Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
L’industria delle costruzioni è il maggiore responsabile della distruzione e del degrado delle risorse naturali, della produzione e dell’accumulo di rifiuti e dell’impatto ambientale Figura 1. Uno degli edifici del Bosco Verticale a Milano La costante ricerca di uno sviluppo economico soddisfacente contrasta con il rispetto dell’ambiente: ne derivano problemi sempre maggiori, che non trovano facile soluzione anche a causa dell’esistenza di interessi contrastanti. Inquinamento e degrado ambientale, riduzione delle risorse naturali e accumulo dei rifiuti, aumento della popolazione e crescita urbana disordinata sono le ben note principali categorie di problemi in questione. L’industria delle costruzioni è il maggiore responsabile, diretto e indiretto, della distruzione e del degrado delle risorse naturali, della produzione e dell’accumulo di rifiuti e dell’impatto ambientale. È oramai assodato che nei progetti si pretenda l’ottimizzazione nell’uso delle risorse, la riduzione o eliminazione dei rifiuti, il miglioramento della compatibilità ambientale. Affinché l’industria delle costruzioni affronti con successo tali sfide è necessario che i principi di sostenibilità siano considerati esplicitamente e sistematicamente in tutte le fasi di progettazione ma anche che siano sviluppate nuove tecnologie, sistemi di costruzione alternativi e materiali innovativi. La sfida per gli ingegneri civili, impegnati nella progettazione di sistemi di infrastrutture, è di cercare nuove soluzioni per uno sviluppo davvero sostenibile. INTRODUZIONE Nell’era industriale, con lo sviluppo della tecnologia, l’uomo si è preoccupato di soddisfare le proprie necessità guardando al mondo come costituito da una sorgente inesauribile di materiale e da un bidone di dimensioni infinite in grado di contenere tutti i rifiuti generati dai processi produttivi. Il risultato è stato la produzione di grandi quantità di rifiuti, inserite nell’ecosfera, non capace di sviluppare difese. Infatti, nell’ecosfera ogni cosa è connessa alle altre in un ciclo di nascita, morte e rigenerazione e i cicli naturali non contengono rifiuti. In altre parole, nella ricerca di uno sviluppo economico soddisfacente non si è rispettato l’ambiente, causando una serie di problemi, quali: inquinamento, accumulo dei rifiuti e degrado ambientale, aumento della popolazione e crescita urbana disordinata, riduzione risorse naturali, deterioramento delle infrastrutture, aumento e diffusione di malattie e conflitti sociali, economici e politici. Ora bisogna porre rimedio ai disastri del passato e cercare nuove soluzioni per lo sviluppo economico con l’obiettivo di “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri”. È questa la definizione principale di sviluppo sostenibile proposta dalla World Commission on Environment and Development dell’ONU. Sviluppo vuol dire soprattutto miglioramento della qualità della vita, che dipende dal buon funzionamento e dalla sostenibilità dei sistemi di infrastrutture, pietre angolari della civiltà moderna, che consentono ad essa di funzionare, crescere e sopravvivere. Questi sono: gli impianti per l’approvvigionamento e la raccolta dell’acqua, gli impianti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, gli impianti per la produzione di energia, le infrastrutture di comunicazione. Ovunque nel mondo c’è necessità di costruire nuovi sistemi di infrastrutture civili, riparare quelli esistenti, salvaguardare strutture di interesse storico e artistico. Tutto ciò deve essere fatto con lo spirito di “non accendere sull’ambiente ipoteche che i nostri figli non possano estinguere”. IL RUOLO DELL’INGEGNERE CIVILE L’industria delle costruzioni è, quindi, il maggiore responsabile, diretto e indiretto, della distruzione e del degrado delle risorse naturali, della produzione e dell’accumulo di rifiuti e dell’impatto ambientale. È compito dell’ingegnere civile, considerare concetti e principi di sostenibilità, esplicitamente e sistematicamente, in tutte le fasi della progettazione, al fine di: ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre o eliminare i rifiuti, migliorare la compatibilità ambientale. Inoltre l’ingegnere civile deve adoperarsi per sviluppare nuove tecnologie, sistemi di costruzione alternativi e materiali innovativi. Va osservato che l’applicazione di regole restrittive sulla protezione dell’ambiente contrasta con l’efficienza dei progetti e le prestazioni costruzioni. È necessario, pertanto, che i concetti e principi di sostenibilità siano adattati alle specificità dell’industria delle costruzioni. Inoltre, per affrontare le sfide imposte dalla sostenibilità, bisogna offrire incentivi e risorse appropriate ai progettisti ma anche ai proprietari e ai costruttori. Che cosa significa sostenibilità per i progettisti e che cosa devono fare i progettisti per raggiungere la sostenibilità a livello globale di sistema delle costruzioni, a livello intermedio di progetto di sistemi di infrastrutture civili e a livello specifico di progettazione strutturale? Secondo la World Commission on Environment and Development delle Nazioni Unite i cinque obiettivi per lo sviluppo sostenibile sono: crescita economica, opportuna localizzazione delle risorse per sostenere tale crescita, partecipazione e la costituzione di sistemi politici più democratici, adozione di stili di vita consoni alla conservazione ecologica del pianeta, livelli di popolazione in armonia con le potenzialità produttive degli ecosistemi. Inoltre, come anche le esperienze più recenti ci hanno dimostrato, è indispensabile ridurre i conflitti tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Per perseguire tali obiettivi, la gestione delle risorse deve essere organizzata in modo che la velocità di raccolta sia pari a quella di rigenerazione e l’emissione dei rifiuti eguagli la capacità naturale di assimilazione degli ecosistemi. Ovviamente, capacità di rigenerazione e di assimilazione sono imprescindibili. L’uso di risorse non rinnovabili è insostenibile e deve essere almeno limitata e andrebbero introdotte norme che enfatizzano tecnologie che incrementano la produttività delle risorse, favorendo la progettazione di prodotti e processi che facilitano il riciclaggio. Inoltre, va favorita una tecnologia sostenibile, che fornisca soluzioni pratiche per ottenere lo sviluppo economico in armonia con il rispetto dell’ambiente. Gli ingegneri, inoltre, devono affrontare la sostenibilità a tutti i livelli: globale d’industria delle costruzioni, di progetto dei sistemi infrastrutturali e di sistemi strutturali specifici; devono guardare un sistema come un organismo unico, anziché alle singole parti, adattare o ridefinire le tecnologie esistenti per migliorare l’uso delle risorse e minimizzare la produzione dei rifiuti, creare nuove tecnologie; devono essere consapevoli dei problemi ambientali, dei rischi e degli impatti potenziali di ciò che progettano e, pertanto, devono: conoscere meglio il mondo in cui viviamo e i problemi sociali, economici e ambientali che dovremo affrontare nel futuro, diventare i leaders dell’ambiente e i decision makers, uscendo dal loro ambito esclusivamente tecnico, impegnarsi attivamente nelle discussioni e nei processi politici, economici, tecnici e sociali. Vanno messi in discussione alcuni modelli generalmente accettati. Ad esempio, nel progetto di un sistema di infrastrutture devono essere ridefinite le relazione tra i vari attori in funzione dei nuovi obiettivi, rivedendo anche i parametri per valutare la performance di un progetto. Costi contenuti (a volte esageratamente bassi) e tempi ridotti non sono sinonimi di qualità e, quindi, di durabilità, aspetto fondamentale della sostenibilità (Clemente, 2004). CITTÀ SOSTENIBILI Le città, ossia gli ambienti costruiti, sono la maggiore causa d’insostenibilità ma anche l’effetto maggiormente evidente. Nel passato non si è capita la relazione tra l’ambiente costruito e la qualità dell’ambiente stesso e ciò ha portato a un’espansione esagerata delle città, favorita anche dall’aumento della popolazione. L’espansione delle città ha determinato l’aumento del trasporto privato, reso possibile dallo sviluppo dell’industria dell’automobile con auto sempre più economiche, e la costruzione di nuove strade con l’inevitabile peggioramento della qualità dell’aria e del livello del rumore: tutte caratteristiche che si sono tradotte nel peggioramento del livello di vita. Uno sviluppo sostenibile richiede di cambiare completamente rotta. Gli edifici, ad esempio, non andrebbero concepiti per una sola funzione. Le necessità della società moderna impongono cambiamenti che possono essere attuati riconoscendo agli edifici una vita utile breve e demolendoli al termine di questa. Ciò, però, comporterebbe un incremento di produzione dei rifiuti, anche a causa delle scarse possibilità di riciclare e riutilizzare parti o elementi della costruzione. Allora la soluzione più sostenibile è di realizzare edifici flessibili la cui destinazione d’uso possa essere modificata con piccole variazioni architettoniche e funzionali. Tra le proposte più recenti va segnalato il Bosco Verticale (Figura 1), un complesso di due palazzi residenziali a torre, vincitore dell’International Highrise Award nel 2014 e del premio come “grattacielo più bello e innovativo del mondo”, secondo una classifica redatta dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat, nel 2015. Chi non vorrebbe avere un giardino all’ingresso della propia casa pur abitando al ventesimo piano? Attenzione, però, a non sottovalutare l’oneroso carico sugli sbalzi e la necessità di un’accurata manutenzione, perché episodi come quello che è recentemente accaduto a un edificio sul Lungotevere Flaminio a Roma (Figura 2) non accadano più. Figura 2. Crollo in un edificio sul Lungotevere Flaminio a Roma Gli edifici alti sono certamente una soluzione all’eccessivo uso del suolo. Il record attualmente appartiene al Burj Khalifa di Dubai con i suoi 828 m (Figura 3), ma sono state già progettate delle vere e proprie città in verticale, fino a 4000 m di altezza, che contengono alloggi e uffici, fabbriche “pulite”, impianti per produrre l’energia necessaria (eolico, solare) e processare i rifiuti, un efficiente sistema di trasporti, sistemi di comunicazione e hanno una struttura in grado di resistere alle azioni di uragani e terremoti: per ora sono rimasti sogni nel cassetto (Clemente & Pacilio, 2004). Figura 3. Il Burj Khalifa di Dubai è l’edificio più alto al mondo con i suoi 828 m (foto P. Clemente). Allo stesso tempo si progettano ponti di luce sempre maggiore per soddisfare la richiesta di spazio libero per la navigazione, dovuta sia all’incremento di dimensioni dei mezzi natanti che al volume del traffico marino. Il minor costo delle strutture a sviluppo orizzontale rispetto alle fondazioni profonde in acqua favorisce questa tendenza, oltre al minor rischio di collisione di natanti contro i piloni dei ponti (Figura 4). Il limite è rappresentato dall’incremento del peso strutturale a discapito del carico utile (Clemente et al, 2000). Nel futuro gli attuali limiti saranno superati grazie a materiali più efficienti, ossia con maggiore rapporto tra resistenza e densità, come i compositi, attualmente eccessivamente costosi. I ponti rappresentano più di ogni altra struttura un indice di sviluppo, come sottolineò Joseph Strauss, progettista del Golden Gate Bridge: “I ponti sono un monumento al progresso” e “Quando si costruisce un ponte, si costruisce qualcosa per la storia” (Clemente & Pacilio, 1998). Figura 4. L’Akashi Kaikyo è il ponte più lungo al mondo con 1991 m tra i due piloni (foto P. Clemente). Altro aspetto che rende le città insostenibili è legato alla mobilità. Nel passato sono state costruite principali infrastrutture da traffico ai margini delle città che, espandendosi, le hanno poi inghiottite. Sono, però, rimaste come barriere fisiche e psicologiche allo sviluppo delle città stesse, causando inquinamento e rumore nei centri abitati. Anche la conseguente interazione tra traffico pedonale e traffico veicolare riduce la mobilità, irritando i guidatori e creando molte noie ai pedoni, la cui area è invasa da rumore e inquinamento. La terapia è ben nota: andrebbe incentivato il trasporto pubblico e già in molte grandi città è stata sviluppata una rete di trasporto underground, veloce e affidabile, caratteristiche non possibili con mezzi in superficie. La soluzione underground è utile anche per altre funzioni. In tempi lontani gli ambienti sotterranei erano utilizzati essenzialmente come rifugi per conservare beni, per fronteggiare condizioni climatiche estreme o difendersi da attacchi bellici. Oggi, invece, possono avere altre funzioni, consentendo di mitigare la pressione in superficie, migliorare la qualità dell’aria e lasciare più verde nei centri delle città. Oltre a migliorare le reti di trasporto, le strutture underground consentono di ridurre il rumore e favoriscono una più fruibile distribuzione delle funzioni e una loro concentrazione. In prossimità di molte stazioni dei treni metropolitani, sono sorti centri commerciali; interessante è il progetto di un parcheggio al di sopra dei binari della stazione Termini a Roma. L’eccessivo uso del suolo spinge alla ricerca dell’ottimizzazione nell’uso del costruito anziché puntare a nuove costruzioni. La manutenzione rappresenta, pertanto, la scommessa del prossimo futuro e anche le scuole di ingegneria e architettura devono tener conto di ciò. Ma anche i costi di manutenzione possono diventare presto non sostenibili. È stato stimato che i costi di manutenzione delle infrastrutture nei prossimi anni diventino più importanti dei costi di costruzione di nuove infrastrutture. Al fine di ridurre i costi è indispensabile una manutenzione preventiva mediante il monitoraggio e la programmazione di interventi di recupero sulla base del livello di danno. SICUREZZA STRUTTURALE: UNA CONDICIO SINE QUA NON PER UNO SVILUPPO DAVVERO SOSTENIBILE Non esiste sviluppo sostenibile se non accompagnato dalla salvaguardia e miglioramento della sicurezza dei cittadini. La vita non ha prezzo: questo vuol dire che ha un valore infinito, non nullo. Pertanto, qualsiasi iniziativa volta al risparmio e all’ottimizzazione delle risorse non può prescindere dal garantire la salvaguardia della vita dei cittadini. È ben noto che negli ultimi 500 anni le vittime dovute ad eventi naturali in Italia sono state in media circa 1200 all’anno; di queste il 75% si sono avute in occasione di eventi sismici. Nel seguito si illustrano brevemente le problematiche del rischio sismico, affrontando problematiche relative alla pericolosità dei siti e alla capacità sismica delle strutture. Classificazione sismica e norme tecniche Dopo l’unità d’Italia, il primo evento sismico disastroso fu quello di Messina e Reggio Calabria del 1908 (magnitudo 7.1), a seguito del quale, il 18 aprile 1909, fu emanato il Regio Decreto n. 193, che elencava qualche centinaio di Comuni in Sicilia e Calabria nei quali era posto l’obbligo di rispettare alcune prescrizioni per l’edificazione delle nuove costruzioni e per la riparazione di quelle danneggiate dal sisma. L’aggiornamento della classificazione del territorio in funzione della pericolosità sismica ha poi seguito gli eventi sismici che avvenivano, tanto che nel 1980, anno del terremoto dell’Irpinia (magnitudo 6.9), soltanto il 25% del territorio nazionale era classificato sismico. L’anno successivo la classificazione fu aggiornata, definendo una zona 3 a bassa sismicità e includendo il 43% del territorio. Soltanto nel 2003, dopo l’ennesimo disastro, quello della scuola Jovine di San Giuliano di Puglia, nel quale persero la vita 27 bambini e una maestra, tutto il territorio nazionale fu considerato sismico, grazie anche all’introduzione della zona 4, a sismicità molto bassa. Oramai era troppo tardi: secondo stime ISTAT il 63.8% delle abitazioni in Italia è stato costruito prima del 1971 e, pertanto, non rispondono, nominalmente, a criteri di sicurezza sismica. Oggi non esiste una classificazione ma una rampa continua: per ogni punto del territorio nazionale sono definiti i parametri che descrivono la pericolosità sismica del sito (Clemente et al, 2015b). Le norme tecniche hanno avuto un percorso parallelo. Le prime indicazioni su come valutare gli effetti delle azioni sismiche furono fornite dal D.L. 5 novembre 1916 (TU) n. 1526, a seguito del terremoto di Avezzano del 1915, che prevedeva un insieme di forze statiche simulanti l’azione sismica, costanti lungo l’altezza con l’eccezione del primo livello dove erano maggiori. Ci sono voluti circa sessanta anni per cambiare sostanzialmente quest’assunzione: nel D.M. LL.PP. 03/03/1975 “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” apparve per la prima volta lo spettro di risposta e le forze simulanti l’azione sismica vennero legate al comportamento dinamico della struttura e, quindi, in genere crescenti verso l’alto. Attualmente l’azione sismica di progetto è definita dallo spettro elastico al sito, fornito dalle norme tecniche per tutti i punti del territorio nazionale, in funzione della probabilità di superamento PVR in 50 anni (Bongiovanni et al, 2013). Le norme prevedono, per ciascun sito, spettri con diversi valori di PVR, fino a un minimo del 2%. Nella progettazione delle nuove costruzioni ordinarie, quali gli edifici per civili abitazioni, si fa riferimento al livello di scuotimento che ha una probabilità del 10% di essere superato in 50 anni; soltanto per strutture di particolare rilevanza o strategiche sono prescritti valori di PVR inferiori. In figura 5 sono riportate le mappe di pericolosità sismica, in termini di accelerazione massima su suolo rigido ag (espressa in frazione dell’accelerazione di gravità g), parametro fondamentale per la definizione dello spettro, per le probabilità di superamento del 10% (Figura 5, sx) e del 2% (Figura 5, dx). In figura 6 sono riportate le coppie di valori dell’accelerazione su suolo rigido delle due mappe. Si vede che i valori forniti per PVR = 2% sono compresi tra 1.37 e 2.36 volte quelli relativi a PVR = 10%, con un valore medio di circa 1.8. In sostanza le strutture ordinarie sono progettate, mediamente, con un’azione sismica di poco superiore alla metà di quella massima considerata dalle vigenti norme tecniche. Si tratta di una scelta “politica” consapevole, che si basa su quanto lo Stato intende investire sulla sicurezza dei propri cittadini. Certamente, non è una scelta sostenibile (Clemente et al, 2015a). Figura 5. Mappe della pericolosità sismica di riferimento in termini di massima accelerazione orizzontale su suolo rigido, per probabilità PVR del 10% (sx) e del 2% (dx) di superamento in 50 anni (fonte: INGV) Figura 6. Coppie di valori ag relativi a PVR = 10% e PVR = 2%. Va ricordato che la valutazione della pericolosità di base non è sufficiente a definire le azioni sismiche al piede di una struttura giacché fornisce informazioni sullo scuotimento sismico su suolo rigido, che può subire notevoli variazioni per effetti locali, in termini di valori di picco, durata e contenuto in frequenza, e assumere valori molto diversi a brevi distanze. Di qui la necessità della microzonazione sismica, che si sviluppa su tre livelli. Nel livello 1 il territorio in esame viene suddiviso in microzone omogenee in prospettiva sismica (MOPS), classificate in aree instabili, da non utilizzare per lo sviluppo urbanistico, aree stabili, quindi utilizzabili, ed aree stabili ma suscettibili di amplificazione. Per queste ultime è necessario un approfondimento per valutare l’amplificazione sismica in superficie, che può essere fatto, per i casi più semplici, mediante l’uso di abachi predisposti (livello 2) e, per i casi più complessi, mediante accurate misure in sito e un’adeguata modellazione numerica (livello 3). I fattori di amplificazione sismica, calcolati sulla base di parametri geologico-tecnici e geofisici caratteristici per ogni microzona e rappresentativi del comportamento medio dell’area, sono uno strumento utile per la scelta delle aree più idonee allo sviluppo urbanistico e possono fornire indicazioni sull’opportunità di eseguire analisi di risposta sismica locale in siti specifici per la progettazione di singole opere (Rinaldis & Clemente, 2014). Tornando al terremoto di progetto, le norme consentono di fare affidamento alla duttilità, ossia alla capacità della struttura di dissipare parte dell’energia trasmessa dal terreno. Tale scelta può essere ragionevole per le zone ad alta sismicità ma potrebbe non essere necessaria per le zone a media e bassa sismicità. Una proposta sostenibile è quella di assumere come azione sismica allo SLU quella relativa a PVR = 2%, e allo SLD quella massima compatibile con i requisiti architettonici e economici. La duttilità richiesta ne deriva di conseguenza ma non dovrebbe superare valori tra 2 e 2.5. Al fine di rispettare questi requisiti potrebbe essere imposta un’altezza massima nelle zone ad alta sismicità anche alle costruzioni in c.a. e acciaio. In alternativa si potrebbe fare ricorso alle moderne tecnologie antisismiche. Le moderne tecnologie antisismiche Scopo della progettazione antisismica è di assicurare che in caso di evento sismico sia protetta la vita umana, siano limitati i danni e rimangano funzionanti le strutture essenziali. Le strutture devono essere in grado di sopportare un sisma di media intensità senza danni evidenti ma in occasione di un terremoto violento non devono crollare, pur potendosi danneggiare anche irreparabilmente. I costi delle varie ricostruzioni succedutesi negli ultimi decenni hanno dimostrato come questo principio sia economicamente non sostenibile: un esiguo risparmio in fase di costruzione porta a costi esorbitanti per la ricostruzione dopo eventi catastrofici. Inoltre, non è certamente accettabile per le strutture strategiche, come quelle di protezione civile, ponti, ospedali, caserme, ecc., che devono restare operative durante e dopo il sisma, né per le strutture a rischio di incidente rilevante (impianti nucleari, chimici, contenenti materiali pericolosi) che devono rispettare stringenti requisiti di sicurezza. Queste andrebbero progettate per sopportare il massimo evento credibile in campo elastico, obiettivo possibile con le moderne tecnologie, come l’isolamento sismico e la dissipazione di energia, che si basano sulla drastica riduzione delle forze sismiche agenti sulla struttura, piuttosto che affidarsi alla sua resistenza. Il concetto base dell’isolamento sismico è semplice e ben noto. Lo spettro di risposta elastico, che fornisce la massima accelerazione Se nella struttura in funzione del suo periodo fondamentale di vibrazione T, mostra ampiezze maggiori in corrispondenza di un intervallo del periodo fino a circa 1 sec e, purtroppo, le usuali strutture ricadono in questo intervallo. Progettando strutture con periodi di vibrazione maggiori, in genere superiori a 2 sec, si ottengono accelerazioni nettamente inferiori. Ciò può essere ottenuto disponendo alla base della struttura degli isolatori sismici. La riduzione delle accelerazioni comporta, però, un incremento degli spostamenti fino ad alcuni decimetri, che però sono concentrati nei dispositivi, impegnando pochissimo la sovrastruttura. Si ottiene così il disaccoppiamento tra il moto della struttura e quello del terreno ed è possibile progettare in campo elastico. L’idea dell’isolamento sismico si è diffusa negli anni 70, quando l’Electricite-de-France iniziò a Cruas in Francia la costruzione del primo impianto nucleare dotato di isolamento sismico, entrato poi in funzione nel 1984, utilizzando lo stesso progetto già realizzato in altro sito di sismicità inferiore (0.2g) e adeguando il progetto al nuovo sito (0.3g) mediante l’introduzione degli isolatori sismici. Inizialmente l’isolamento sismico non ha trovato terreno fertile per l’incremento di costo di costruzione. Attualmente, invece, grazie anche alla norme italiane che consentono di tener conto della riduzione delle azioni sulla sovrastruttura, l’isolamento sismico può determinare anche una riduzione del costo di costruzione, soprattutto nelle zone a alta e media sismicità (Clemente & Buffarini, 2010). La convenienza è ovvia in un’ottica di lungo periodo: un edificio isolato non subirà danni significativi neanche in occasione di eventi sismici violenti e, quindi, non necessiterà di lavori di riparazione. SICUREZZA E EFFICIENZA ENERGETICA Non è sostenibile realizzare strutture tecnologicamente avanzate dal punto di vista energetico ma non sicure: anche un sisma di medio-bassa intensità potrebbe danneggiarle. D’altra parte non ha senso costruire dei bunker antisismici, estremamente costosi sia in fase di costruzione che di gestione. Si deduce che sicurezza ed efficienza energetica viaggiano in simbiosi e che bisogna puntare a una gestione sostenibile del costruito, ossia a strutture tecnologicamente avanzate ma anche staticamente e sismicamente sicure. Per gli edifici di nuova realizzazione abbiamo conoscenze e tecnologie per sodisfare contemporaneamente i due requisiti, ossia per progettare nello spirito della sostenibilità; per gli edifici esistenti, gli interventi di miglioramento della sicurezza e dell’efficienza energetica vanno programmati ed eseguiti in maniera organica. Con questo spirito, ENEA e ANDIL hanno proposto la realizzazione di un edificio strategico con struttura portante in laterizio con isolamento sismico (Clemente et al 2012a, 2012b). L’edificio, a forma di C, si sviluppa su 4 livelli: l’attacco a terra risolve il dislivello altimetrico dell’area, i 3 piani fuori terra propongono diverse possibili configurazioni degli spazi da destinare ad uffici. Il piano interrato è da destinare a magazzino o locale dove alloggiare le unità tecniche (Buffarini et al, 2013). Dal punto di vista energetico, l’edificio è stato simulato tenendo presente il quadro normativo vigente. Su questa base di riferimento si sono valutati quegli interventi che classificassero la costruzione a livelli di “edificio a energia quasi zero” (NEZB). Inoltre, per dare una connotazione anche eco-sostenibile ci si è indirizzati sull’utilizzo di materiali e sistemi, per l’involucro edilizio, a bassissimo impatto ambientale. L’involucro opaco è realizzato in laterizio ad alte prestazioni, faccia vista con intonaco termoisolante, in modo da raggiungere valori di trasmittanza inferiori di circa il 25% di quelli definiti dalla attuale legge, adottando sistemi di schermatura in laterizio, appositamente studiati, sulle aperture vetrate del corpo di collegamento verticale. Innovazione tecnologica e integrazione tra i vari aspetti progettuali (sicurezza sismica, efficienza energetica e sostenibilità) hanno consentito di ottenere un “prodotto” edilizio che si può definire esempio di eccellenza a grande potenzialità di essere replicabile. In definitiva, il progetto ha coniugato l’utilizzo della muratura e dell’isolamento sismico alla base al fine di aggiungere i tre obiettivi: • un elevato grado di sicurezza strutturale, che, grazie all’isolamento sismico, è quello attribuibile a un edificio strategico, ossia idoneo ad essere utilizzato in fasi di emergenza post-sisma con finalità di protezione civile (Buffarini et al, 2013); • il raggiungimento di una classe di prestazione energetica globale del sistema edificio-impianto al top della classificazione di legge (NEZB), grazie all’utilizzo della muratura in laterizio, ossia l’ottimizzazione delle performance energetiche; • una gradevole architettura esterna e interna con limitati vincoli strutturali grazie alla ridotta sollecitazione sismica sulla sovrastruttura garantita dalla presenza dell’isolamento sismico. Figura 7. L’edificio ENEA-ANDIL EDIFICI STORICI Gli edifici storici, in genere, sono stati costruiti senza tener conto delle azioni sismiche e pertanto sono vulnerabili anche a terremoti di media intensità, essendo spesso caratterizzati da forma irregolare sia in pianta sia in altezza, assenza di connessioni efficaci tra le pareti e tra pareti e solai, e da fondazioni superficiali. D’altra parte la loro sicurezza è delicata perché affollati quotidianamente da turisti e ogni intervento deve rispettarne le caratteristiche originali e il valore storico. La valutazione dello stato di salute di un edificio non può basarsi su un semplice esame visivo, ma deve basarsi su analisi sperimentali sui materiali, per valutare le effettive resistenze, e sulle strutture, per verificare l’effettivo comportamento statico e dinamico, e analisi numeriche complesse per la valutazione della capacità mediante modelli matematici tarati sulla base dei risultati sperimentali. Sono operazioni costose ma indispensabili per una corretta diagnosi, ossia la valutazione dell’affidabilità strutturale, e per individuare la migliore terapia, ossia la definizione degli eventuali interventi di miglioramento (De Stefano et al, 2016). Al riguardo va ricordato che le tecniche tradizionali non sono idonee per l’adeguamento sismico degli edifici esistenti, essendo basate sull’incremento di resistenza e duttilità, ossia sulla capacità della struttura di danneggiarsi in presenza di azioni sismiche senza crollare. Inoltre, non garantiscono la reversibilità, richiedono a volte l’uso di materiali diversi e incompatibili con quelli originali e possono determinare modifiche della concezione strutturale originaria. Basandosi sulla capacità della struttura di dissipare l’energia trasmessa dal suolo danneggiandosi, le tecniche tradizionali possono soltanto fornire garanzie a fronte del collasso ma non evitare danni anche importanti agli elementi strutturali e non strutturali e al contenuto. Appare chiaro che, volendo rispettare il valore storico e artistico di un edificio, non sempre, anzi quasi mai è possibile adeguarlo sismicamente, ossia renderlo rispettoso delle prescrizioni normative per le nuove costruzioni. In tali casi sarebbe opportuno privare la struttura delle sue funzioni strategiche o di edificio di particolare rilevanza e trasferire queste in strutture idonee. L’isolamento sismico, invece, puntando alla riduzione dell’azione sismica che cimenta la struttura e, quindi, a un comportamento elastico della stessa e alla protezione del contenuto, rappresenta una valida alternativa, tenendo anche conto che interferisce poco o nulla con la struttura in elevazione (Clemente & Buffarini, 2010). Con riferimento agli edifici storici, ENEA e Politecnico di Torino hanno messo a punto un sistema (Figura 8) che consiste nella realizzazione di una piattaforma isolata sotto al piano delle fondazioni di un singolo edificio o di un aggregato strutturale di dimensioni anche grandi, come accade spesso nei nostri centri storici (Clemente & De Stefano 2011, Clemente et al 2011, De Stefano et al 2015). Da una trincea scavata al lato dell’area d’interesse dove viene realizzata un’apposita struttura di contrasto, si inseriscono dei tubi affiancati per tutta la lunghezza interessata dall’intervento. Successivamente, si crea un piano di discontinuità in corrispondenza del piano diametrale orizzontale dei tubi stessi, dove vengono inseriti i dispositivi di isolamento sismico. Un doppio sistema di pareti laterali, collegate rispettivamente ai semi-tubi superiori e a quelli inferiori, completa l’opera. Ne risulta una vasca interna, composta dai settori circolari superiori e dalle pareti interne, appoggiata tramite gli isolatori su un vasca esterna, composta dai settori circolari inferiori e dalle pareti esterne (Figura 10). Il terreno nella vasca interna va consolidato per garantirne un comportamento rigido; tale operazione può essere eseguita anche preventivamente, al fine di lavorare in maggior sicurezza (Clemente et al 2012a, 2012b). ASSICURAZION OBBLIGATORIA A FRONTE DEI RISCHI NATURALI Come detto, uno sviluppo sostenibile non può prescindere dalla sicurezza; pertanto, va ricercato un sistema virtuoso, che invogli i cittadini ad investire sulla sicurezza strutturale dei propri immobili, comporti una cospicua riduzione del rischio a fronte di eventi ambientali, non gravi sullo Stato, non arricchisca una categoria a scapito di altre o dei cittadini stessi. Un tale sistema, infine, dovrebbe contribuire a un rilancio del settore edile, motore trainante di ogni ripresa economica, e del mercato immobiliare (Clemente, 2013). Perché l’assicurazione? Innanzitutto per sollevare lo Stato dalle spese di ricostruzione, ma non solo: l’obbligo all’assicurazione, infatti, stimolerebbe proprietari e compagnie assicurative a verificare l’effettiva affidabilità delle costruzioni, per differenziare i premi assicurativi tra i vari immobili in funzione del rischio e, quindi, a intervenire in caso di carenze strutturali. S’innescherebbe, così, un sistema di prevenzione che gioverebbe sia ai proprietari, interessati a risparmiare sul premio di assicurazione, sia alle compagnie, interessate a ridurre la probabilità di dover risarcire i proprietari a seguito di eventi calamitosi. Inoltre ne trarrebbe giovamento il settore edile, che non può confidare in ulteriori espansioni edilizie delle nostre città, ma deve fare affidamento su una maggiore e accurata manutenzione dell’esistente, non trascurando l’ipotesi di demolizione e ricostruzione quando questo non soddisfi in pieno le moderne esigenze architettoniche e strutturali. Figura 8. Sistema di isolamento sismico per edifici esistenti L’assicurazione, pertanto, avrebbe l’effetto di stimolare una corretta prevenzione, anzi diventerebbe un efficace strumento di prevenzione dei rischi naturali. La valutazione della compagnia di assicurazione sarebbe, infine, una valida base per determinare il valore di un immobile, che dipenderebbe finalmente dal grado di sicurezza, che i proprietari sarebbero interessati a tenere alto. Va puntualizzato che il premio di assicurazione deve essere fissato in funzione del rischio. Con riferimento al sisma, non è detto quindi che pagherebbe di più chi vive in aree a elevata pericolosità sismica. Questa rappresenta soltanto un aspetto del rischio, che dipende anche dalla qualità e dal valore storico e artistico delle costruzioni: per edifici ben costruiti e oggetto di un’efficace manutenzione, anche se in aree a elevata pericolosità, il premio assicurativo dovrebbe essere comunque contenuto, mentre per edifici di cattiva qualità e/o scarsa manutenzione il premio dovrebbe essere maggiore, così come per edifici di pregio, per i quali l’elevato rischio dipende soprattutto dal valore. Il discorso è ben diverso per edifici costruiti in aree instabili dal punto di vista sismico o idrogeologico, che andrebbero demoliti e ricostruiti altrove. In questi casi si tratta spesso di edifici abusivi o costruiti in assenza di un adeguato piano regolatore. Apparentemente si tratta di una nuova tassa, ma in realtà è un sistema virtuoso, onesto e trasparente per sostituire le imposte esistenti, palesi e non (si pensi alle accise sui carburanti), con le quali attualmente si finanziano le ricostruzioni a seguito di eventi calamitosi. Si osserva che, dati i tempi di ricostruzione, il rimborso non sarebbe dovuto immediatamente a seguito dell’accertamento del danno, ma potrebbe essere erogato a stati di avanzamento dei lavori; ciò darebbe un certo respiro alle compagnie di assicurazione, specialmente nel caso di eventi calamitosi nei primi anni dall’entrata in vigore. Le compagnie potrebbero anche servirsi di imprese di propria fiducia per i lavori, esercitando così un controllo maggiore sull’utilizzo del rimborso. In alcune esperienze già avviate il sistema assicurativo si basa su un sistema di riassicurazione, che coinvolge più compagnie, mentre lo Stato interviene soltanto a fronte di eventi eccezionali ma si libera degli eventi minori. In Italia occorre soprattutto superare un limite culturale: ci si dovrebbe assicurare sperando di non averne bisogno e non per trarne benefici. Tenendo conto del numero di unità immobiliari in Italia e del costo dei danni dovuti a eventi naturali, sarebbe sufficiente un premio di assicurazione per unità immobiliare molto modesto. Allora il premio potrebbe essere incrementato mettendo a disposizione una somma annua, che potrebbe confluire in un fondo per la sicurezza strutturale e l’efficienza energetica per finanziare interventi preventivi sugli edifici al fine di ridurre gradualmente i costi di emergenza e ricostruzione e di gestione. Le risorse del fondo andrebbero assegnate mediante procedure concorsuali, indette e gestite dal Fondo stesso, che provvederebbe anche a approvare il singolo progetto di intervento. Al fondo potrebbero affluire, almeno per i primi anni, oltre al 50% dei premi relativi all’assicurazione obbligatoria, una quota annuale a carico dello Stato derivante dal gettito dei tributi relativi agli immobili, finanziamenti europei specifici del settore ed eventuali altri finanziamenti pubblici e privati. Ovviamente andrebbero previsti adeguati controlli sulla corretta applicazione della legge e sui risultati conseguiti. Conclusioni “Strategie di prevenzione più efficaci consentirebbero non solo di risparmiare decine di miliardi di dollari, ma permetterebbero di salvare decine di migliaia di vite umane. I fondi attualmente stanziati per le attività di intervento e soccorso potrebbero essere utilizzati, invece, per promuovere uno sviluppo equo e sostenibile, che consentirebbe di ridurre il rischio di guerre ed ulteriori disastri. Costruire una cultura di prevenzione, tuttavia, non è semplice. Mentre i costi per la prevenzione devono essere pagati nel presente, i benefici risiedono in un lontano futuro. Inoltre, i benefici non sono visibili; sono i disastri che non sono avvenuti”. Sono parole di Kofi Annan, all’epoca Segretario Generale dell’ONU, che risuonano simili a quelle di James Freeman Clarke, predicatore e politico statunitense: “A politician thinks of the next election; a statesman of the next generation. A politician looks for the success of his party; a statesman for that of the country”. Potremmo aggiornare queste affermazioni dicendo: “Uno statista pensa alle esigenze dei cittadini attuali e futuri; uno statista decide nell’ottica di uno sviluppo sostenibile”. Senza questi concetti non ci sarà mai un vero sviluppo sostenibile. Il compito degli ingegneri è di essere consapevoli che il mondo delle costruzioni gioca un ruolo importante nella definizione delle politiche di sviluppo sostenibile e di essere pronti a fronteggiare nuove problematiche e nuove sfide, tenendo sempre presente le parole di Akio Morita (1992): “Ridate orgoglio e prestigio agli ingegneri. Il mondo è pieno di avvocati e economisti e ovviamente tutti sono utili, ma alla fine sono gli ingegneri che fanno le cose”. Bibliografia Bongiovanni G., Clemente P., Forni M., Hailemikael S., Martini G., Paciello A., Rinaldis D., Verrubbi V., Zini A. (2013). “Valutazione della pericolosità sismica: considerazioni”. Energia, Ambiente e Innovazione, No. 3-4, 2-9, ENEA, Roma, DOI: 10.12910.EAI2013-01. 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