Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Come è nato il Masterplan di Expo? Il sito di Expo Milano 2015 è progettato come espressione del tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. L’area è modellata come un paesaggio unico, un’isola circondata da un canale d’acqua, vero e proprio monumento orizzontale, e si struttura intorno a due assi perpendicolari di forte impatto simbolico: il Decumano e il Cardo della città di fondazione romana. La griglia che ne risulta determina la struttura dei lotti di terreno assegnati a ciascun Paese, tutti affacciati sul Decumano. Secondo un principio innovativo, Expo Milano 2015 garantisce quindi, nella loro diversità, un’eguale rappresentanza ai Paesi, offrendo a tutti i Paesi che lo vorranno un singolo spazio espositivo. Il team di Expo2015 (Ufficio di Piano UdP), costituito da circa 20 giovani progettisti (architetti, urbanisti, ingegneri, paesaggisti), guidati da me, responsabile della Progettazione Architettonica e Urbana del sito, e da un gruppo di architetti e ingegneri senior specialisti (guidati da M. Gatto), ha disegnato, con il supporto di 5 architetti di fama internazionale, ideatori del concept Masterplan – Stefano Boeri, Ricky Burdett, Joan Busquets, Jacques Herzog e William McDonough – un sito espositivo interamente modellato sul tema. Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita è il principio informatore di ogni struttura fisica e del sito nel suo insieme, concepito come un paesaggio unico e di forte impatto, pensato per fornire al visitatore un’esperienza continua e sorprendente. Il paesaggio diventa un monumento vivo, che celebra il concetto di “trasformazione”, che è alla base dei cicli dell’alimentazione e della sostenibilità ambientale. In questo modo tutti i partecipanti verranno chiamati a contribuire alla creazione di strutture tematiche basate sul rapporto con la terra, l’acqua e il sole, fonti di nutrimento e vita per il pianeta, con particolare attenzione agli spazi aperti dove potranno essere messe in scena grandi performance. Oggi a distanza di anni dal primigenio Masterplan, credo che la forza iniziale espressa dalla consulta di architetti abbia, seppur con qualche rinuncia, mantenuto quella sufficiente tensione tra il pensiero iniziale e la realizzazione dell’idea stessa; una dichiarazione di principi complessi ed articolati da attuare, all’interno di una cornice decisionale molto eterogenea, per formazione, per cultura e per sensibilità individuali alterne. Le Esposizioni Universali sono manifestazioni di carattere globale che offrono all’architettura l’occasione di sperimentare e presentare soluzioni tecnologiche e progettuali innovative. Qual è il valore aggiunto delle architetture per Expo 2015 L’architettura contemporanea, se posta di fronte al tema della temporaneità, orienta, per necessità, la ricerca verso soluzioni costruttive, tecnologiche e l’impiego di materiali tra loro diversi, fino al limite del loro possibile utilizzo, mettendo talvolta alla prova il senso stesso dell’abitare uno spazio, quello pubblico nel nostro caso. In questa Esposizione Universale, forse per la prima volta, l’espressione architettonica sposta il proprio ruolo dalla materia del costruire, seppur evidente e riconoscibile, oltre che straordinaria in taluni casi, alla capacità di partecipare e tradurre un tema, di coinvolgere e sorprendere il pubblico, di contenere la tradizionale enfasi formale e tecnologica, spesso figlia di questi grandi eventi, all’interno di un vocabolario comune, condiviso e di strettissima attualità: “Feeding the Planet, Energy for Life”. Il valore aggiunto è la ricerca e l’utilizzo di materiali autoctoni, di importazione locale, d’interesse regionale o nazionale in un costante equilibrio di saperi. Possiamo spingerci a definire queste architetture “glocal”, termine assai noto, ma l’incertezza del nostro tempo (e forse per nostra fortuna) tende a restituire sigle a mio parere oggetto di semplificazioni non curanti del fatto che la complessità in gioco è talmente articolata e le relazioni così diffuse, che descrivere un’architettura presente a Milano per Expo 2015, significa innanzitutto ricostruire e presentare una possibile “tradizione”, esportarla, declinarla nel sito, applicando tecniche costruttive artigianali con soluzioni tecnologiche sostenibili, materiali riciclabili, riusi e recuperi, future donazioni di materiali, opere, parti vegetali e botaniche, in un’unica miscela tra tradizione e modernità. È una ricerca a volte sofisticata di materiali “poveri” (bambù, terre naturali, legni) applicati ad un linguaggio tecnico ed architettonico di sottile e sapiente composizione delle parti, tra la coesione di materiali tra loro diversi, come ad esempio quanto accaduto per il progetto del Padiglione cinese (dello studio Link-Arc, LCC di NY), il cui utilizzo di materiali tradizionali e di nuova generazione offriranno un prodotto dal risultato finale di assoluto fascino, lasciando al visitatore una scansione di temi decisamente diretti nel definire il rapporto tra tradizione, contemporaneità e sviluppi futuri; si pensi che la struttura in legno della copertura del padiglione riprende il sistema tradizionale cinese “raised-beam” adattandolo alle moderne tecnologie costruttive, rivestendola con pannelli di bambù posati a scandole. L’acciaio costituisce l’ossatura portante dell’intero edificio (sistema strutturale primario) con profili standard europei e in taluni settori le strutture saranno realizzate in AESS (acciaio strutturale architettonico a vista); altro interessante caso quello del Padiglione del Giappone, nel tentativo di dare “un’interpretazione contemporanea e tecnologicamente avanzata dei fondamenti della cultura tradizionale giapponese, vicina alla natura ed al ciclo vitale della cose”; struttura in acciaio e rivestimento esterno non strutturale in legno di cedro con funzioni di frangisole, confermando la tradizione della composizione reticolare giapponese. Nel caso invece del padiglione USA (Studio Biber Architects, NY), l’acciaio strutturale è interamente riciclabile come i pannelli Xlam, così il vetro e l’acciaio corrugato perforato utilizzato per il rivestimento; come la “passeggiata” realizzata in legno recuperato dalla famosa secolare passeggiata di Coney Island a NY. L’acciaio porta e si svela all’interno o esprime senza sovrastrutture l’idea stessa di architettura. Anche qui basta vedere la relazione tra il padiglione di Vanke di D. Libeskind e la pacata quanto misurata attenzione che il padiglione della Spagna (di Fermin Vazquez studio b720) introduce nella dicotomia tra legno e acciaio, nell’uso di acciaio inossidabile riflettente, incollato su tavole di OSB e fissate meccanicamente sulla trama strutturale in legno: acciaio sinonimo di innovazione abbinata all’industria alimentare spagnola; o il padiglione argentino che elabora in chiave “temporanea” i silos di cereali in acciaio disseminati nei vastissimi territori del Paese. Come non accorgersi del padiglione del Cile di Cristian Undurraga, che impiega il legno di pino (direttamente importato dal Cile) in un gioco sapiente e chiaro di volumi strutturali in cui l’acciaio inox fissa, incastra e completa il nodo strutturale, annullando quasi del tutto la propria presenza, ma risultando determinante per l’atto finale. Expo 2015 parlerà di cibo e alimentazione, non solo nel senso più pragmatico, ma metaforicamente parlando anche di nutrimento di diversi concetti astratti, come la spiritualità. Come le costruzioni di questa manifestazione saranno nutrimento per il mondo della progettazione e dell’architettura? Tenderei a restituire il concetto di “sostenibilità allargata”, una visione del mondo meno spettacolare e più condivisa, consapevole delle risorse a disposizione. Quella pratica quotidiana (spesso in passato disattesa, ma oggi riconosciuta da “quasi” tutti fondamentale), che raccoglie, recupera e ricompone “consumi” diffusi, riproponendo una cultura architettonica tesa alla solidarietà, allo scambio continuo tra materie nobili e recuperi di ordine e grado differenti, applicando la tecnologia più evoluta al dettaglio della componentistica, dell’assemblaggio, all’appoggio, alla leggerezza e controllo numerico delle parti, alla razionalizzazione tra processi produttivi a “secco”, l’ottimizzazione dell’attività cantieristica sia in fase di pre-produzione che di trasporto, montaggio e smontaggio, all’interno di un processo di contrazione dei tempi che solo un’Esposizione Universale mette tutti gli attori a dura prova. La lezione più importante l’hanno restituita i progetti più attenti ai temi dell’intera filiera della progettazione; consapevoli del fatto che solo una diretta e chiara “semplificazione” di tutti i processi che dalla progettazione portano alla realizzazione, consente di tracciare in forma diretta il significato di sostenibilità. Ovviamente, e qui Expo Milano 2015 è un chiaro punto di partenza, non sempre il registro delle buone pratiche è così evidente e ben interpretato; Milano e l’Italia hanno saputo introdurre una strada che ha portato ad una rappresentanza internazionale di assoluto valore, il cui confronto è alle porte, senza veli e ipocrisie, mettendo a nudo (con occhio vigile e attento è possibile cogliere ogni differenza) con un gioco di sovrapposizioni culturali, fatti e storie molto, molto diverse tra loro, tra evidenti nazionalismi e una pluralità di linguaggi architettonici “meticci”; forse è qui che possiamo parlare di spiritualità. Smontabilità e riciclabilità, sostenibilità, fruibilità per i disabili, spazi aperti e verdi, queste le caratteristiche imposte da Expo per la realizzazione di tutti i padiglioni dell’Esposizione Universale. Come i Paesi hanno affrontato la sfida? Tutti fattori determinanti per una condivisione e declinazione a tutti i livelli del tema dell’Expo. I Paesi hanno, a seguito di precise indicazioni contenute nelle Linee Guida per la progettazione dei padiglioni, inteso il tema della permeabilità e dell’accessibilità – “Design for All” – con la massima attenzione, non solo rispondendo alla normativa nazionale e locale, ma assumendo come principio superiore che l’esperienza del visitatore non deve avere limiti fisici particolari, anzi ogni progetto e realizzazione dovrà garantire il massimo “confort” e assistenza anche per coloro che hanno difficoltà di varia natura. Abbiamo sempre richiesto ai partecipanti di prestare una attenzione specifica, non tanto nel dividere coloro che sono abili da coloro che hanno difficoltà di movimento o di vista, ma di integrare e considerare, con i necessari apporti tecnici, le diverse differenze fisiche (percettive, sensoriali, motorie, uditive, visive, etc.). Si è cercato di abbattere il concetto di “spazi dedicati”, sostituendolo con “spazi per tutti”, nella reale consapevolezza che le diversità hanno bisogno di chiare dimostrazioni di integrazione, non solo sociale ma anche spaziale. Non ci si limita a definire un percorso, ma a vivere un luogo. Questo obiettivo non è scontato, considerando la fortissima differenza con la quale ogni Paese affronta il tema e la non sempre attenzione che il progettista dovrebbe consapevolmente attuare allargando il principio, ma non diffonde un modo di abitare lo spazio (senza aree segregate o evidenti percorsi dedicati a volte però marginali). Si parla di una progettazione dell’Ufficio di Piano Expo con la collaborazione di un gran numero di giovani architetti. Cosa mi può dire di questo percorso e quale è stato l’approccio e la conoscenza dei giovani architetti con particolare riferimento all’acciaio? Sono convinto, dopo sei anni in Expo, che la scelta del 2009 di formare un team di giovani architetti e ingegneri italiani, sia stata corretta e vincente. Un atto di freschezza e fiducia verso le nuove generazioni doveroso e fondamentale in Italia, sia per l’entusiasmo e la dedizione al lavoro che dimostrano tutti i giorni, che per l’occasione di formare progettisti all’interno di un’esperienza unica, internazionale e per certi aspetti irripetibile (a breve) nel panorama italiano. Dal progetto del Masterplan alla progettazione preliminare e definitiva di molte opere architettoniche, infrastrutturali e paesaggistiche di particolare difficoltà e delicatezza, tutte calate all’interno di un sito molto complesso, ricco di pre-esistenze di notevole impatto. Non solo, in seguito hanno avuto la possibilità di confrontarsi con progettisti di tutto il mondo, architetti, ingegneri, paesaggisti, con pletore di diplomatici, artisti, esperti di materiali, specialisti del food ed altro ancora. Un mondo a portata di mano. Con questo spirito è nato l’Ufficio di Piano (UdP) e in seguito il Technical Office (TO). Diverso l’approccio ai materiali, in particolare l’acciaio; purtroppo la conoscenza dei materiali, per usi diversi, dall’architettura, al paesaggio, dall’industrial design all’ingegneria alle costruzioni in genere, non è, nei giovani progettisti, un tema del tutto conosciuto ed esplorato. L’acciaio in Italia, pur avendo espresso ed esprimendo un valore aggiunto di grande importanza per la qualità delle opere architettoniche e infrastrutturali (e non solo), soffre in alcuni casi da parte dei giovani progettisti della corretta applicazione, non sapendo come sfruttare al massimo il potenziale che la materia stessa esprime. Manca a mio avviso una cultura dell’acciaio destinata al progetto architettonico che possa diffondersi ed essere condivisa anche fra le giovani generazioni; nel nostro caso i giovani dell’UdP hanno potuto confrontarsi con questo materiale attraverso il prezioso contributo professionale di Monica Antinori, Senior Engineering di Expo 2015. I giovani molto spesso prediligono l’acciaio per i motivi più disparati, ma occorre che questa passione sia sorretta da una consapevole conoscenza della materia; l’Università, la ricerca e il mondo della produzione devono tra loro dialogare costantemente, integrando competenze apparentemente diverse tra loro, sviluppando progetti di divulgazione culturale, applicando nel concreto stage e periodi di formazione sia all’interno di importanti realtà produttive e non solo professionali, ma anche sul campo, nei cantieri, nei laboratori, in tutte quelle aree di interesse affinché la conoscenza non si “limiti” al puro gesto artistico, ma formi professionalità. Certamente possiamo affermare che l’Ufficio di Piano ha elaborato anche progetti infrastrutturali di grande impatto formale, utilizzando l’acciaio per due importanti opere permanenti, quali le passerelle pedonali denominate PEM e PEF, che superando autostrade, ferrovie, sottopassando arterie stradali, hanno voluto sottolineare la necessità di porre maggiore attenzione al disegno delle infrastrutture di collegamento; l’architettura contemporanea deve rivolgere con sempre maggiore determinazione il proprio sguardo anche in questa direzione. Una cultura del disegno urbano indifferibile. Secondo la sua esperienza professionale, quali sono i vantaggi nell’uso dell’acciaio per strutture temporanee come quelle di Expo? Diversi materiali hanno dimostrato di potersi adattare, con gradi diversi di risposta tecnica, funzionale ed estetica ai principi della temporaneità. L’acciaio sicuramente è tra gli attori principali; i motivi sono facilmente comprensibili: scheletro strutturale, costruzioni “a secco” – restituendo un grande vantaggio in fase cantieristica – realizzazione in officina di parti importanti del progetto, facilità e rapidità di montaggio e smontaggio, leggerezza, sicurezza, valore formale ed espressivo, flessibilità d’uso, riuso, recupero e riciclabilità e altri ancora. Non solo le opere temporanee dei padiglioni hanno visto diffuso l’uso dell’acciaio , ma l’Ufficio di Piano, ha progettato e realizzato, interi percorsi pedonali lungo il canale che delimita il sito, facendo ampio uso dell’acciaio corten e inox, tra paesaggio e architettura, segnando il territorio perimetrale al sito, come luogo di relax, d’incontro e passaggio. Ogni Paese che ha realizzato il proprio padiglione per Expo ha fatto uso dell’acciaio, chi in forme più virtuose e significative, chi come elemento strutturale, altri nei dettagli e nella composizione degli allestimenti, altri ancora di supporto a materiali e opere tra le più varie, come nel caso del padiglione del Vietnam, progettato dal bravissimo e giovane architetto Vo Trong Nghia di Ho Chi Minh City, in cui l’acciaio è di sostegno ad un bosco di bambù di grande fascino. La temporaneità ha una caratteristica propria, che fa dell’acciaio un materiale di grande interesse: la semplificazione, ovvero il meccanismo del comporre/scomporre ad arte. Intervista a Ciro Mariani - Chief Architect EXPO 2015 1 Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento