La crisi dell’edilizia è senza fine?

La crisi dell'edilizia è senza fine?

L’analisi dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro non lascia molto spazio all’ottimismo: in 10 anni il settore edile ha perso 539mila posti di lavoro, le infrastrutture sono bloccate e il Paese sembra fermo. Ma le proposte per ripartire ci sonoLa crisi dell'edilizia è senza fine?Pubblicata l’analisi dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro “Edilizia, una crisi inarrestabile” che analizza i dati del settore a livello europeo e italiano dal 2008 ad oggi e gli effetti della crisi su occupazione e congiuntura.

I dati parlano da soli: in Europa dal 2008 al 2017 si sono persi più di 3,4 milioni di posti nel settore delle costruzioni, 539 mila di questi in Italia. Ma se negli altri paesi la ripresa economica ha avuto impatti positivi anche nel settore edile con una crescita degli occupati, lo stesso purtroppo non si può dire dell’Italia. Nel nostro paese infatti si è registrato solo nel 2017 un esiguo aumento di 5 mila unità nel 2017, quando in Europa l’incremento è stato di 300mila persone.

Eppure il comparto delle costruzioni rappresenta in Italia circa il 45% del valore degli investimenti nazionali e vale circa il 10% del Pil e oltre il 6% dell’occupazione

Dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro emerge che i lavoratori italiani, soprattutto i più giovani, sono stati quelli maggiormente colpiti dalla crisi (-498 mila), le flessioni calano molto sia tra gli stranieri extra-comunitari (-41 mila) che tra gli stranieri comunitari (-0,8%).

Un altro dato allarmante è che il lavoro irregolare cresce passando dall’11,4% del 2008 al 15,8% del 2016, andamento più preoccupante nel sud Italia, dove quasi un edile su quattro lavora in nero (23,7%); la percentuale scende al 27,9% nelle regioni del Centro e al 10,4% in quelle del Nord.

La ragione principale della perdita dei posti di lavoro è legata alla diminuzione degli investimenti che nel periodo preso in considerazione sono calati di oltre 70 miliardi di euro, di cui 65 solo nel comparto delle costruzioni.

Una crisi inarrestabile dunque ma ripartire è possibile: è necessario secondo il Consiglio Nazionale dell’ordine Consulanti sul Lavoro prevedere un piano per far ripartire gli investimenti in infrastrutture. In particolare si legge nell’Osservatorio che durante i 9 anni di crisi si è persa una quota di PIL pari complessivamente a 8,1 punti percentuali “che avrebbe incentivato la creazione di 1,2 milioni di posti di lavoro, con il conseguente abbattimento del tasso di disoccupazione”.

Se a patire maggiormente sono stati gli investimenti per la realizzazione di nuove costruzioni, di opere pubbliche e di edilizia non residenziale privata (-51,3%), il settore che mostra più che incoraggianti segnali di ripresa (+74%) è quello legato agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture esistenti, grazie, come sappiamo, agli ecobonus e detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico, confermati dalla Legge di Bilancio anche per il 2019.

“Su 701 miliardi di euro investiti dal 2007 al 2017 in manutenzione straordinaria, 218 miliardi sono stati mossi dagli incentivi fiscali – pari al 31,1% del totale -, che per ciascun anno hanno attivato circa 300.000 posti di lavoro”.

Nel Rapporto si legge che se si aumentassero di circa 1 miliardo di euro gli sgravi fiscali si potrebbe diminuire il costo del lavoro e creare una domanda aggiuntiva diretta e indiretta di circa 2 miliardi e 292 milioni di euro, con una ricaduta complessiva sul sistema economico di 3 miliardi e 513 milioni di euro. In questo modo ci potrebbero essere tra i 15 e i 18mila nuovi impiegati del settore delle costruzioni, tra lavoratori diretti e indotto.

Il Presidente della Fondazione Studi, Rosario De Luca, sottolinea che gli interventi da cui partire per far ripartire l’economia sono gli investimenti in infrastrutture e la riduzione del costo del lavoro.

“L’esempio del Ponte Morandi ha drammaticamente sottolineato come il sistema delle infrastrutture viarie in Italia sia fermo da oltre 50 anni. Riprendere ad investire in questo settore significherà far ripartire l’economia, fare il bene delle aziende, dei lavoratori e dei cittadini italiani, che finalmente potranno godere di un Paese più moderno e sicuro”.

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