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Tagliare le emissioni e raggiungere i target al 2030 è l’obiettivo che diversi impegni internazionali, a cominciare da quelli europei, ci impongono. Per farlo però il superbonus non sembra essere una misura adatta, specie sotto il profilo economico. E’ la Banca d’Italia a dirlo in un nuovo studio dedicato ai costi sociali della decarbonizzazione in relazione alle misure adottate con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il rapporto – ‘Costs and benefits of the green transition envisaged in the Italian Nrrp. An evaluation using the social cost of carbon’ – offre un bilancio degli investimenti legato anche ai tempi di recupero dei costi: ovvero quando il valore degli interventi ambientali arriverà a essere in equilibrio con la spesa messa in campo; ed è rispetto a questa analisi che il superbonus risulta non funzionale. Almeno in uno scenario a breve termine. Ma neanche troppo a breve termine, dal momento che una linea per il recupero viene fissata al 2100, e con non poche difficoltà. Insomma costa troppo e, nel tempo, non vale tanto in termini di riduzione delle emissioni di gas serra. La questione si capovolge invece se si prendono in esame gli investimenti nelle energie rinnovabili – specie se innovativi e tecnologicamente avanzati – che già a distanza di poco tempo riescono a offrire benefici ambientali e un recupero dei costi. E per esempio risultano ‘vincenti’ sotto questo profilo, le comunità energetiche, la produzione di energia agrivoltaica (quella che unisce il fotovoltaico all’agricoltura), e gli impianti eolici offshore (cioè i rotori, quindi le pale, che generano energia grazie al vento poste in mare al largo delle coste), ma anche la produzione di energia grazie al semplice, e normale, movimento del mare. Tutti investimenti che avrebbero tempi di recupero degli investimenti entro il 2030. La mancata ‘economia’ del superbonus (al 110%) Il totale delle misure ambientali messa in conto dal Recovery plan è di 71,7 miliardi, quasi il 40% di tutto il Piano nazionale di ripresa e resilienza (poco più del 37%).E’ in questo quadro che il superbonus non regge: costa quasi 14 miliardi e l’abbattimento delle emissioni dovrebbe essere di 0,667 milioni di tonnellate di CO2 all’anno a partire dal 2027. Quindi i benefici ambientali – secondo lo studio – non arriverebbe prima del 2100. Ma si potrebbe scendere al 2067 se venisse applicato un tasso di interesse sui prestiti del 2% da parte delle banche, ovvero con una percentuale di rimborso minore. In questo modo si avrebbero a disposizione risorse per altri interventi. Un discorso simile viene fatto anche l’efficienza energetica degli edifici pubblici, e sul teleriscaldamento che costa troppo rispetto rispetto alla promessa di riduzione delle emissioni. Sì alle rinnovabili, all’agrivoltaico e alle comunità energetiche Sì a rinnovabili, in testa l’eolico offshore , l’agro-voltaico e le comunità energetiche. Per l’agro-voltaico – di cui viene messa in evidenza la sua efficienza – la spesa di 1,1 miliardi rientrerebbe già al 2028 con tassi di interesse da parte delle banche del 2%. Lo stesso vale per la promozione delle comunità energetiche. L’auto-produzione di energia permette di abbattere 1,5 milioni di tonnellate all’anno; e lo Stato ha messo a disposizione 2,2, miliardi. Sprint anche per i tempi di recupero della misura che sarebbe ripagata a partire già dal 2026. In quattro anni si riuscirebbe a rientrare anche degli investimenti per gli impianti rinnovabili, soprattutto se tecnologicamente innovativi come l’eolico offshore ma anche come l’energia mareomotrice che produce energia grazie al movimento del moto ondoso e delle maree. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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