Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Indice degli argomenti Toggle Consumo di suolo in Italia: una piaga senza una legge nazionale a contrastarlaRistrutturazione edilizia contro il consumo di suolo: cosa occorre fareServe riequilibrare un’Italia troppo Milano-Roma centrica Perché non puntare sulla ristrutturazione edilizia degli edifici abbandonati contro il consumo di suolo? È solo un’ipotesi, ma sarebbe bene considerarla per tentare di evitare un fenomeno che ogni anno erode una risorsa vitale, limitata e non rinnovabile qual è il suolo. «In Italia la superficie degli edifici non utilizzati è pari a 248,7 chilometri quadrati, qualcosa come tre volte la superficie urbanizzata di una città come Torino, ma abbandonata ai fantasmi», ha avuto modo di scrivere di recente Paolo Pileri, professore di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano e autore del recente libro “L’intelligenza del suolo”. Se pensiamo che nel solo 2022 quasi 77 chilometri quadrati di territorio agricolo e naturale sono stati trasformati in aree artificiali, una superficie maggiore a quella di Cremona, il dato assume contorni inquietanti. Urgono rimedi per evitare che l’Italia affoghi sotto cemento e asfalto. Da dove partire allora? Proprio dalla sfida di ridare nuova vita a edifici abbandonati, o impiegare la superficie da loro occupata per interventi di nuova edilizia, residenziale, industriale o commerciale, anziché usare suolo vergine. Lo stesso Pileri ha fatto un calcolo, basandosi sui dati Istat del 2012 (più recenti non esistono) ha messo in evidenza che: “Mediamente ogni Regione ha a disposizione una superficie urbana da recuperare talmente ampia che potrebbe non consumare un centimetro quadrato di suolo per cinque anni”. Si va dai tre anni della Lombardia ai 14,5 anni per la Liguria fino ai 17,8 anni della Calabria e ogni regione potrebbe beneficiare di una pausa, in attesa – si spera – di una legge nazionale che contrasti il fenomeno e possa condurre all’obiettivo dell’UE, definito nella Soil Strategy for 2030 di azzerare il consumo di suolo entro il 2050, ma con azioni concrete da intraprendere entro il 2030. Consumo di suolo in Italia: una piaga senza una legge nazionale a contrastarla Prima di parlare di ristrutturazione edilizia contro il consumo di suolo, è utile ricordare gli ultimi dati del rapporto pubblicato dal Sistema nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e ISPRA. Ispra, da 10 anni redige un rapporto in cui puntualmente si rimarca che il problema cresce. “Gli ultimi dati ci mostrano che, purtroppo, il consumo di suolo, con le conseguenze analizzate approfonditamente in questo rapporto, non solo da due anni non rallenta più, ma nel 2022 accelera bruscamente e torna a correre a ritmi che, in Italia, non si vedevano da più di 10 anni. I fenomeni di trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali hanno così sfiorato i 2,5 metri quadrati al secondo e riguardato quasi 77 chilometri quadrati in un solo anno, il 10% in più rispetto al 2021.” SNPA e ISPRA evidenziano che il fenomeno sta assumendo un ritmo insostenibile, che dipende anche “dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”. In poche parole, in Italia manca ancora una legge nazionale contro il consumo di suolo. Negli anni se n’è parlato, sono state prodotte bozze, ma non è stato fatto nulla di più: eppure l’Europa e le Nazioni Unite “ci richiamano alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e ci chiedono di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030”, ricorda Ispra. Ristrutturazione edilizia contro il consumo di suolo: cosa occorre fare Tra le possibilità da vagliare c’è quella della ristrutturazione edilizia contro il consumo di suolo. Perché finora non è stata ipotizzata? Quali sono le motivazioni per lasciare così tanti immobili inutilizzati e abbandonati? «Ci sono molti problemi che si sovrappongono. Ma la prima questione è che dovremmo disporre di un sistema statistico in grado di rispondere esattamente al quesito, senza nemmeno porci queste domande», risponde Pileri. Certo, dal conto vanno esclusi gli edifici eccentrici rispetto ai punti di interesse, quindi i tanti immobili delle aree interne o quelli in uno stato di degrado molto avanzato e per cui sarebbero necessari investimenti molto elevati per la loro rigenerazione. «Di sicuro, c’è una quota importante su cui non si è deciso di investire, magari nei piccoli capoluoghi che risentono dell’accentramento dei servizi nelle città più attrattive d’Italia e che hanno contribuito a svuotare molti di questi centri. Stiamo parlando, quindi, di edilizia non utilizzata e in modo analogo anche nel settore industriale si contano moltissimi capannoni abbandonati con una vita alle spalle di soli 15 anni perché sono cambiate le esigenze di spazi e di fruizione». Finché ci sarà la possibilità di acquistare terreni a un prezzo irrisorio rispetto al processo edilizio – sottolinea il docente – non c’è nessun interesse a spendere di più per riutilizzare o ampliare ciò che già esiste». A ciò si aggiunge la necessità di “far cassa” per molti Comuni italiani (specie i piccoli) spesso in sofferenza economica, contando sugli oneri urbanistici per realizzare capannoni. Serve riequilibrare un’Italia troppo Milano-Roma centrica Contare sulla possibilità di svolgere interventi di ristrutturazione edilizia contro il consumo di suolo potrebbe essere utile per dare una risposta all’esigenza di edilizia pubblica e pure per creare spazi per alloggi studenteschi. «Certo, ma non basta ammettere questa possibilità. Se si vuole immaginare di recuperare immobili per rendere l’operazione non solo conveniente, ma anche possibile è necessario bloccare il consumo di suolo perché se no le marginalità saranno sempre a vantaggio di costruire qualcosa di nuovo su un terreno a costi più appetibili». Inoltre, sottolinea ancora Pileri, occorre riuscire a bilanciare un Paese basato eccessivamente sulle grandi metropoli come Milano o Roma senza fornire servizi (pensiamo solo agli ospedali o alle università) al di fuori di esse. «Non si tratta non si tratta solo di rendere disponibili e accessibili le case che ci sono, puntando all’intervento statale che ci mette la differenza, ma si tratta anche di decidere se vogliamo andare avanti con un sistema “oligocentrico” o avere un sistema Paese più equilibrato». Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento