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La recente proposta di un termovalorizzatore per Roma ha aperto un forte dibattito. Vediamo, con l’ausilio di esempi concreti e dati reali, qual è l’impatto che un termovalorizzatore di ultima generazione ha su un territorio Indice degli argomenti: Gestione dei rifiuti. Le riflessioni di un termovalorizzatore La produzione dei rifiuti in Italia Termovalorizzatore di ultima generazione Termovalorizzatori in Europa e Italia Residui, scarti e scorie: i rifiuti di ultima generazione Luci e ombre del modello danese Termovalorizzatore Capitale? Conclusioni Nella gerarchia dei rifiuti, stabilita a livello comunitario dalla Direttiva Quadro Rifiuti 2008/98/EC e recepita in Italia dal Codice Ambiente (dlgs 152/2006), la termovalorizzazione ovvero l’incenerimento dei rifiuti con recupero di calore e/o energia, si colloca al penultimo posto, un gradino subito sopra alla discarica (il modo più inquinante di gestire i rifiuti): in via prioritaria sono preferibili la prevenzione, il riuso e riciclo. Termovalorizzazione è una traduzione fin troppo lusinghiera del termine da cui deriva “incineration with energy recovery” (incenerimento con recupero energetico) o “waste to energy” (da rifiuto a energia). Recuperare un rifiuto, restituendolo a nuova vita, un nuovo utilizzo, attraverso pratiche di riuso o riciclo che lo reinseriscano nell’economia e nel sistema produttivo secondo i principi dell’economia circolare: questo vuol dire davvero valorizzare il rifiuto. Bruciarlo per produrre energia (waste to energy), è solo un modo di farlo sparire, nell’aria e nell’acqua sotto forma di residui inquinanti più o meno gravi. Da una parte esiste l’esigenza di gestire una grossa mole di rifiuti che ancora oggi in Italia finisce in discarica (21% a livello nazionale) e che il termovalorizzatore potrebbe gestire in maniera sicuramente più efficiente e meno inquinante. Dall’altra esiste una preoccupazione fondata (basata sui dati di quei paesi che ci hanno puntato molto, in primis la Danimarca), che questa scelta possa influenzare e guidare le scelte politiche in questa direzione, a discapito ad esempio del riciclaggio. Quest’impianti, infatti, per poter essere vantaggiosi debbono poter bruciare continuamente una certa quantità dei rifiuti e ciò potrebbe essere da ostacolo per altri processi che ne sottrarrebbero preziose risorse. La recente proposta di un termovalorizzatore per Roma ha aperto un forte dibattito tra favorevoli e contrari. Ma qual è l’impatto del termovalorizzatore su un territorio da un punto di vista ambientale e della salute pubblica? Vediamo di capire pregi e difetti, problematiche generali e l’inquinamento che un termovalorizzatore di ultima generazione, sebbene in misura molto ridotta rispetto agli inceneritori di più vecchia data, può generare. Ma partiamo dal sistema di gestione dei rifiuti. Gestione dei rifiuti. Le riflessioni di un termovalorizzatore Fermo restando che il modo migliore di gestire gli scarti del sistema produttivo industriale in accordo alla gerarchia dei rifiuti stabilita dall’UE consiste nel non produrli affatto (prevenzione), ricorrendo a pratiche virtuose come il riciclo o il riuso dei prodotti giunti a fine vita, secondo i principi dell’economia circolare, cosa si può fare per la gestione dei rifiuti indifferenziati? Bisogna innanzitutto ammettere che il sistema è fallace. Possiamo accennare che le “colpe” sono in gran parte condivise tra i diversi attori della filiera produttiva. A monte, a causa di una progettazione lacunosa o “distratta”, che non considera rilevanti aspetti quali la sostituibilità e la riparazione di parti meccaniche o materiali, difettose o rotte e che spinge quindi il consumatore allo sbarazzarsi del prodotto ormai deteriorato piuttosto che provvedere alla sua riparazione. Pensiamo in particolare ai prodotti tecnologici quali batterie, telefoni, pc, ecc. E oltretutto c’è il problema degli imballaggi. Se fossero ridotti di numero e dimensioni, e costituiti da materiali ben distinti e facilmente riciclabili, sarebbe un bel vantaggio per tutti. A valle, c’è il consumatore, il cliente finale, il cittadino. Egli, anche laddove sia portatore sano di una spiccata sensibilità ambientale, si trova spesso a commettere errori nello smaltimento dei rifiuti domestici. Una cattiva informazione dalle amministrazioni pubbliche, unita a regole diverse e a volte contraddittorie tra le specifiche realtà urbane delle diverse regioni italiane, porta sovente a errare nella separazione dei materiali da destinare a riciclo. In mezzo c’è appunto la gestione politica, dall’Europa alle istituzioni italiane, che dovrebbero far da tramite tra imprese e cittadini, stabilendo una trama di principi e regole che possano favorire il benessere della comunità dal punto di vista sociale, economico, ambientale. Non a caso, i principi cardine della sostenibilità. Hanno il potere anzitutto di indirizzare il sistema produttivo verso un’economia circolare, l’uso di materiali naturali e riciclabili e meno imballaggi. Dall’altra aiutando e incentivando (anche attraverso una tassazione premiale) il cittadino a sviluppare pratiche di riuso e riciclo dei prodotti giunti a fine vita (attraverso campagne informative, raccolta dei rifiuti più incisiva fino ad arrivare al porta a porta). Ciò premesso occorre confessare che, nonostante la media nazionale piuttosto virtuosa (63%), il riciclo non gode di buona salute in molte grandi realtà urbane. Ad esempio, a Roma la raccolta differenziata è ferma al 44% (dati 2018). Abbiamo quindi una percentuale di rifiuti da smaltire pari al restante 56%, più della metà sul totale. Considerando che la quantità totale di rifiuti urbani è stata pari a oltre 1 milione e 700 mila tonnellate 605 kg annui pro-capite, quella non riciclata risulta essere quasi 1 milione. Come gestire questa grossa mole di spazzatura? Il sindaco Gualtieri ha immaginato la soluzione classica: l’inceneritore. Intervistato a più riprese, ha precisato che sarà un termovalorizzatore di ultima generazione, risultato della più recente e innovativa, tecnologia disponibile. Un sistema di trattamento dei rifiuti che, oltre a fornire energia sottoforma di calore, promette di non inquinare affatto: no la terra, no l’acqua, no l’aria. Ma siamo sicuri che questo sia un sistema davvero sicuro e pulito, economico ed ecologico, la migliore soluzione per gestire i rifiuti? La produzione dei rifiuti in Italia I rifiuti (art. 184 e allegato D parte IV del Dlgs 152/2006) si distinguono in base alla loro origine in: Rifiuti urbani Rifiuti speciali Questi, in base alla caratteristica di pericolosità, possono ulteriormente distinguersi tra rifiuti pericolosi o non pericolosi. In base alla composizione ed al processo di provenienza, a ciascuna tipologia di rifiuto (urbano, speciale, pericoloso), viene infine assegnato un codice CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti), di recente rinominato codice EER (Elenco Europeo dei Rifiuti). I rifiuti speciali (prodotti dalle industrie, dalle attività di costruzione, dalle attività commerciali e artigianali, dai servizi, ma anche dal trattamento dei rifiuti e dal risanamento ambientale), rappresentano la quota prevalente del mondo dei rifiuti, pari a oltre l’80%. Va infatti considerato che, oltre al settore edilizio (rifiuti da costruzione e demolizione C&D) che ne produce circa la metà (45,5%), all’amianto o asbesto (anche pericoloso), una quota consistente deriva anche dagli scarti dei processi di trattamento applicati ai rifiuti urbani (ad esempio la selezione, o l’incenerimento). Di conseguenza, i rifiuti speciali possono essere costituiti anche da materiale che si genera dal trattamento dei rifiuti urbani, oltre che dal trattamento degli stessi rifiuti speciali. Questo, unito a un più vasto assortimento di codici EER, genera maggiori incertezze nella contabilizzazione dei rifiuti speciali a livello statistico, che risulta essere invece molto accurata nel caso dei rifiuti urbani. Le statistiche ufficiali, sia per i rifiuti urbani sia per quelli speciali, sono redatte annualmente da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Nel 2019, la produzione nazionale dei rifiuti speciali si attesta a quasi 154 milioni di tonnellate (sono compresi i quantitativi di rifiuti speciali provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani, pari a quasi 11,6 milioni di tonnellate). Di questi, circa il 7,3 % pari ad oltre 10 milioni di tonnellate, sono considerati rifiuti speciali pericolosi (di cui oltre 1,5 milioni di tonnellate di veicoli fuori uso, pari al 15,1%). Nel 2019, la produzione nazionale dei rifiuti urbani (RU) si attesta a 30 milioni di tonnellate, pari ad una produzione pro capite di 503 kg per abitante (con ampie differenze regionali: si va dai 370 kg di un molisano ai 663 kg prodotti da un cittadino dell’Emilia-Romagna). Non c’è un obiettivo europeo comune sulla prevenzione della produzione di rifiuti, ma sono invece previsti l’obiettivo di preparazione per il riutilizzo, recupero e riciclaggio di almeno il 65% dei rifiuti urbani prodotti al 2035, e di riduzione al 10% del conferimento in discarica entro il 2030 attualmente la media nazionale si attesta al 20,1% dei rifiuti prodotti, ancora più del doppio rispetto all’obiettivo europeo. Su fronte del riciclo, l’Italia è tra i primi in Europa come tasso complessivo, potendo vantare un 63% di raccolta differenziata. Male invece se consideriamo la sola parte di rifiuti urbani, fermi al 47%. Termovalorizzatore di ultima generazione Il termovalorizzatore è un impianto di incenerimento di rifiuti in grado di sfruttare la combustione dei rifiuti per generare calore e produrre energia elettrica. Premesso che ha costi d’investimento iniziale e di gestione elevatissimi, esso ricava profitto da: Costo di smaltimento del rifiuto Produzione e vendita di energia elettrica Numerosi passi in avanti, sul fronte della riduzione delle emissioni e dell’inquinamento, sono stati fatti dal primo inceneritore costruito alla fine dell’Ottocento in Inghilterra per motivi di igiene pubblica legati alla proliferazione dei rifiuti solidi urbani. Fino a trent’anni fa bruciare rifiuti significava rilasciare nell’aria numerosi inquinanti, specialmente diossine. Lo sviluppo tecnologico ha permesso l’abbattimento delle emissioni nocive: i termovalorizzatori di ultima generazione, grazie alla combustione ottimizzata, a sistemi di monitoraggio e particolari filtri e apparecchi, riescono a trattenere la quasi totalità delle particelle presenti nei fumi prima che questi vengano immessi nell’atmosfera. Questo a condizione che gli impianti siano progettati con le migliori tecnologie disponibili (BAT), ovvero quelle soluzioni tecniche impiantistiche, gestionali e di controllo in grado di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente. La normativa nazionale di settore, di derivazione europea, si basa su due dispositivi: limiti di emissione al camino (la normativa impone determinati limiti da non superare) uso delle migliori tecniche disponibili (indicazioni contenute nel BREF della Commissione Europea) Per garantire l’efficienza dei sofisticati sistemi di abbattimento di un termovalorizzatore, oltre ad una rigorosa gestione dell’impianto si rende necessario un efficace controllo delle emissioni nasce l’esigenza di un controllo in continuo delle emissioni che sostituisca i pochi controlli saltuari previsti da leggi ed autorizzazioni purtroppo ancora in vigore in Italia. Tecnicamente non è possibile monitorare in continuo la concentrazione delle diossine e dei microinquinanti alle emissioni, ma è possibile campionarle in continuo, in modo che si ottengano dei dati accurati sull’effettivo flusso di massa emesso ed immesso nell’ambiente. Termovalorizzatori in Europa e Italia In Italia ci sono attualmente attivi 37 termovalorizzatori (in prevalenza al Nord), un dato che a livello europeo si confronta ad esempio con i 126 impianti della Francia e con i 96 della Germania, secondo una mappa di Utilitalia (Federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente) su dati Ispra. I sostenitori degli inceneritori evidenziano la grande disparità con Francia e Germania, che hanno un numero nettamente superiore (fino a 3 volte) degli impianti italiani. Questa è una visione parziale: l’Italia è infatti in linea con la quantità di termovalorizzatori della Gran Bretagna e ne ha un numero molto elevato se paragonata a Paesi come Spagna (12), Portogallo (4), Polonia (7). La Danimarca ne possiede meno, “solo” 26 inceneritori, un numero modesto in sé, ma enorme se messo in relazione con la popolazione del Paese, meno di sei milioni di abitanti. Per essere in linea con questo principio, l’Italia dovrebbe avere sull’intero territorio nazionale 126 inceneritori, circa 90 in più. Secondo il rapporto Ispra “Rifiuti urbani 2021”, nel 2020 in Italia, i rifiuti urbani inceneriti sono oltre 5,3 milioni di tonnellate, su un totale di quasi 29 milioni (il 18,4%). Di questi, circa la metà (2,7 milioni di tonnellate) è costituita da rifiuti urbani tal quali (codici EER 20), mentre la restante quota è rappresentata da rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani (frazione secca, rifiuti combustibili e, in minor misura, bioessiccato). Inoltre, negli stessi impianti vengono inceneriti rifiuti speciali per un totale di quasi 918 mila tonnellate di cui 58 mila sono rifiuti pericolosi in prevalenza di origine sanitaria. Chi si oppone all’incenerimento dei rifiuti parla di impatto ambientale e salute pubblica. L’incenerimento dei rifiuti, infatti, provoca il rilascio di una serie di emissioni nocive nell’ambiente, di vario tipo e grado. I termovalorizzatori di ultima generazione, è vero, riescono a fermare attraverso appositi filtri la gran parte degli elementi nocivi rispetto ai loro predecessori più datati, ma non bloccano proprio tutto. In aggiunta, l’incenerimento genera nuovi rifiuti che dovranno a loro volta essere trattati e smaltiti. Residui, scarti e scorie: i rifiuti di ultima generazione Bruciare i rifiuti, non significa eliminarli completamente, annientarli senza lasciar traccia, farli sparire. Le tracce infatti rimangono. Il rifiuto, bruciando, si trasforma in altro prodotto, costituito una parte gassosa e una parte solida. Lo stesso vale anche per i termovalorizzatori di ultima generazione, sebbene il volume della materia prima di scarto può essere notevolmente ridotto del 90%. I rifiuti, intesi come sottoprodotto di scarto del trattamento termico del rifiuto, consistono in: 1. emissioni di gas nell’atmosfera 2. ceneri pesanti 3. ceneri leggere 4. scorie pericolose (provenienti da processi di abbattimento dei fumi) Bruciare un rifiuto, produce quindi a sua volta un rifiuto. Per capire l’entità di questi scarti, affidiamoci nuovamente ai dati Ispra. Sempre secondo il rapporto “Rifiuti urbani 2021”, i rifiuti prodotti in Italia dall’incenerimento dei rifiuti urbani sono così costituiti: 73% da ceneri pesanti e da scorie non pericolose 14,1% da rifiuti pericolosi provenienti da processi di abbattimento dei fumi 10,2% da ceneri leggere, ceneri pesanti e scorie pericolose Dalle ceneri vengono separate e recuperate alcune sostanze – come i metalli – ed il resto, quasi 37 mila tonnellate sono avviate a discarica. Le ceneri pesanti e le scorie pericolose sono avviate perlopiù a trattamento chimico-fisico (circa 63 mila tonnellate), a riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche (57 mila tonnellate), mentre sono destinate in Germania oltre 29 mila tonnellate di cui l’84,8% a recupero ed il 15,2% a smaltimento. Gli inquinanti presenti nei fumi prodotti dagli inceneritori comprendono composti tipici del processo di combustione in senso generale – particolato e alcuni gas acidi come SO2 e Nox sostanze specifiche della combustione del rifiuto altri gas, tracce di alcuni metalli pesanti come cadmio e mercurio, diossine, furani e idrocarburi Diossine e furani sono le sostanze considerate più pericolose dalla normativa e sui cui livelli di emissione si basano principalmente i procedimenti autorizzativi per l’apertura di un termovalorizzatore. Lo sviluppo tecnologico ha permesso di abbattere le emissioni inquinanti presenti nei fumi prima che questi vengano immessi nell’atmosfera: la condizione essenziale è che gli impianti siano progettati con le migliori tecnologie disponibili (BAT), gestiti correttamente e controllati costantemente ed in modo adeguato. Luci e ombre del modello danese Chi sostiene apertamente il termovalorizzatore, come soluzione pulita e tecnologicamente efficiente, non può non citare il caso della Danimarca, tra i Paesi al mondo considerato uno dei più sensibili da sempre alle tematiche ambientali, disseminata di piste ciclabili ed energie rinnovabili. Quell’inceneritore sorto sulle rive del mare, che trasforma i rifiuti urbani in energia e calore, frutto delle più recenti tecnologie disponibili; un luogo in cui fare sport con pareti dedite all’arrampicata e un grande parco verde in copertura (green roof) che in inverno si tramuta in piste da sci: Amager Bakke, a Copenhagen. Già ribattezzato Copenhill (in omaggio alla collina, seppur artificiale, che la forma evoca), il termovalorizzatore progettato dall’architetto danese Bjarke Ingels (BIG) è considerato l’esempio virtuoso per eccellenza da imitare. Amager Bakke o Copenhill: l’inceneritore di Copenhagen. Opera dell’architetto BIG ENI, ad esempio, ne parla come di “Un gigante di efficienza energetica…. di quasi 100 metri, ma amico della città, prende da essa i rifiuti e restituisce elettricità, riscaldamento, materie prime ma anche nuove opportunità ricreative.” E ancora: “un punto di riferimento in tutto il mondo, per la sua capacità di unire le ultime scoperte in fatto di tecnologie con un’architettura che lo porta ben oltre il suo essere un “semplice” impianto industriale…non si tratta quindi solamente di un’installazione industriale, ma di una vera e propria attrazione turistica: un nuovo punto di riferimento per la città di Copenaghen”. Ma non rilascia solo vapore acqueo come molti asseriscono. Le emissioni, seppur in quantità minime e ben al di sotto dei valori limite imposti dalla normativa, ci sono. Dal camino usciranno monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico, ossidi di azoto e diossine. Confronto di diversi valori limite per le emissioni nell’aria degli impianti di termovalorizzazione. I valori tipici delle emissioni sono misurati in base al primo anno di esercizio. L’area dei valori basata sulle medie giornaliere (unità: mg/m3). *Somma di 9 metalli: Hg, Cd, Tl, As, Pb Cr, Cu, Ni e Zn. BREF: riferimento alle migliori tecniche disponibili (BAT). TEQ: equivalenza tossica. Ma se proviamo ad ampliare lo sguardo, sebbene al punto di vista ambientale Copenhill può essere certamente considerato un modello virtuoso di termovalorizzatore (stando ai dati delle emissioni pubblicati), il suo esempio viene in realtà messo in ombra da una serie di elementi esterni che, direttamente o indirettamente, possono dare una lettura sulle strategie di gestione dei rifiuti di tutta la Danimarca. Innanzitutto, Amager Bakke è criticato principalmente per non essere adatto allo scopo prefisso. La sua dimensione è infatti spropositata rispetto ai fabbisogni della capitale e dell’intero Paese: la sua capacità di incenerimento è di 560.000 tonnellate l’anno. Per funzionare a pieno regime ed essere quindi sostenibile dal punto di vista economico (elevati costi d’investimento iniziali e di gestione), l’inceneritore deve perciò importare rifiuti dall’estero, da altri Paesi europei. E, nonostante ciò, spesso si trova a funzionare in modo parziale, per mancanza di spazzatura. Nel 2019 l’intero Paese ha importato rifiuti per una quantità pari a oltre 1,2 milioni di tonnellate (Rapporto Rifiuti), una quantità aumentata negli anni. Oltre a questo, possiede infatti ben 25 altri inceneritori, un numero altissimo se paragonato alla popolazione e quindi alla produzione nazionale di spazzatura (che si attesta, nel 2019 a 12,7 milioni di tonnellate: numero, anche questo, in aumento). In Europa il confronto con gli altri Paesi è impietoso: la Danimarca è campione nella produzione dei rifiuti urbani in Europa (record assoluto), attestandosi su una media di circa 845 kg per abitante. Ogni danese produce quindi ben 340 kg di rifiuti in più rispetto a un cittadino europeo, fermo a “soli” 505 kg l’anno; un italiano è invece sotto la media, seppur di poco, con 487 kilogrammi (dati Eurostat 2020). Per quanto riguarda il tasso di riciclo dei rifiuti urbani, a fronte di una media europea del 47,8%, la Danimarca si ferma ad appena il 45% (l’Italia arriva al 51,4%). Significa che oltre la metà dei rifiuti danesi il 55%, pari a 465 kg pro capite, quasi la produzione totale media europea – non sono recuperati e devono essere avviati a impianti di trattamento e incenerimento. Se è vero quindi che dal punto di vista tecnologico e ambientale i termovalorizzatori danesi possono essere presi a riferimento, lo stesso non può dirsi più in generale circa il modello di gestione dei rifiuti. Termovalorizzatore Capitale? La soluzione proposta dal sindaco della Capitale Roberto Gualtieri accoglie il favore dell’Europa. Intervistato da Radio 24, Frans Timmermans, Vicepresidente della Commissione europea, ha spiegato: «Siamo in contatto con Gualtieri ogni settimana. Dobbiamo trovare una soluzione al problema dei rifiuti a Roma, metterli in terra è una pessima soluzione…si può fare anche con un termovalorizzatore, se fatto in modo sostenibile». Questa che potrebbe apparire come un auspicio per la città di Roma, se letta attentamente, più che un’approvazione aperta della soluzione del problema dei rifiuti romani attraverso la costruzione di un termovalorizzatore, rischia di essere una condanna definitiva al conferimento in discarica. E, se proprio deve essere, piuttosto che la discarica, ben venga l’incenerimento, se fatto in modo sostenibile. Ma, tra le righe, s’intravede l’auspicio di ben altra possibilità che sia di livello più alto nella gerarchia dei rifiuti, il riuso o riciclo se l’azione preventiva risultasse inefficace. Infatti, la stessa Commissione, in un documento del giugno 2019 denominato “Taxonomy Technical Report”, nella classificazione delle attività economiche che possono essere definite sostenibili all’interno dell’Unione Europea, e in particolar modo sul trattamento dei rifiuti contenute nell’atto delegato relativo agli aspetti climatici della nuova tassonomia verde Ue, ha escluso l’incenerimento e riciclo chimico. Il regolamento sulla cosiddetta “Tassonomia Verde”, esclude l’incenerimento dei rifiuti dalle attività economiche che possono essere definite sostenibili: “Si considera che un’attività economica dà un contributo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare, compresi la prevenzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti, se riduce al minimo l’incenerimento dei rifiuti ed evita lo smaltimento dei rifiuti, compresa la messa in discarica, conformemente ai principi della gerarchia dei rifiuti”. In altre occasioni, la Commissione Europea osserva preoccupata che l’elevato numero di inceneritori di alcuni Stati membri “non è coerente con il conseguimento degli obiettivi di riciclaggio più ambiziosi proposti nel piano d’azione per l’economia circolare”. È anche vero allo stesso tempo che la città di Roma, avendo chiusa la sua discarica principale di Malagrotta al momento risulta attiva una sola linea di Trattamento Meccanico Biologico o TMB, l’altra è stata interessata da un vasto incendio proprio pochi giorni fa, la più grande d’Europa, deve esportare oltre la metà dei suoi rifiuti in altre regioni, e anche fuori dall’Italia, con una ricaduta negativa in termini di inquinamento dovuto al trasporto, che si aggiunge al “costo ambientale” dello smaltimento in sé. Conclusioni Abbiamo visto un’ampia varietà di scenari circa l’impatto del termovalorizzatore in termini di economia, ambiente e salute di un territorio, tentando di ampliare lo sguardo a comprendere dinamiche più generali e strategie politiche, influenze e ricadute nella filiera di gestione dei rifiuti. Ne sono emersi dati confortanti, ma anche riflessioni di più ampia portata che ne evidenziano limiti e contraddizioni di un modello di gestione dei rifiuti fortemente connesso. Nella gerarchia dei rifiuti, incentivare una pratica tra le cinque disponibili (prevenzione, riuso, riciclo, incenerimento, discarica), non può che andare ineluttabilmente a discapito delle altre. Anche dal punto di vista energetico, la termovalorizzazione non è un processo efficiente: per bruciare i rifiuti e produrre energia, ne consuma parecchia. Molto più efficace è lo sfruttamento delle energie rinnovabili, dal fotovoltaico all’eolico, passando per agrivoltaico, parchi eolici e comunità energetiche. Certo, il problema dei rifiuti di Roma è di portata ciclopica e sotto gli occhi di tutti: dai turisti agli abitanti che ogni giorno frequentano le sue vie cariche di bellezza ma anche maleodoranti e sporche. La c.d. “monnezza” (per usare un volgo), specie in certi quartieri e periodi dell’anno, invade le strade e ne ridisegna l’aspetto. È indiscutibile che serva una soluzione coraggiosa e rapida, ma siamo sicuri che l’inceneritore sia la scelta migliore sotto il profilo della sostenibilità? Forse l’urgenza, per una città come la Capitale d’Italia che ricicla appena il 44% della spazzatura che produce, richiede un ripensamento circa le strategie di incentivo sulla raccolta differenziata (ad esempio, campagne di sensibilizzazione più efficaci o il porta a porta), per portarla se non a livello dei capoluoghi più virtuosi come Treviso (86,8) o Trento (83,4%) almeno come Milano che vanta una percentuale del 63%, molto più simile alla Città Eterna per dimensioni e struttura urbana. Vorrebbe dire togliere il 20% dei rifiuti romani da affidare a incenerimento e discarica. Una quantità pari a circa 350 mila tonnellate l’anno. Mica male. Legambiente ci offre un altro lungimirante esempio. Come racconta nel suo dossier “Comuni Ricicloni 2022”, la città di Livorno ha da poco dismesso il suo inceneritore perché, con il riciclo arrivato ad oltre il 65%, non era più conveniente tenerlo attivo (occorreva importare i 2/3 dei rifiuti dall’esterno per tenerlo a regime). Al suo posto il Comune prevede di avviare un nuovo impianto per il trattamento della Forsu (frazione organica del rifiuto solido urbano) con cui produrre biogas e compost (pagato con i fondi del PNRR). Il rischio che pratiche virtuose come il riuso o riciclo possano venir contrastate dalla logica del termovalorizzatore, appare quindi del tutto fondato. Occorre una scelta. E occorre in fretta. Per approfondire: Codice dell’Ambiente, Dlgs 152/2006 INAIL, La sicurezza per gli operatori degli impianti di termovalorizzazione e di incenerimento, 2013 Ispra, Rapporto Rifiuti Urbani, Edizione 2021 Legambiente, Comuni Ricicloni, Ed. 2022 IEA Bioenergy, Waste-to-Energy and Social Acceptance: Copenhill WtE plant in Copenhagen, 2021 Ragazzi M. et al., Management of atmospheric pollutants from waste incineration processes: the case of Bozen., Waste Management & Research, 31, 235-240, 2013 Utilitalia, Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani, settembre 2020 UE, Taxonomy Technical Report, 2019 Commissione Europea, Best Available Techniques (BAT) Reference Document for Waste Incineration, 2019 Miljøstyrelse, Affaldsstatistik 2019, December 2020 UNEP, Waste to Energy: Considerations for Informed Decision-making, 2019 ZWE, A Danish fiasco: the Copenhagen incineration plant, 2019 Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento