Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Nella storia dell’architettura sono state innumerevoli le soluzioni che i progettisti hanno adottato per il disegno dell’elemento finestra. Finestre di uno tsong (convento) Bhutanese (da: Bertoldini Marisa, La cultura materiale e lo spazio costruito. Osservazioni e verifiche, Angeli, Milano,1996, foto di copertina) In questo senso trova giustificazione l’affermazione di Le Corbusier: “Tutta la storia dell’architettura ruota esclusivamente attorno alle aperture nei muri”. (Le Corbusier, 1927, in De Benedetti, Pracchi, 1988, p. 381). Gli esempi che si possono infatti elencare sono davvero molti e si estendono non solo rispetto ad un lungo arco temporale ma anche rispetto ad aree geografiche molto diverse e lontane fra loro: dalle finestrature delle cattedrali gotiche, rese possibili dall’affinamento delle tecniche di produzione del vetro e da una nuova concezione statica delle murature portanti, alla tradizionale finestra tedesca, molto alta e chiusa solo nella parte inferiore dalle persiane di legno per permettere alla luce di penetrare nelle profonde stanze delle case mercantili. Sporto multipiano del Palazzo Rosso di Laces,1750, Alto Adige (da Cereghini Mario, Le finestre a sporto nell?architettura alpina, Il Milione, Milano, 1961, p.164) Dalla tradizione araba della masharabyyan, finestra chiusa da grate che risolve in modo sofisticato il problema dell’assoluta inviolabilità visiva dello spazio interno all’abitazione, oltre che filtrare e regolare eventuali brezze, ai miradores spagnoli, tipici balconi circondati da vetri e precursori del bow-window. E ancora, dalle caratteristiche ventanas de hierro venezuelane, finestre a sporto senza vetri, alle ancora più caratteristiche finestre a sporto della tradizione alpina italiana. Le intenzioni di questa introduzione al lavoro di ridisegno sono quelle di mettere in luce alcuni tra i più significativi cambiamenti avvenuti nella progettazione dei serramenti, seguendo gli esempi di alcuni dei maggiori architetti del nostro secolo. E’ significativo, infatti, che il primo esempio faccia riferimento all’opera di Ernst May a Francoforte, una delle città in cui maggiormente si operò, alla fine del primo dopoguerra, per soddisfare il fabbisogno di abitazioni determinato dalle distruzioni belliche. Come lo stesso May dice: “Questo fatto garantì uno sviluppo enorme di energie volte alla razionalizzazione dell’edilizia” e tra i compiti degli architetti e ingegneri delineati da May compaiono: “La creazione di singole parti prefabbricate per ottenere un funzionamento migliore degli impianti, dei serramenti e di tutti gli altri elementi accessori dell’edificio” (May, 1926, pp. 2-7). Walter Gropius, vetrate della scuola del Bauhausdi Dessau, 1926 (da: Iisaacs Reginald, Gropius. An illustrated biography of the creator of the Bauhaus, Bulfinch Press, Boston-London,1983, p. 118) Uno degli obiettivi dell’architettura di inizio secolo è, quindi, quello di normalizzare, unificare i componenti dell’edilizia, riuscendo a mantenere una forte libertà compositiva e progettuale. A questo proposito è interessante citare l’intervento di uno degli architetti di cui presentiamo il progetto di una finestra per un quartiere abitativo a Rotterdam: Jacobus Johannes Peter Oud. Commentando il rapporto tra industrializzazione edilizia e risultato estetico, Oud ci dice che: “Da molto tempo (cioè da quando la memoria ci sorregge), ogni architetto ha la sua porta e la sua finestra: è un diritto di cui non può privarsi tanto facilmente, senza accusare il colpo. Nella realizzazione di una abitazione privata, quel diritto può essere ancora riconosciuto, ma all’edilizia di massa deve corrispondere l’abbandono di quelle tendenze presenti nell’elaborazione dell’abitazione privata, a favore di una visione disincantata del nuovo problema, senza tentare di reinterpretare forme esistenti, cercando invece di trovare una soluzione formale basata sull’essenza del compito che deve essere affrontato. (…) In qualsiasi direzione venga sviluppato il processo di normalizzazione, normalizzando (come tipi standardizzati commerciali) porte, finestre, ecc. o, al limite, l’abitazione nel suo insieme, esisterà pur sempre la possibilità di esprimere dei rapporti componendo volumi, porte, finestre ecc. o intere unità abitative, che avranno così una perfezione estetica” (Oud, 1918, p. 77-79). Le Corbusier, Ville Savoye, 1929 (da: Cresti Carlo, Le Corbusier, Sadea-Sansoni, Firenze,1969, p. 51) Come era accaduto già nel medioevo, per la costruzione delle cattedrali, quando la realizzazione di vaste finestrature si era resa possibile per la concomitanza del progresso della produzione vetraria con una nuova concezione strutturale, che liberava il muro dalla totale responsabilità portante, allo stesso modo, nel XIX secolo, le potenzialità di un materiale come il cemento armato rendono possibile la concezione di un nuovo tipo di apertura: la finestra a nastro. Il primo ad ideare questa finestra fu Le Corbusier che già dal 1927, nell’edificio progettato per il Weissenhof, cercava di definirne il modello e che nello stesso anno le dava un ruolo fondamentale nella sua teoria architettonica. Il quarto dei suoi famosi Cinque punti è, infatti, la finestra a nastro: “I pilotis formano con i solai delle aperture di facciata rettangolari, attraverso le quali entrano abbondantemente aria e luce. La finestra va da pilastro a pilastro, diventando così una finestra a nastro. Con ciò scompaiono le finestre alte e impettite, come pure gli sgradevoli stipiti e i montanti” (Le Corbusier, 1927, in De Benedetti, Pracchi, 1988, p. 380). Le Corbusier, Pan de verre del Couvent de la Tourette, 1957 (da Brooks H. Allen, Le Corbusier 1887-1965, Garland Publishing, New York-London, tr. it. a cura di Maria Magrini, Le Corbusier 1887-1965, Electa, Milano, 1993, p. 266) Ma è solo negli anni successivi che la fenêtre en longueur trova spazio in moltissimi edifici progettati e costruiti dal suo ideatore, primo fra tutti la Ville Savoye del 1929. Attraverso questo progetto si può capire come la ricerca della finestra standard implicasse la lettura su differenti piani. La fenêtre en longueur servì, dapprima, ad esprimere le potenzialità della struttura in cemento armato; come le case medievali presentavano un tipo di finestre correlato alla costruzione a pilastri di pietra e costoloni, così nel Rinascimento e, poi, nel Novecento, comparvero finestre differenti che risultavano determinate dal tipo di costruzione dei muri nei quali venivano aperte. Ma la fenêtre en longueur era anche una soluzione relativa all’interno, il modo più efficace per distribuire la luce. Ed era anche una soluzione ai problemi di spazio: sotto le lunghe finestre, sia in una casa che nel segretariato della Società delle Nazioni o nell’edificio del Centrosoyuz, si potevano installare armadi a muro o vani di servizio, destinati a deposito o alla distribuzione degli impianti. Johannes Brinkman e Leendert Cornelius Van der Vlugt, Parete vetrata della Fabbrica Van Nelle a Rotterdam, 1927-29 (da: Geurst Jeroen, Molenaar Joris, Van der Vlugt. Architect 1894-1936, Delftse Universitaire Pers, Delft, 1983, p. 57) Infine, era una soluzione tecnica: Le Corbusier e Pierre Jeanneret cercarono, infatti, ripetutamente di brevettare la finestra scorrevole, in forme diverse, tanto in Francia che in Svizzera. Inoltre, nel 1928 la finestra in lunghezza era una delle due “soluzioni di facciata” adottate da Le Corbusier, essendo l’altra il pan de verre per edifici più grandi, soluzione che trova un’ampia realizzazione nel Convento de la Tourette, del 1957. La normalizzazione e l’industrializzazione dei componenti per l’edilizia è il paradigma architettonico di un altro dei maestri dell’architettura moderna: Mies van der Rohe. La casa modello esposta alla Deutsche Bauausstellung di Berlino, nel 1931, presentava una vetrata che, scomparendo meccanicamente nel pavimento, apriva totalmente lo spazio del soggiorno sul patio interno. Questa soluzione viene riproposta da Mies, nello stesso anno, in Casa Tugendhat costruita a Brno, in Cecoslovacchia. Louis Sullivan, la Finestra di Chicago nel Guaranty Building, 1894-1896 (da: De Wit Wim ed., Louis Sullivan . The function of Ornament, Norton & Company, New York-London, 1986, p. 115) L’esposizione aveva quindi assunto la funzione di luogo di sperimentazione e la verifica fatta sulla flessibilità tipologica dell’edificio, rispetto all’affaccio sulla corte interna, aveva convinto ad adottare la stessa soluzione in un progetto meno effimero. Ben altro significato ha invece il progetto dei Promontory Apartments a Chicago. Questo edificio, assieme ai Lake Shore Drive e ai Commonwealth Promenade Apartments, segna il punto di passaggio dalle grandi vetrate degli edifici per uffici e industriali al curtain wall. La progettazione di ampie finestrature per le costruzioni del terziario e dell’industria ritrova le proprie radici già alla fine dell’Ottocento. Ludwig Mies van der Rohe, Foto di dettaglio delle finestre dei Promontori Apartmentsa Chicago, 1953 (da: Belgioioso Lodovico, Enrico Peresuti, Ernesto N. Rogers , Ludwig Mies van der Rohe, Il Balcone, Milano, 1955, p. 117) Esempi ne sono: la “finestra di Chicago” che definisce la propria forma negli edifici per uffici o nei grandi magazzini progettati da Daniel Burnham e Louis Sullivan in America, ma anche le ampie vetrate progettate da Walter Gropius per l’edificio della Bauhaus di Dessau (1926) e gli stabilimenti Fagus (1911) o le vetrate della fabbrica di tabacchi Van Nelle degli architetti olandesi Johanes Brinkman e Leendert Cornelius Van der Vlugt (1927-29). Ma è solo con gli edifici progettati da Mies van der Rohe, dal 1946 al 1961, che le pareti esterne di chiusura assecondano il progressivo processo di complessificazione già subito dalla struttura (che doveva rispondere a severi regolamenti antincendio) e passano dal vetro puro delle prime case progettate dall’architetto in America, all’infisso e al curtain-wall. Gio Ponti e Alberto Rosselli, Palazzo per Uffici Pirelli a Milano, 1955-60 (da: Isozaki Arata ed., Gio Ponti 1891-1979. From the Human-Scale to the Post- Modernism, The Seibu Museum of Art, Tokyo, 1986, p.115) Nel Seagram Building (1955) questa evoluzione arriva all’estremo: l’acciaio compare solo nella struttura, seppur coperto dal cemento, e tutto ciò che non è acciaio è infisso, curtain-wall. Negli anni successivi a queste esperienze, la spinta alla razionalizzazione del cantiere edile ha condotto a produrre elementi di tamponamento addetti ad avvolgere qualunque tipo di edificio. L’unico problema da risolvere era quello di svincolarsi completamente dal tipo specifico di struttura, alla quale il pezzo stesso doveva essere applicato, con il fine di arrivare ad offrire un prodotto vendibile su larga scala e rientrando così nello schema rigido e precostituito del prodotto in serie. Un esempio ben riuscito del tipo di applicazione di elementi di facciata, quali quelli appena descritti, è il Palazzo per uffici della Pirelli costruito negli anni tra il 1955 e il 1960 dall’architetto Gio Ponti. La facciata continua del grattacielo, infatti, non è impostata su una corrispondente maglia strutturale dell’edificio; per l’attacco della parete del curtain-wall sono a disposizione solo i solai realizzati in cemento armato. Peter Rice, Vetrata strutturale delle serre del Museo della Scienza a Parigi, 1980 (da: Dutton Hugh, Rice Peter, Structural Glass, E & FN Spon, London, 1995, p. 24) L’elemento più importate della facciata è il giunto che consente il collegamento elastico facciata-struttura, permettendo il passaggio da qualunque tipo di struttura a qualunque tipo di parete, risolvendo tutti i problemi che in questo passaggio si pongono, e cioè la dilatazione differente dei materiali e la correzione di errori di costruzione. Nella maggior parte dei casi, però, il progettista si è limitato a scegliere nella vetrina dei cataloghi delle ditte, dando luogo ad un paesaggio costruito anonimo, composto da innumerevoli facciate continue vetrate, senza carattere e identità. Il design è stato il rimedio contro il consumo cui si è sottoposto il sistema del curtain wall. Un atteggiamento più cosciente ha visto gli architetti impegnati nel progetto delle vetrate (vedi gli esempi di Angelo Mangiarotti e Renzo Piano) ponendo una forte attenzione a tutti gli aspetti dell’industrial design che le operazioni ideative di questo tipo implicano. Alvar Aalto, Villa Mairea a Noormarkku in Finlandia: finestre a sporto, 1929 (da: Weston Richard, Villa Mairea. Alvar Aalto, Phaidon Press, London, 1992, p. 16) In sostanza si può dire che i fatti che hanno giocato il ruolo più importante nella trasformazione del concetto di infisso e nel suo impiego in forme di curtain-wall sono stati: da un lato l’affermarsi della struttura portante a gabbia e, dall’altro, l’evoluzione tecnologica del vetro, inteso come materiale da costruzione nella intera e più generale gamma dei suoi prodotti. Questi fatti essenzialmente tecnici hanno provocato una serie di conseguenze tra le quali ha prevalso la possibilità di poter pensare al vetro, anche senza infisso, come a un qualunque materiale da costruzione capace di racchiudere un volume edilizio senza altri ausili. In questo senso la sperimentazione ha portato alla progettazione delle contemporanee vetrate strutturali, che rischiano, come era stato per le vetrate continue, un uso indifferenziato. Nell’ultimo decennio esse sono diventate l’elemento qualificante dell’architettura che si vuole considerare all’avanguardia e “tecnologicamente avanzata”. Oltre al percorso verso la standardizzazione del componente finestra, tra gli esempi dei serramenti presentati si rintracciano vari atteggiamenti progettuali, la maggior parte delle volte legati alla sperimentazione dei singoli progettisti e alla loro personale poetica. Renzo Piano, Sede dell?Istituto sperimentale per i metalli leggeri, 1985-87: vista della vetrata con le tende per la schermatura solare (archivio LSA.2, foto A.C.) Sono questi i casi di Alvar Aalto,Van der Broek e Bakema, Skidmore, Owings and Merrill e degli autori italiani: Piero Bottoni, Pietro Lingeri, Giuseppe Pagano, Ignazio Gardella e i BBPR. Il breve escursus tracciato tra le forme storicamente consolidate dei tipi di serramento ha voluto accennare solo ad uno tra i tanti aspetti che hanno coinvolto e che coinvolgeranno questo elemento architettonico. Non si può, infatti, ignorare il fatto che la progettazione dei serramenti deve tenere conto, sempre più, della richiesta di prestazioni specifiche: l’aerazione, l’ombreggiamento, una certa versatilità nei movimenti del telaio. Ma è necessario che la sperimentazione tecnologica in questo settore faccia costantemente riferimento ad una più generale “idea di architettura”, a dei paradigmi progettuali che siano in grado di accordare tutti i campi della progettazione, ormai frammentati dalle specializzazioni, evitando di procedere lungo una strada solitaria che non tenga conto dello spazio costruito in tutte le sue connotazioni: quella formale, quella spaziale e quella funzionale. Bibliografia Belgioioso Lodovico, Enrico Peresutti, Ernesto N. Rogers, (1955), Ludwig Mies van der Rohe, Il Balcone, Milano. Bertoldini Marisa, (1996), La cultura materiale e lo spazio costruito. Osservazioni e verifiche, Angeli, Milano. Besset Maurice, (1987), Le Corbusier, Albert Skira, Genève. Bush Brown Albert, (1961), Louis Sullivan, Braziller, New York, (tr. it. a cura di Aldo Cuzzer , Louis Sullivan, Il Saggiatore, Milano, 1961). Brooks H. Allen (a cura di), (1984), Le Corbusier. 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