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Una riflessione teorica, che trova applicazione in alcuni progetti in corso d’opera tra l’Italia e la Francia, mostra come l’architetto Alfonso Femia, con il suo studio (Atelier(s) Femia), ripensi allo spazio della formazione post-Covid in un’ottica flessibile e versatile, immaginando ambienti modulari in grado di accogliere il paesaggio esterno e spazi della condivisione da utilizzare non solo nei momenti ricreativi. Complesso scolastico di Legnano (Verona) Indice degli argomenti: Dentro il progetto L’idea di “scuola aperta” I numeri della scuola italiana Atelier(s) Femia e la scuola Complesso scolastico di Legnano (Verona) 2020 MAPI Centro di formazione e ricerca presso l’Università di Annecy, in Francia Ristrutturazione del sito Pasteur con creazione della “Villa Créative”, Avignone Ancor prima dell’emergenza Covid ci si chiedeva su più fronti come ripensare lo “spazio della scuola” in un panorama spesso obsoleto come quello dell’edilizia scolastica nazionale. Adesso la necessità è ancora più stringente. @Daniel Banner L’architetto Alfonso Femia che ha un ricco portfolio di architettura scolastica, ha recentemente fatto alcune riflessioni scaturite dalla contingenza Covid, fattore che in realtà ha fatto riemergere la situazione drammatica delle scuole italiane. Trai suoi obiettivi anche quello di creare dei tavoli di dibattito per costruire proposte fattibili e concrete per ogni singolo contesto territoriale, sfruttando la mappa dell’edilizia scolastica urbana e costruendo una griglia di riferimento per tipologia e georeferenziazione. “La “scuola” è sintetizzabile in tre elementi: spazio, condivisione e apprendimento. Non è solo questo naturalmente, ma queste tre cose, che ne rappresentano il significato, sono state perse di vista, nella caotica, irrazionale preparazione alla riapertura, dopo la lunghissima quarantena. Messo da parte il tema della progettualità dello spazio, la partita si sta giocando e si è già persa su un’emergenza che si è artificialmente sovrapposta a quella pandemica. Uso il termine artificialmente perché i sette mesi di chiusura avrebbero potuto essere una grande occasione per generare un dibattito costruttivo, capace di evidenziare i problemi reali, antecedenti alla pandemia, e di mettere a fuoco una strategia, a piccoli passi per pianificare un futuro per il Paese e per i giovani, a partire dall’educazione. Invece la scelta politica è stata quella di risolvere, proprio nel modo più artificiale e prefabbricato (mascherine e sanificazioni in primo piano, distanza prossimale in subordine e sicurezza per i trasporti casa – scuola, attraverso la rete pubblica, irrisolta) l’immediata necessità di riaprire “in sicurezza”, in una contraddizione continua di decisioni e azioni proposte con discutibile rigore scientifico. Sono state stanziate davvero molte risorse: 660 milioni tra Fondo strutturale e Decreto Rilancio, erogati a luglio in parte destinati alle scuole, in parte agli enti locali, avrebbero potuto essere un’occasione per lavorare sull’edilizia scolastica, sulle tecnologie, sulla mobilità, sulla città”, spiega l’architetto. Dentro il progetto “In termini progettuali, l’idea è quella di immaginare luoghi senza perimetro, di portare il paesaggio dentro l’edificio ma anche di disegnare volumi che consentano il processo inverso e dunque che la scuola sia paesaggio. Uno dei luoghi fondativi della città, dei territori, delle comunità. Al posto della parola integrazione nel luogo, applicando il principio dell’ambivalenza: la scuola contiene una piazza ambientale ed è scenario interattivo dell’ambiente urbano. In questo, e per assurdo, c’è persino una positività nell’effetto Covid: la scuola tradizionale reca con sé l’idea di limite fisico e psicologico, mentre, sia pure in modo un po’ forzoso, il Covid induce a pensare all’idea di uno “spazio intorno”. Quello “spazio intorno” che è il luogo del conoscere, dello sperimentare, dell’applicare e che un’architettura attenta può riprodurre alla micro-scala dell’ambiente interno chiuso e alla macro scala dello spazio esterno in relazione con la città e con il “fuori”. La progettualità innovativa deve porre grande attenzione agli spazi collettivi, quelli di pausa e attesa, che diventino generosi per dimensione e funzioni (musica, social), quelli della percezione e dell’incontro nei diversi momenti della giornata, sempre più influenzata da come ci rapporteremo con il nostro tempo”. Se si pensa ai mutamenti sociali, a come sono cambiati gli studenti dagli anni Ottanta a oggi, a come sono cambiati l’insegnamento e il modo di studiare, è immediato comprendere che l’impianto di scuola chiuso con aule e corridoi a scansire i percorsi è inadeguato ai progetti educativi. A questo si aggiunge, nell’immediato, la necessità del distanziamento fisico, che seppure difficile da raggiungere con i bambini e gli adolescenti, diventa impossibile in spazi così organizzati. “Concretamente il progetto della scuola post Corona Virus dovrebbe svilupparsi su tre punti essenziali: un edificio cellulare (non un edificio unico) con aree organizzate per diverse funzioni; l’intorno dovrà essere colonizzato (piste ciclabili, spazi dedicati se ci sono parchi pubblici di prossimità); filtri verdi, con diverse funzioni di rapporto con la città, e i diversi momenti della giornata e della ampia e articolata comunità che si muove intorno alla scuola, la vive, l’attraversa, la supporta, la gestisce, la sogna. In sintesi, l’obiettivo è che la nuova scuola sia un ecosistema composto da spazi di relazione, grandi corti e luoghi aperti per la didattica e non solo per lo svago e l’intervallo. Ripensare gli spazi o pensare scuole nuove non significa fare edifici con grandi giardini, ma creare relazione tra la scuola e il quartiere, attraverso posizioni e percorsi protetti che consentano un’interazione tra gli studenti e i luoghi limitrofi. Quando si affronta il progetto di un edificio questo è il primo passo progettuale che dia concretezza all’espressione “scuola osmotica”. Nelle aree verdi si possono disegnare padiglioni semi-coperti o con protezioni rimovibili a seconda delle stagioni e dell’attività, piccoli spazi attrezzati per laboratori, ma anche per lavori di gruppo e come spazi riservati per gli insegnanti, dunque multifunzione. Dove non ci siano vincoli e condizioni ostative, la dismissione, la demolizione e la ricostruzione consentono di ripensare, anche in termini di opportunità economica, l’edificio”. L’idea di “scuola aperta” Sempre nell’ottica dei nuovi stili di vita e dei nuovi stili di insegnamento e apprendimento, l’ambiente della formazione dovrebbe avere un carattere “frammentario”, a moduli, magari in grado di cambiare funzione e destinazione d’uso all’occorrenza, un disegno più versatile rispetto alla rigidità della struttura unica. “L’effetto “rinascimentale”, augurandoci che ci sia, del post-Covid contiene in sé la potenzialità di ribaltare le logiche dell’architettura scolastica, abbandonando la “costruzione” dell’edificio e lasciando posto a isole aperte, passanti, in grado di accogliere l’evoluzione della didattica, di favorire le relazioni tra chi insegna e chi impara”, precisa Femia. “Cito Peter Sloterijk nel libro Spheres III, la costruzione di isole è l’inverso dell’habitat, non si tratta più di collocare un edificio dentro l’ambiente, ma di installare, creare, realizzare un ambiente nell’edificio”. I numeri della scuola italiana Secondo il Miur sono più di 40mila le sedi scolastiche statali alle quali si aggiungono circa 12mila paritarie censite al 2019. Di queste quasi 14mila edifici scolastici sono nel nord ovest e più di 9mila nel nord est, più di 16mila al sud, più di 10mila nell’Italia centrale e quasi 8mila nelle isole. La popolazione scolastica è di quasi 8 milioni di studenti di cui 919mila nella scuola dell’infanzia, quasi 2 milioni e 500mila nella primaria, 1 milione 620mila nella secondaria e 2 milioni 600mila distribuiti tra licei, istituti tecnici e professionali. Sono 91 le università in Italia, distribuite in 170 città (l’università Cattolica per esempio è diffusa in 11 città), quindi sono molti gli edifici dedicati all’insegnamento accademico per un totale di circa un milione 720mila studenti. La maggior parte delle scuole si trova nei centri urbani ad alta densità di utenza ed è legata a schemi progettuali che erano la risposta a modelli didattici ed educativi di parecchi decenni fa. Sulle 40mila scuole statali, il 4 per cento è stato costruito tra il 1700 e il 1800, il 4 per cento tra il 1900 e il 1920, l’8 per cento tra il 1921 e il 1945, dunque il 16 per cento di edifici risale a prima della seconda guerra mondiale; il 12 per cento tra il 1940 e il 1960 e il 27 per cento dal 1960 al 1975 (diciamo che poco meno del 40 per cento degli edifici scolastici è stato pensato prima della rivoluzione studentesca), solo il 32 per cento delle scuole è stato costruito a partire dal 1976. Gli edifici non sono mai stati ripensati, al massimo adeguati sotto il profilo della sicurezza (solo l’8 per cento degli edifici è progettato secondo la normativa antisismica e il 54 per cento si trova in zone a rischio sismico). Atelier(s) Femia e la scuola La pratica progettuale di Alfonso Femia si lega a una riflessione teorica dinamica, dunque non ad assunti inderogabili, ma a pensieri coerenti con l’evoluzione del contesto e della società. Un’attitudine trascurata, addirittura invisa negli ultimi trent’anni in cui ha dominato la tecnologia come elemento essenziale dell’architettura. Privare l’architettura della relazione con gli elementi fondativi della sensibilità progettuale, subordinarla all’influenza delle tendenze, senza spirito critico, ha generato edifici distratti dagli aspetti di comfort e benessere psicologico dell’utenza. Se questo è vero per molte delle destinazioni d’uso dell’architettura, lo è ancora di più per quella scolastica, considerando che la scuola mette insieme interlocutori di generazioni differenti in una relazione professionale di somministrazione di contenuti e di accompagnamento alla crescita. Ricomporre la relazione tra i modi dell’apprendere e dell’educare e la definizione formale del contesto è, dunque, un tema di grande responsabilità professionale e di approfondimento sulle logiche di relazione, scambio e crescita, calate nell’evoluzione più ampia del contesto sociale. Nei progetti di Alfonso Femia si legge chiaramente la volontà di individuare il maggior numero di nessi e relazioni che si possano mettere in campo in un’architettura scolastica. Ecco alcuni esempi di spazi della formazione realizzati da Atelier(s) Femia in Italia e in Francia, ancora in corso d’opera: Complesso scolastico di Legnano (Verona) superficie: 12.000 metri quadrati “La scuola è il primo luogo in cui una comunità si forma e costruisce il proprio futuro e quelle del paese a cui appartiene. Il progetto per una scuola deve coniugare responsabilità e visione, rapporto con il tempo e senso di appartenenza, dimensione reale e immaginaria legata alle nuove generazioni che la vivranno e che in quei luoghi, di formazione e incontro costruiranno una parte importante della loro vita. Questo l’assunto fondamentale di un progetto consapevole del proprio potenziale rigenerativo per l’identità ed il futuro del territorio in cui si innesta”. Alfonso Femia Il progetto riguarda la 1^ fase di riqualificazione del complesso, consistente nella demolizione e ricostruzione della scuola secondaria di 1° grado “G.B. Cavalcaselle”. La nuova scuola deve ospitare 225 alunni, suddivisi in 9 classi e comprende una palestra aperta anche alla comunità locale. Il progetto integra l’intervento di ridisegno dell’area verde circostante, inserita nel corridoio ecologico del vicino Canale Terrazzo. 2020 MAPI Centro di formazione e ricerca presso l’Università di Annecy, in Francia superficie: 3000 metri quadrati L’Atelier (s) Alfonso Femia, a capo del team formato da De Jong Architects e Quadriplus Group, ha vinto il concorso per la costruzione della House of Public e International Action presso l’Università di Annecy. L’edificio ospiterà aule didattiche, spazi conviviali, laboratori di ricerca, uffici e spazi logistici. Cinque piani per poco più di 15 metri di altezza saranno a disposizione di accademici e studenti per attività individuali, di studio, confronto e di scambio. Il MAPI di Annecy avrà un ruolo importante non solo per la sua funzione ma per aver immaginato, alle diverse scale, un sistema poroso e permeabile con il contesto, che porterà alla realizzazione di un edificio universitario, formativo in ogni suo spazio, per la sua capacità di essere parte integrante del luogo rendendo tutte le parti del contesto che lo circondano parte fisica e percettiva dei diversi spazi didattici e conviviali. “Abbiamo voluto essere coraggiosi e proporre un edificio generoso nel suo piano terra aperto, attivo e attraversabile, nel rapporto con la strada, nella sua corte interna, nella piazza antistante che si collega al sistema degli spazi di accesso e pertinenza degli altri edifici. La responsabilità di portare l’ambiente dentro l’edificio, la generosità di eliminare perimetri e recinti dai luoghi del futuro, oggi quanto mai necessario”, ha spiegato Alfonso Femia Ristrutturazione del sito Pasteur con creazione della “Villa Créative”, Avignone, 2018-in corso superficie totale: 7 540 metri quadrati Il sistema di spazi pubblici fatto di passaggi, di strade e stradine strette, di piazze pubbliche si associa ai giardini privati e agli edifici pubblici per costituire una trama continua che garantisce il quadro della vita piacevole e dell’armonia della città di Avignone. Il progetto pertanto prende le mosse dal carattere dei luoghi e dai “laboratori del pensiero”, nati al Festival di Avignone, il progetto di “Villa Créative”, che ha creato ponti, collegamenti, interazioni tra discipline sia artistiche sia scientifiche. Luogo centrale di pensiero, di dibattito e di scambio intellettuale e scientifico del Festival di Avingnone, la “Villa Créative” esce dalla sua “dimensione estiva” per coltivare questa unicità durante tutto l’anno e offrire alla città di Avignone un posto dove trascrivere gli assi identitari della cultura. Il progetto di restauro e recupero funzionale crea un luogo trasversale e permeabile e mette in scena gli spazi aperti e la natura storica dell’impianto creando molteplici condizioni di rapporto permeabile e percettivo tra i diversi luoghi della formazione. Biografia Alfonso Femia è ideatore e co-fondatore di 5+1: lo studio, creato nel 1995 e diventato 5+1AA nel 2005, cambia poi la propria denominazione in Atelier(s) Alfonso Femia nel 2017. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento