parcheggi, fognature e illuminazione ecc. devono essere realizzate a carico del richiedente e il comune non ne richiederà la cessione, secondo quanto disciplinato in sede di convenzione;
g) oneri di urbanizzazione secondaria in base a specifica delibera del Consiglio Comunale;

Prescrizioni Particolari e obblighi in fase di predisposizione del piano particolareggiato:
1) rispetto rigoroso degli adempimenti di cui agli artt. 21-22 e 22 bis delle Norme di attuazione allegate al PTCP;
2) rispetto rigoroso delle prescrizioni contenute nella relazione geologica geotecnica adottata;
3) utilizzo di legno, pietra e vetro come materiali principali di costruzione dei padiglioni di nuova edificazione;
4) il piano particolareggiato dovrà essere predisposto nel rispetto rigoroso di tutte le osservazioni in premessa riportate e degli approfondimenti richiesti dagli Enti interessati.

Didascalie immagini
1.Il corpo della storica locanda collocata sull’Ippovia dell’Appennino e all’interno del comparto oggetto del futuro intervento.
2./3./4. Il sito oggetto di proposta di variante è collocato in scenografico affaccio sul punto di confluenza tra la Val Noveglia e la Val di Ceno, in corrispondenza del Castello di Bardi.
5. L’articolata segnaletica dei sentieri del complesso del Barigazzo Pizzo d’Oca.
6. Carta della stabilità e del rischio geomorfologico dell’area (elaborazione Dott.Geologo Domenico Bianco).
7./8./9./10. Il Giardino accessibile terapeutico realizzato nel 2009 per il Polo Multifunzionale Regionale per le disabilità “Corte Roncati” di Bologna (Marco Nieri).
Si tratta di un giardino bioenergetico studiato per essere accessibile anche a coloro che presentano disabilità motorie, realizzato su una superficie verde di circa 900 mq dove erano presenti alcuni grossi Cedri.
Questo giardino offre anche uno dei primi percorsi acrobatici accessibili tra gli alberi d’Europa, fruibile in sicurezza con l’assistenza di un operatore qualificato. All’interno dello spazio sono stati collocati un paio di giochi accessibili. I materiali utilizzati per i percorsi e gli arredi sono tutti di origine naturale e sostenibile.
11. Il progetto con le aree benefiche per l’organismo generate sia dalle piante esistenti (un Cedro) che di nuovo impianto, entro le quali sono state collocate le sedute e le zone di sosta (Marco Nieri).
12. Anacamptis pyramidalis; orchidea di interesse conservazionistico rilevata all’interno dell’area di studio di Varsi (Pr) (Studio Associato Ecos).
13. Prato stabile con presenza di orchidee, indicato come habitat di interesse comunitario ai sensi di Rete Natura 2000 (Studio Associato Ecos).

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