Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Il verde urbano per le città va pianificato e aumentato per tutelare la salute dei cittadini e per un’inversione di rotta virtuosa. Lo afferma Francesco Ferrini, docente ed esperto di arboricoltura Indice degli argomenti: Verde urbano per le città: come si può realizzare la rivoluzione verde? Quanto verde serve alle città? Quali sono i benefici noti e meno noti ma non meno utili delle piante? Quanto tempo ci rimane per attuare una riconversione verde delle città A livello UE, tra le misure previste dal Green Deal s’intendono piantare da qui al 2030 tre miliardi di alberi. Sono realizzabili? Il verde urbano per le città è fondamentale per la vita stessa dei suoi cittadini. Secondo stime del report di Nature Conservancy sarebbe necessaria una nuova massiccia campagna di piantagione di alberi nelle 245 città più grandi del mondo, e investimenti per circa 3,2 miliardi di dollari l’anno. Sarebbe una spesa di enorme rilevanza per la salute umana, perché potrebbe salvare tra le 11mila e le 36mila vite all’anno in tutto il mondo grazie al minore inquinamento. A ricordarlo è Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura e Coltivazioni Arboree all’Università di Firenze. Ferrini è un grande esperto del settore. Lui e il suo dipartimento universitario collaborano, tra l’altro, a Prato Forest City, parte del progetto di forestazione urbana della città toscana. «Prato, ma anche Firenze e altre grandi città stanno dimostrando una maggiore sensibilità per il tema verde; meno se ne riscontra in realtà più piccole dove gli alberi sono spesso considerati come problemi da gestire piuttosto che risorse da tutelare». Ha appena pubblicato un articolo intitolato “Le città dopo il Covid-19: come gli alberi e le infrastrutture verdi possono aiutare a plasmare un futuro sostenibile” in cui mette in evidenza l’importanza, nella crescita equa delle città, di un cambiamento nella pianificazione e gestione delle città future soprattutto per quanto riguarda l’aumento delle aree verdi. “Questo deve essere condotto attraverso un processo di rigenerazione che deve fare riferimento ai 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile, spesso trascurati nei programmi di rigenerazione e questo rischia di portare a un rinnovamento urbano insostenibile in molte città”, illustra Ferrini. C’è necessità scrive ancora – di attuare una “rivoluzione verde” che, attraverso l’aumento della copertura vegetale, renderà le nostre città luoghi migliori e più inclusivi. “La città ‘verde’ non può quindi rimanere solo un insieme di idee astratte, portabili, stereotipate perché deve essere il luogo che costituirà il territorio di attività della nostra vita”. Professor Ferrini, il Covid-19 ci ha insegnato che c’è grande bisogno di verde urbano per le città. Lei stesso parla della necessità di una rivoluzione verde. Come è possibile realizzarla? Occorre partire dalla constatazione che le nostre città, pur essendo i motori della crescita economica, propulsori di idee e centri nevralgici di creatività e di innovazione tecnologica, sono purtroppo spesso caotiche, inquinate, rumorose e fonte di stress. C’è bisogno di riprendere un contatto con la natura che purtroppo il gigantismo delle realtà metropolitane ha fatto perdere, in Italia e anche all’estero. C’è necessità di trovare aree verdi che consentano una rigenerazione a livello psico-fisico. Il verde aiuta ad accrescere non solo il benessere ambientale, ma anche quello sociale. Per questo esprimo la necessità di un’autentica rivoluzione verde. Essa deve partire dall’incremento della copertura arborea delle nostre città che, purtroppo, attualmente è molto al di sotto del “minimo sindacale” non solo in molte grandi città ma anche, soprattutto, nelle realtà medie e piccole – anche per la loro conformazione storica dove la cementificazione e il consumo di suolo hanno allontanato il cosiddetto territorio aperto, dove è presente l’elemento naturale. Dobbiamo creare città più verdi, ambienti concreti dove è possibile vivere bene. Quindi occorre partire dalla misurazione della copertura arborea, comprendere dove sono più sensibili le carenze di aree verdi, di alberi e da lì intervenire per creare le condizioni su misura dal punto di vista ambientale. Quanto verde serve alle città? Dal punto legislativo ci si rifà ancora al Decreto interministeriale 1444 del 1968, ovvero a un decreto datato più di 50 anni fa. In esso si stabilisce un minimo di 9 metri quadri destinati ad aree verdi, o più nello specifico “per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade”. Img by Pixabay Nove metri quadri sono una quantità irrisoria di verde urbano per le città. Credo che la dotazione minima da considerare dovrebbe essere di 20 mq netti. Tuttavia addirittura il minimo stabilito per legge è spesso disatteso. Inoltre dovrebbe essere un verde fruibile: non è pensabile che esso si limiti solo alle aiuole spartitraffico o ai viali alberati, comunque utili anche solo per limitare le isole di calore urbane e a ridurre l’inquinamento, oltre che catturare CO2 e produrre ossigeno. Solo per fare un esempio: dieci rotonde verdi da 500 mq che valgono quindi 5000 metri quadri di verde non possono valere come un piccolo parco con la stessa superficie totale. Quali sono i benefici noti e meno noti ma non meno utili delle piante? Parto dalle evidenze del report di Nature Conservancy: incrementando la copertura arborea delle nostre città mediante una adeguata pianificazione si potrebbero risultati importanti sotto forma di minore inquinamento. E questo consegue minor tasso di patologie cardio vascolari e broncopolmonari, ma in generale favorisce una migliore salute, stimola un maggiore moto delle persone e quindi minori problemi di iperglicemia e ipertensione. Una maggiore presenza di verde urbano per le città contribuisce a rafforzare il sistema immunitario. Del resto, è stato dimostrato che anche il Covid-19 è stato più virulento nelle aree più inquinate, che ci rendono più deboli ed esposti agli agenti patogeni e ai virus. Nel complesso, i benefici noti sono quelli legati alla cattura dell’anidride carbonica e alla produzione di ossigeno, alla riduzione degli inquinanti nell’aria, la produzione di ombra e la conseguente azione nel ridurre le isole di calore. Quelli meno noti riguardano il positivo effetto sulla biodiversità, specie quella microbica: questa è forse la più importante, perché influisce sulla nostra salute. Quando si parla di microorganismi si tende a pensare all’accezione negativa. In realtà il nostro corpo è composto per oltre la metà da cellule microbiche. Sono fondamentali per la nostra vita. Il microbiota intestinale di una persona che vive vicino ad aree verdi è diverso da quello di una persona che vive in un contesto fortemente urbanizzato. Ma è anche la presenza dei microrganismi presenti nel suolo per esempio, o intorno alle piante o presenti sulle foglie sono da sempre in simbiosi con gli esseri umani: la presenza di piante ha un effetto fondamentale sul microbiota che ci garantisce una migliore salute. È un beneficio invisibile, ma essenziale. Quanto tempo ci rimane per attuare una riconversione verde delle città? Le rispondo in tre modi. Pessimistico: ormai abbiamo passato il punto di non ritorno. Il realismo mi porta a dire che se ci mettiamo in moto ora forse possiamo imprimere un cambiamento, anche se gli effetti a medio e lungo termine innescati dai cambiamenti climatici li dobbiamo ancora sentire. Ottimisticamente parlando, invece, ho ancora un po’ di fiducia sul genere umano che è stato capace di sprofondare in una crisi climatica da lui stesso provocata potrebbe anche risollevarsi. E lo potrà fare solo – metaforicamente parlando – sostenendosi a quel ramo proteso verso terra che spesso tagliamo, potiamo, capitozziamo. Se permettiamo di farlo crescere allora ci sarà ancora speranza. Di rivoluzione verde se ne parla nel PNRR, dove si prevede tra le azioni rivolte principalmente alle 14 città metropolitane – lo sviluppo di boschi urbani e periurbani, piantando almeno 6,6 milioni di alberi (per 6.600 ettari di foreste urbane). A livello UE, tra le misure previste dal Green Deal s’intendono piantare da qui al 2030 tre miliardi di alberi. Sono realizzabili? Partiamo dall’obiettivo UE: è irrealizzabile. Finora poco o nulla è stato fatto e al 2030 mancano poco più di otto anni. Significa piantare circa 375 milioni di alberi l’anno, ossia quasi 2 milioni al giorno, considerando che il periodo d’impianto si può estendere (ottimisticamente) per circa 200 giorni e togliendo sabati, domeniche e festivi: è uno sforzo titanico non solo dal punto di vista economico, ma anche di reperibilità. Da presidente del distretto vivaistico ornamentale di Pistoia posso dire che la disponibilità arborea nei vivai italiani, inclusi quelli forestali è di circa 10 milioni di alberi all’anno. Quindi non ci sono materialmente gli alberi da piantare per centrare l’obiettivo europeo. Riguardo invece all’obiettivo del PNRR è fattibile, sulla carta: il problema è legato alla disponibilità di quei 6600 ettari dove piantare alberi. Personalmente nutro seri dubbi perché la gran parte dei terreni ancora liberi sono di proprietà privata e difficilmente vengono ceduti. In ogni caso – ribadisco – è fattibile. Tuttavia si dovrebbero concentrare gli sforzi economici e umani nelle zone urbane, piantando meno alberi rispetto agli obiettivi, ma concentrandosi nei luoghi dove sono più necessari. Inoltre, serve assecondare la natura, che progressivamente si riappropria di aree sottratte negli anni passati per l’agricoltura e il pascolo. Ciò sta già avvenendo in Italia che può registrare un aumento della superficie forestale, a scapito di terreni abbandonati. Purtroppo nella riconquista verde spesso prevalgono specie invasive e alloctone. Dovremmo promuovere la rinascita spontanea, ripulendo il bosco e dando spazio per la piantagione progressiva di specie autoctone. In ogni caso credo sia necessario fare uno sforzo su più livelli, a livello istituzionale, decisionale, economico, sociale per creare boschi urbani, piuttosto che impianti sparsi qua e là, poco significativi. Questo porrebbe le basi anche per la creazione di microclimi più favorevoli e con ricadute più positive per le città. 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