Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Indice degli argomenti Toggle Roma: la regina delle acqueGli Acquedotti dell’Antica Roma1. Acquedotto Appio (312 a.C.)2. Anio Vetus (269 a.C.)3. Acquedotto Marcio (Aqua Marcia, 144 a.C.)4. Aqua Tepula (125 a.C.)5. Acquedotto Giulio (Aqua Julia, 33 a.C.)6. Acquedotto Vergine (Aqua Virgo, 19 a.C.)7. Acquedotto Alsietino (Aqua Augusta, 2 a.C.)8. Acquedotto Claudio (38-52 d.C.)9. Anio Novus (52 d.C.)10. Acquedotto Traiano (Aqua Paola, 109 d.C.)11. Acquedotto Alessandrino (Aqua Alexandrina, 226 d.C.)La rinascita dell’acqua: l’acquedotto Felice (1585)L’acqua a Roma oggiBibliografia: Capolavori dell’ingegneria romana, gli antichi acquedotti romani hanno lasciato in buona parte del mondo tracce indelebili del loro passaggio e tutt’ora segnano l’identità dei territori e delle città che attraversano (da Segovia a Nimes, da Istanbul a Tunisi). Roma è città d’acqua per eccellenza, la Regina delle Acque o Regina Aquarum. Sebbene attualmente la gran parte del suo approvvigionamento idrico d’acqua potabile (circa l’80 %) avvenga grazie al moderno acquedotto del Peschiera (9.500 l/s) che attinge le sorgenti in Sabina, a Cittaducale nella provincia di Rieti, e la cui costruzione ebbe inizio nel 1938, già oltre duemila anni fa, la città poteva vantare una fitta rete di acquedotti che le garantivano acqua in abbondanza per alimentare fontane (e i cd. “Nasoni”), terme e case. In appena 5 secoli, dal 312 a.C. al 226 d.C., sono stati costruiti a Roma 11 acquedotti: un reticolo di oltre 500 km di condotti, arcate e tubazioni conduceva l’acqua nella Città Eterna, prelevandola da sorgenti, fiumi e laghi, posti a decine di chilometri dal centro urbano. Un sistema imponente che consentì, nel periodo di massimo splendore della città, un flusso pari alla bellezza di 13 metri cubi di acqua al secondo (13.000 l/s). Non è compito di questo articolo indagare le profondità delle tecniche costruttive che hanno permesso la realizzazione degli antichi acquedotti (che sarà oggetto di un successivo approfondimento), bensì illustrarne le vestigia, soffermandosi sugli acquedotti della Roma antica, passando attraverso il rinascimentale Acquedotto Felice per terminare il racconto ad oggi, allo stato dell’arte della capitale. Il testo più autorevole sugli acquedotti romani è quello di Frontino, il Curator Aquarum dell’imperatore Traiano, vissuto a cavallo tra il I e II sec. d.C., che ne descrive accuratamente fattezze, tecniche costruttive e curiosità. Roma: la regina delle acque Roma è presente un po’ in tutto il mondo. L’Architettura Romana ha costruito opere sopravvissute indenni ai numerosi secoli. Insieme a strade e ponti, archi di trionfo, anfiteatri e terme, Colosseo, Pantheon, gli acquedotti romani fanno parte delle meraviglie dell’architettura storica testimonianze indelebili della storia dell’umanità. L’acquedotto Claudio (52 d.C.) nel Parco degli Acquedotti a Roma. I Romani hanno disseminato acquedotti in tutta Italia, da Nord a Sud della Penisola, e in buona parte del Mondo, dalla Tunisia alla Spagna, dalla Turchia al Marocco, Francia e Germania. Tra quelli conservati meglio, oltre agli acquedotti dell’Urbe (sette dei quali confluiscono nel cosiddetto “Parco degli Acquedotti”), ci sono il Pont du Gard (17 a.C.) in Francia (con doppia funzione di ponte e acquedotto) e l’Acquedotto di Segovia (I sec. d.C.) in Spagna, veri e propri monumenti nazionali. “Mi sembra che la grandezza dell’Impero romano si riveli mirabilmente in tre cose: gli acquedotti, le strade, le fognature”. (Dionigi di Alicarnasso) Opere di ingegneria tanto straordinarie da essere considerate superiori da Frontino addirittura alle maestose Piramidi: “La più alta manifestazione della grandezza romana […], una tale profusione di strutture indispensabili che trasportano una tale quantità d’acqua, comparatele, se volete, con le futili piramidi o le inutili, anche se famose, opere dei Greci.” (Frontino, De aq., 16). Percorso degli acquedotti romani (Pace, 1983) Definita la Regina delle Acque (Regina Aquarum) per la ricchezza delle fonti a cui poteva attingere la città, che garantiva una tale abbondanza di acqua per tutta la popolazione, “che se qualcuno avesse valutato attentamente l’abbondanza d’acqua nei luoghi pubblici, terme, bagni, piscine, stagni, case, giardini, ville suburbane, e il gran numero di acquedotti che le conducono a Roma su lunghe sostruzioni arcuate, attraverso montagne perforate e valli colmate, si dovrà convenire che non esiste in tutto il mondo opera più meravigliosa di questa.” (Plinio il Vecchio, NH XXXVI, 123) Il sistema di approvvigionamento d’acqua nell’Antica Roma, al II sec. d.C., era molto sofisticato: 11 acquedotti romani, cisterne per la raccolta dell’acqua, vasche di decantazione per la posa dei sedimenti, sifoni inversi per superare dislivelli e tubazioni e condotte che distribuivano l’acqua in tutta la città. Una vasta rete di circa 500 km in grado di catturare e convogliare alla città oltre 13 mila litri d’acqua al secondo (oltre un miliardo di litri al giorno). Che, divisi equamente tra i 1,5 milioni di abitanti dell’epoca fanno circa 750 litri/giorno disponibili pro-capite: paragonato allo standard ONU di 50 litri al giorno, appare un numero fenomenale. La Roma imperiale garantiva acqua in abbondanza e di qualità, in grado di soddisfare tutti i bisogni dei cittadini. Gli Acquedotti dell’Antica Roma Gli acquedotti romani, descritti da Goethe come una “successione di archi di trionfo”, hanno affascinato viandanti e viaggiatori che hanno solcato la campagna romana in tutti i tempi, in particolare nell’epoca del celebre “Grand Tour”, lungo viaggio nell’Europa continentale ritenuto fondamentale per la formazione culturale di scrittori, poeti e artisti, intrapreso a partire dal XVIII secolo e che aveva come meta prediletta l’Italia. Etienne Duperac, Speculum Romanae Magnificentiae, 1573 Per oltre 400 anni dalla fondazione di Roma, i cittadini romani prendevano l’acqua direttamente dal fiume Tevere. Finché la diffusione di malanni e problemi legati al suo consumo spinsero alla ricerca di acque più salubri lontano dalla città: nacquero così gli acquedotti. La Roma Antica poteva vantare la bellezza di 11 acquedotti che attraversavano la città da nord a sud, da est a ovest arrivando a cogliere l’acqua fino a decine di chilometri di distanza dall’Urbe, solitamente da una sorgente o le acque d’un lago e che garantivano abbondanza per tutta la popolazione. Acquedotto Appio (312 a.C.) Anio Vetus (269 a.C.) Acqua Marcia (144 a.C.) Acqua Tepula (125 a.C.) Acquedotto Giulio (Acqua Iulia), 33 a.C. Acquedotto Vergine (19 a.C.) Acquedotto Alsietino (2 a.C.) Acquedotto Claudio (52 d.C.) Anio Novus (52 d.C.) Acquedotto Traiano (109 d.C.) Acquedotto Alessandrino (226 d.C.) Quattro acquedotti (Anio Vetus e Novus, Acqua Marcia e Claudia) seguivano il corso dell’Aniene verso Est fermandosi in punti diversi (Mandela, Arsoli, Subiaco). Tre diretti ad est: acqua Appia nei pressi di La Rustica, Acqua Vergine poco oltre e l’Acqua Alessandrina fino a Pantano Borghese lungo la Prenestina. Due (Acqua Iulia e Tepula) volti a sud-est in direzione dei Castelli Romani. Infine due diretti a nord-ovest nel viterbese: l’acqua Traiana fino al lago di Bracciano nei pressi di Trevignano Romano e l’acqua Alsietina volta al lago di Martignano. I 9 acquedotti della Roma antica al tempo di frontino (Smith, 1978) Il luogo dove si manifesta tutta la bellezza e la maestosità di questi giganti dell’acqua, è il cosiddetto Parco degli Acquedotti, una vasta zona naturale che si estende per centinaia di ettari nel quadrante sud-est di Roma. Il nome non è casuale: qui si incontrano ben sette Acquedotti, sei di età romana (Acqua Marcia, Tepula, Iulia, Claudia, Anio Novus e Vetus) ed uno rinascimentale (Acquedotto Felice). Uno spettacolo unico: natura e architettura da sempre qui vivono in armonia. Gli acquedotti dell’Antica Roma: costruzione, lunghezza, portata, altitudine. Frontino, Lanciani (1967) e Aicher (1995) Gli stessi acquedotti, i sette provenienti da sud-est, dai Colli Albani e dall’Alta Valle dell’Aniene, entravano a Roma passando per la Porta Maggiore, l’ingresso a Roma in cui convergono le vie consolari Casilina (o Labicana) e Prenestina, un punto strategico – data l’altitudine – che ne permetteva agevolmente la distribuzione in tutta l’Urbe. Qui si uniscono alle Mura Aureliane generando un crocevia di antichità: la porta sosteneva diversi livelli di condotti tutt’ora visibili. Porta Maggiore, l’accesso alla città da Sud-Est. Qui si incontravano i principali acquedotti romani Notizie dettagliate sugli acquedotti romani, sui segreti e le tecniche, ci vengono da due ingegneri romani vissuti a cavallo tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.: Vitruvio e Frontino. Entrambi hanno lasciato preziose testimonianze scritte dell’architettura romana. 1. Acquedotto Appio (312 a.C.) Il capostipite dell’ingegneria idraulica romana, il primo tra gli Acquedotti Romani è l’Acquedotto Appio Claudio o semplicemente Appio. Fatto costruire dal censore Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. (lo stesso che realizzò la più celebre strada della Roma antica, la Via Appia o Regina Viarum), era lungo 16 km, costruito in blocchi di tufo squadrati e a posti a secco, e giungeva a Roma interamente sotterraneo fino alla Porta Capena da dove si distribuiva in città. Le sorgenti, ormai prosciugate, avevano una portata giornaliera di circa 800 litri al secondo, ed erano dislocate tra la via Prenestina e Collatina. Mappa degli acquedotti di Roma (Fotolitografia, 1896) Prima di allora, i romani si procuravano l’acqua direttamente dal fiume Tevere, pozzi e sorgenti urbane. La diffusione di malattie correlate all’inquinamento del fiume, spinse alla ricerca di acque più pulite distanti dalla città, incentivando la costruzione di grandiose opere architettoniche capaci di condurre l’acqua per chilometri fino alle porte dell’Urbe. 2. Anio Vetus (269 a.C.) Il secondo acquedotto di Roma, l’Acquedotto dell’Anio Vetus (o Aniene Vecchio), edificato nel 269 a.C., ha il nome che deriva dal fiume Aniene mentre il suffisso Vetus gli è stato attribuito tre secoli più tardi quando venne costruito un altro acquedotto che prelevava le acque dallo stesso fiume: l’Anio Novus. Segue il percorso del fiume Aniene per oltre 63 km superando Tivoli per convergere nei pressi dei borghi di Vicovaro e Mandela. L’acqua era di scarsa qualità – essendo prelevata direttamente dal fiume – e veniva perciò utilizzata per usi non potabili, come l’irrigazione e le fontane di ville e giardini. Mappa acquedotti della Roma antica (Aicher 1995) Viceversa, da Tivoli, l’acquedotto proseguiva nelle valli di Gallicano, con andamento sinuoso per schivare le profondità delle valli (in seguito furono costruiti ponti monumentali come il Ponte della Mola che ne hanno accorciato il percorso) e arrivava a Roma costeggiando la via Prenestina nei pressi di Porta Maggiore, da dove, proseguiva in sotterranea fino a Piazza Vittorio, terminando in prossimità della Porta Esquilina (o Arco di Gallieno). Acquedotto Anio Vetus: il Ponte della Mola, Gallicano (RM) Resti dello speco (condotto dove scorre l’acqua) dell’acquedotto rinvenuti, ci svelano le fattezze costruttive: a sezione rettangolare in tufo e rivestito da uno spesso strato di cocciopesto (per impermeabilizzare). 3. Acquedotto Marcio (Aqua Marcia, 144 a.C.) Poco più di un secolo più tardi, l’acqua fornita dai due acquedotti era divenuta insufficiente a causa dell’espansione della città. Il pretore Quinto Marcio Re venne incaricato dal senato di costruirne uno nuovo: l’Acquedotto Marcio. Terminato nel 144 a.C., segue anch’esso il percorso del fiume Aniene ma, a differenza dell’Anio Vetus non pesca l’acqua direttamente dal fiume bensì più a monte in una delle sue sorgenti nei pressi dell’abitato di Arsoli. Era perciò potabile, di ottima qualità e abbondanza, tanto che Plinio il Vecchio la definì “un dono fatto all’Urbe dagli dei” in quanto “clarissima aquarum omnium”. Inoltre era il secondo per quantità di acqua (dietro all’Anio Novus), con una portata di circa 2.200 litri al secondo. Acquedotti nei pressi di Porta Furba Era il più lungo tra gli acquedotti romani della Città Eterna, quasi 92 km, ed il primo che giungeva a Roma portando l’acqua sollevata fino a 10 metri dal suolo su poderose arcate in blocchi di tufo lunghe decine di chilometri, per giungere fino alle pendici del Campidoglio e del Quirinale. Tre secoli più tardi, Caracalla ne derivò un ramo per alimentare le sue Terme. Acquedotti contrapposti. A sinistra: l’acquedotto Felice. A destra: l’acquedotto Claudio e Marcio uniti (via del Mandrione, Roma) Successivamente, ad esso vennero sovrapposti i condotti di altri due acquedotti – l’Acqua Tepula e l’Acqua Iulia – come si può vedere in un tratto che permane nel Parco degli Acquedotti. Secoli più tardi, lunghe parti dell’acquedotto furono distrutte e riutilizzate per costruire il moderno acquedotto Felice: le sue arcate sono ancora visibili a Tor Fiscale, al Mandrione e tra Porta Maggiore e Porta Tiburtina. 4. Aqua Tepula (125 a.C.) L’acquedotto dell’Aqua Tepula fu costruito nel 125 a.C. dai censori Cepione e Longino, per captare le acque tiepidi (pare che l’acqua avesse una temperatura naturale intorno ai 17 gradi: per questo Tepula) provenienti dalla zona vulcanica dei Colli Albani. Quarto ed ultimo acquedotto dell’età repubblicana, era lungo circa 18 km e, per buona parte, si sovrapponeva sulle arcate dell’acquedotto Marcio (si può vederlo al Parco degli Acquedotti), da quando usciva in superficie, dalla Villa dei Quintili fino a Porta Maggiore. Da qui proseguiva in direzione stazione Termini e Piazza della Repubblica, per alimentare le Terme di Diocleziano. Le sue arcate in laterizio, erano più alte e sottili rispetto a quelle in blocchi di tufo della Marcia. Aveva una portata d’acqua bassissima, la più esigua tra tutti gli acquedotti: soli 198 l/s. 5. Acquedotto Giulio (Aqua Julia, 33 a.C.) Voluto dal console Agrippa nel 33 a.C., l’Acquedotto Giulio captava la cosiddetta Aqua Julia, in onore di Caio Giulio Cesare Ottaviano, il futuro imperatore Augusto. Lungo 22,5 km, di cui 7 in superficie (ove si sovrapponeva al condotto dell’Aqua Tepula), aveva una portata di 566 litri al secondo e, considerata la sua altezza, pare servisse agli usi domestici dei quartieri più alti della città. Acquedotto dell’Acqua Marcia, Tepula e Julia (Parco degli Acquedotti, Roma) Captava l’acqua dalle sorgenti di Squarciarelli vicino a Grottaferrata unendole a quelle vicine della Tepula per migliorarne la qualità. In località Capannelle i due condotti si sovrappongono a quelli dell’Acqua Marcia per giungere insieme a Porta Maggiore. Qui, sfruttando la struttura delle mura Aureliane, giunge a Porta Tiburtina per poi continuare in sotterranea verso il Viminale, la stazione Termini e terminare nei pressi di via XX Settembre. 6. Acquedotto Vergine (Aqua Virgo, 19 a.C.) Sempre Agrippa, qualche anno più tardi (19 a.C.), realizzò l’Acquedotto Vergine (che captava la cd. Aqua Virgo), destinato ad alimentare unicamente le terme che stavano parallelamente prendendo vita nel Campo Marzio. Di lunghezza pari a circa 20 km, è l’unico acquedotto tra gli antichi ad essere stato ininterrottamente in funzione dopo duemila anni (e che alimenta la celebre Fontana di Trevi), grazie al trovarsi quasi interamente nel sottosuolo. Tratto in superficie dell’Acquedotto Vergine. A sinistra: via del Nazareno. A destra: i sotterranei de la Rinascente. Captava le sorgenti ad Est sulla via Collatina nei pressi della località di Salone ma, nei pressi del centro abitato e, per evitarne l’attraversamento, lo circumnavigava arrivando a Campo Marzio da Nord, attraverso la Fontana di Trevi per giungere al Pantheon e alle Terme di Agrippa. Aveva un percorso interamente sotterraneo fino ai pressi di Piazza di Spagna, dove affiorava in superficie (se ne può vedere un tratto in via del Nazareno e nel palazzo della Rinascente in via del Tritone) per alimentare tra le più magnifiche fontane di Roma e del mondo, tra Rinascimento e Barocco: fontana delle Tartarughe (Giacomo Della Porta, 1584), la Barcaccia del Bernini (1627), le fontane di Piazza Navona (fontana del Nettuno, del Moro e dei 4 Fiumi) e Piazza del Popolo, del Pantheon e la monumentale Fontana di Trevi (Nicola Salvi, 1761). La mostra dell’Acqua Vergine, nota come Fontana di Trevi (incisione di Piranesi) Il nome Vergine è da attribuire alla fanciulla che, secondo la leggenda, indicò la posizione delle sorgenti tanto invano cercate fino allora. Ma è molto più probabile che tale nome si riferisce alla purezza e leggerezza delle sue acque che, per l’assenza di calcare, non ostruiva il condotto, richiedendo così una bassa manutenzione. Ciò che ne ha permesso il funzionamento fino ai giorni nostri. 7. Acquedotto Alsietino (Aqua Augusta, 2 a.C.) L’acquedotto Alsietino fu costruito dall’imperatore Augusto nel 2 a.C. (detta anche Aqua Augusta), prelevava l’acqua dal lago di Martignano (in passato denominato Atsetio o Alseatino) nel viterbese, a Nord dell’Urbe. A sinistra: l’acquedotto Alsietino. A destra: ricostruzione della Naumachia di Augusto (fonte: romanoimpero.com) Lungo circa 33 km (quasi interamente sotterraneo) portava a Roma un’acqua non potabile destinata dall’imperatore Augusto ad alimentare la Naumachia, la sua “arena acquatica”, un grande bacino artificiale dove si tenevano battaglie navali per intrattenere il popolo. Il Colosseo stesso fu usato come naumachia, allagandone il palcoscenico. 8. Acquedotto Claudio (38-52 d.C.) Il più grande e imponente degli acquedotti romani in pietra, monumentale. Simile per fattezze e tecnica al Pont du Gard di Nimes all’epoca appena completato, si staglia nella campagna romana per numerose miglia a creare un landmark inconfondibile e possente. Voluto da Caligola nel 38 d.C. per sopperire alla crescente richiesta di acqua della città in espansione, fu terminato dall’Imperatore Claudio (da cui ne prese il nome) nel 52 d.C. assieme all’Anio Novus. L’Acquedotto Claudio nel Parco degli Acquedotti, Tuscolana Lungo quasi 69 km, risaliva la Valle dell’Aniene alla ricerca delle sorgenti identificate nei pressi di Arsoli e Marano Equo coi nomi di Sorgenti Serene ed il laghetto di Santa Lucia. L’acqua aveva una qualità elevatissima, inferiore solo alla Marcia. Abbondante la portata: circa 2150 litri al secondo. Acquedotti romani a confronto: Marcio, Claudio, Alessandrino L’uso dei materiali evoca l’antenato acquedotto Marcio, ma qui predomina l’uso del peperino (di maggior qualità rispetto ai più antichi acquedotti) e in misura minore inserti di tufo rosso e giallo. Le pietre sono ciclopiche (lunghe fino a 3 metri) e sono posate a secco. Una differenza con le strutture più antiche è la presenza di una fascia più resistente e larga alla base dei piloni che fa da tramite con il terreno su cui poggia. Qualche anno più tardi, Nerone ne costruì una diramazione per alimentare il ninfeo ed il lago della sua Domus Aurea. In seguito, Domiziano lo prolungò fino al Palatino (dov’è tutt’ora visibile una parte) e ai palazzi imperiali ivi presenti. 9. Anio Novus (52 d.C.) Come l’acquedotto Claudio, anche l’Anio Novus (o Aniene Nuovo) fu voluto da Caligola e terminato di costruire nel 52 d.C. dall’imperatore Claudio. Definito Novus per distinguersi dal suo antenato Anio Vetus, si snoda ad Est lungo la Valle dell’Aniene e condivide per buona parte il percorso degli acquedotti Marcio e Claudio, superandoli per protrarsi fino alle porte di Subiaco. Lungo 87 km, è secondo per lunghezza solo al Marcio. L’Acquedotto Claudio sormontato dallo speco dell’Anio Novus nel Parco degli Acquedotti La parte che si erge in superficie su arcate si sovrappone per un lungo tratto con l’Acquedotto Claudio, come si può osservare al Parco degli Acquedotti. I due acquedotti si distinguono per materiali e tecnica: alle arcate in blocchi di tufo del Claudio, si contrappone lo speco dell’Anio Novus realizzato invece in opera laterizia e reticolata. È l’acquedotto con la maggior portata d’acqua tra gli undici antichi, quasi 2.300 l/s. 10. Acquedotto Traiano (Aqua Paola, 109 d.C.) Voluto dall’Imperatore Traiano nel 109 d.C. per alimentare Trastevere, arrivava fino al Lago di Bracciano prelevando l’acqua dalle sorgenti dei monti Sabatini. Partendo da nord, segue un lungo percorso che si snoda tra la via Cassia, Clodia e, imboccando la via Aurelia Antica, l’acquedotto Traiano lambisce Villa Pamphili passando sotto l’Arco di Paolo V e giunge al Gianicolo. La mostra o Fontana dell’Acqua Paola al Gianicolo (incisione di Piranesi) Lungo 57 km, aveva una portata di oltre 1.300 litri/secondo. Ripetutamente ristrutturato e modificato nel corso del tempo, fu infine ricostruito nel ‘600 sulle antiche condotte e oggi è il moderno acquedotto dell’Aqua Paola, inaugurato nel 1618 da Papa Paolo V, che sfocia nel noto Fontanone del Gianicolo, terminato anni dopo nel 1690. 11. Acquedotto Alessandrino (Aqua Alexandrina, 226 d.C.) Ultimo degli acquedotti di età romana, l’Acquedotto Alessandrino fu edificato nel 226 d.C. per volere dall’imperatore Alessandro Severo. Il suo percorso (22 km) si snoda tra le consolari via Prenestina e Casilina fino a captare le sorgenti in località Pantano Borghese, alle porte della Capitale, la cd. Aqua Alexandrina. L’Acquedotto svetta imponente con le sue arcate nel quadrante est della città lambendo il quartiere di Centocelle e tagliando la Palmiro Togliatti diventa il divo del parco di Tor Tre Teste che si affaccia sulle “vele bianche” della chiesa – Dives in Misericordia – opera dell’archistar Richard Meyer. L’Acquedotto Alessandrino, dalla via Palmiro Togliatti al Parco di Tor Tre Teste Prodotto delle conquiste tecniche di 5 secoli di progresso tecnologico dal primo acquedotto, ha una struttura in opera cementizia e paramento esterno in laterizio. L’acquedotto, quasi interamente fuori terra su “snelle” e alte arcate (oltre 20 metri) è ottimamente conservato e visibile in buona parte della città. Lungo circa 22 km, aveva una portata bassa di circa 255 litri al secondo. Le sorgenti, site sulla via Prenestina nei pressi di Colonna, sono state poi riprese dall’Acquedotto Felice, molti secoli più tardi. Le sue acque erano necessarie all’approvvigionamento delle terme di Nerone, che lo stesso imperatore ristrutturò, rinominandole Terme Alessandrine. La rinascita dell’acqua: l’acquedotto Felice (1585) Dopo la caduta dell’impero romano, seguirono secoli di instabilità politica ed economica nella Capitale. Guerre, saccheggi e vandalismi condussero presto alla rovina della città e delle sue opere più importanti. Anche gli acquedotti ne uscirono devastati: nel medioevo molti di loro non erano più in grado di funzionare. Si deve arrivare al Rinascimento, dopo mille anni di abbandono, perché la città torni a fiorire: arte, architettura, economia e popolazione cominciarono un nuovo, florido periodo. Anche gli acquedotti ridotti in macerie furono riparati e tornarono a funzionare. Il tratto iniziale dell’Acquedotto Felice lungo la via Casilina Vecchia Accanto agli 11 acquedotti di età romana, se ne aggiunge nel Rinascimento un dodicesimo: l’Acquedotto Felice. L’acquedotto è denominato Felice in onore del suo ideatore, Papa Sisto V, all’anagrafe Felice Peretti, che l’ha fortemente voluto. Definito “papa tosto” in un verso del poeta romano Gioacchino Belli, in appena 5 anni di pontificato, ha stravolto e rinnovato il volto della Città Eterna: costruì acquedotti e fontane, palazzi e strade, fece erigere obelischi nelle principali piazze. Vari Acquedotti romani uniti: Marcio, Claudio e Felice (Mandrione, Banca d’Italia) L’acquedotto Felice, come alcuni suoi predecessori, ricalca per lunghi tratti gli acquedotti esistenti. A parte l’Acquedotto Claudio, con cui condivide buona parte del percorso, è l’acquedotto Marcio che si “dona” interamente a lui venendo anche demolito per far spazio alla nuova costruzione e, le sue pietre riutilizzate. Tra Porta Maggiore e Porta Tiburtina ricalca la struttura dell’Acqua Marcia e corre parallelo alle Mura Aureliane (III sec. d. C.). In prossimità di Porta Furba, alla fine di via del Mandrione, è collocata la mostra dell’acqua Felice voluta da Sisto V. La fontana del Mandrione fu restaurata nel 1733 su iniziativa di Papa Clemente XII (come riporta l’iscrizione). Mostra dell’Acqua Felice o Fontana del Mandrione Oltre a questi “acquedotti ufficiali”, individuati e collocati dagli storici, esistono altre tracce meno note e definite. Uno tra questi è il cosiddetto Acquedotto degli Arcioni, sito nei Castelli Romani a poca distanza dal borgo di Rocca di Papa. Acquedotto degli Arcioni, Rocca di Papa (RM) Scoperto personalmente in una recente esplorazione dei dintorni di Roma, lo spettacolo è tra i più affascinanti e suggestivi ch’io abbia mai veduto. Immerso nella natura, da cui ne è avvolto e fagocitato, il manufatto s’erge a monumento naturale, eterno e vivo. L’acqua a Roma oggi Come abbiamo accennato in apertura, l’approvvigionamento idrico attuale di Roma deriva da due grandi fonti. Per la gran parte (80 % circa) dal moderno acquedotto del Peschiera in provincia di Rieti – l’acqua impiega 24 ore per arrivare in città – ma il passato non è completamente scomparso. Infatti molte delle strutture degli antichi acquedotti sono tutt’ora funzionanti, sebbene in parte e solo in seguito a recenti riparazioni, modifiche ed integrazioni. Poi c’è l’acquedotto dell’acqua Marcia, ristrutturato da papa Pio IX alla fine dell’800, che insieme al Peschiera totalizza oltre il 90% dell’acqua che arriva a Roma. In misura minore l’acqua Vergine e l’acquedotto Alessandrino (Sisto V ne fece integrare le rovine nel suo acquedotto Felice). Infine, c’è una fonte di riserva che viene attivata solo in casi di emergenza idrica. È l’acqua dell’acquedotto Traiano (rimesso in funzione dal Papa Paolo V nel 1618 che la fece rinominare acqua Paola), proveniente dal lago di Bracciano, che viene resa potabile secondo necessità, in particolare nei picchi di calura estiva. Bibliografia: Thomas Ashby, The Aqueducts Of Ancient Rome, 1935 Fabretti Raffaele, De aquis et aquaeductibus veteris. Romae dissertationes tres, 1680 Frontino, De aquaeductu urbis Romae, I-II sec. d.C. Dionigi di Alicarnasso, Le antichità romane, 7 a.C. Rodolfo Lanciani, Topografia di Roma antica: le acque e gli acquedotti, 1880 Giovanni Poleni, Iulii Frontini De aquaeductibus urbis Romae commentarius, 1722 Butler Howard Crosby, “The Roman Aqueducts as Monuments of Architecture”, American Journal of Archaeology, vol. 5, no. 2, 1901, pp. 175–99 Pace, Gli acquedotti di Roma, 1983 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVI, 123, 79 d.C. Pierluigi Martini, A Review of the History of the Aqueducts of Rome, 1976 Peter J. Aicher, Guide to the Aqueducts of Ancient Rome, 1995 Rodolfo Lanciani, The Ruins & Excavations of Ancient Rome, 1897 Smith Norman, “Roman Hydraulic Technology”, Scientific American, vol. 238, no. 5, 1978 Turchetti R., I giganti dell’acqua, 2007 Vitruvio, De architectura, 15 a.C. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento