Chimica in crisi

Il fitto dedalo di norme, procedure, burocrazia rischia di fare un’altra e prestigiosa vittima: l’industria chimica. La competitività del settore, una dei più floridi della nostra economia, è messa a rischio proprio da questi aspetti, come ha recentemente denunciato il presidente di Federchimica e amministratore di Mapei Giorgio Squinzi. A complicare la già precaria situazione arriva anche l’avvento dell’Unione Europea su cui incombe il rischio della iperegolamentazione. Il ruolo della chimica, per Squinzi, è trasversale a tutta l’economia italiana, ne costituisce uno degli elementi trainanti. Esemplificativo della sovrabbondanza normativa è proprio il caso della registrazione dei prodotti chimici, ovvero la valutazione dei rischi connessi all’impiego di tutte le sostanze esistenti e di quelle nuove. Quelle con una produzione superiore alle mille tonnellate annue saranno le prime a essere verificate. In base alle regole proposte dalla Direzione generale dell’Ambiente, questa operazione potrebbe comportare alla chimica europea costi pari a circa 50mila miliardi di lire. Secondo Squinzi il rischio è l’entrata in crisi dell’intero comparto. Nella realtà non esiste una alternativa alle direttive della Dg Ambiente ma solo la proposta formulata dalla Cefic (la Federchimica europea) che prevede costi nettamente inferiori, ma non è stata accolta.
Nei prossimi giorni sarà sottoposto alla Commissione Ue il Libro bianco sulla futura politica per i prodotti chimici in cui viene formulata la ciclopica opera di regolamentazione. Ancora Squinzi ritiene che il vero problema risiede nell’incapacità, tutta italiana, di sviluppare il sistema degli accordi volontari e dell’accettazione del principio per cui a un maggior impegno volontario corrispondono meno norme.

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