Effetto superbonus sui conti pubblici, deficit all’8% nel 2022

L’Istat rileva che il rapporto con il Pil si è attestato all’8% contro le stime del 5,6%. Revisione peggiorativa anche per il 2020 e per il 2021. La classificazione delle agevolazioni come spese ‘pagabili’ ha spostato il peso sull’anno in cui si generano, evitando di spalmarne l’effetto su tutto il periodo di detrazione. Nel 2023 e negli anni a seguire, considerando lo stop alle cessioni e la nuova classificazione statistica, il peso sull’indebitamento dovrebbe essere inferiore. Per il ministero dell’Economia è necessaria ora “un’uscita sostenibile” dalle misure dei bonus.

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Effetto superbonus sui conti pubblici, deficit all'8% nel 2022

Effetto superbonus sul deficit. Istat dixit. L’impatto dei numeri è evidente: nel 2022 il rapporto con il Pil si è attestato all’8% contro le stime della Nadef – la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza – del 5,6%. Superbonus e altri crediti hanno portato ad una revisione peggiorativa anche dei dati per i due anni precedenti: nel 2020 al 9,7% del Pil dal 9,5% stimato; e nel 2021 al 9% dalla stima del 7,2%.

In valore assoluto l’indebitamento per il 2022 è di 153.447 milioni di euro, in diminuzione di circa 7,8 miliardi rispetto all’anno precedente.

Lo scorso anno – spiega l’Istituto di statistica – le costruzioni, sostenute proprio dai bonus per l’edilizia, hanno portato a una crescita del valore aggiunto del settore di oltre il 10%. Il debito è aumentato in termini assoluti ma nel rapporto con il Pil è sceso al 144,7%.

La classificazione delle agevolazioni come spese ‘pagabili’ ha spostato il peso sull’anno in cui si generano, evitando di spalmarne l’effetto su tutto il periodo di detrazione.

I bonus edilizi – dice l’Istat – pesano come spesa pubblica direttamente nel primo anno di avvio, senza essere invece spalmati nell’arco degli anni previsti dalla detrazione:

“Alla luce del nuovo quadro interpretativo e a seguito dell’esito degli approfondimenti metodologici condotti congiuntamente da Istat e Eurostat, è mutato il trattamento contabile del superbonus 110% e del cosiddetto bonus facciate a partire dall’anno di stima 2020. Entrambi i crediti di imposta sono ora classificati come crediti di imposta di tipo pagabili e registrati nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche come spese per l’intero ammontare, ossia nel momento di sostenimento della spesa di investimento agevolata. Nelle precedenti stime, entrambe le agevolazioni erano state classificate come crediti di imposta di tipo non pagabili ed erano quindi registrate come minor gettito nell’anno di utilizzo del credito (quindi, come minore entrata tributaria)”.

Nel 2023 e negli anni a seguire, considerando lo stop alle cessioni e la nuova classificazione statistica, il peso sull’indebitamento dovrebbe invece essere decisamente inferiore, lasciando più spazio di manovra per eventuali altri interventi di politica economica.

La scelta di Palazzo Chigi – cioè lo stop alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura – offrirà quindi il suo contributo al bilancio dello Stato consentendo alcune modifiche di cui già si discute, tipo quella sul sisma-bonus oppure nuovi aiuti per attenuare la morsa del caro-energia.

Per i conti dello Stato, e di conseguenza per i margini di movimento del governo, la buona notizia è che aver sforato la soglia nel 2020, nel 2021 e nel 2022 non rappresenta un problema, dal momento che il Patto di Stabilità Ue è sospeso. Cosa fondamentale è non essersi portati dentro quest’anno, così come nei prossimi, il peso di uno sforamento.

Il nodo del blocco di sconto in fattura e cessione del credito

Secondo il ministero dell’Economia “la correzione delle norme sui bonus edilizi è stato l’indispensabile presupposto a tutela dei conti pubblici per il 2023, invertendo una tendenza negativa certificata dall’Istat“. Contemporaneamente il governo “assicura un’uscita sostenibile” dalle misure dei bonus edilizi anche perché – avvete il ministero – “non sono replicabili nelle medesime forme”. Quello cui si guarda adesso è “risolvere il grave problema di liquidità finanziaria delle imprese ereditato da imprudenti misure di cessione del credito non adeguatamente valutate al momento della loro introduzione“.

Il contesto non è di semplice definizione, e pertanto non lo è neanche la soluzione: tra le ipotesi, quella di una possibile esenzione dallo stop per i Comuni del cratere del sisma del Centro-Italia ancora in fase di ricostruzione, un limite legato ai redditi, l’acquisizione dei crediti da parte delle partecipate (Eni e Enel), e la gestione attraverso gli F24 da parte delle banche.

I costruttori – l’Ance in testa – fanno presente come dopo l’Istat e l’Eurostat sia stato

“chiarito che i crediti derivanti dai bonus edilizi sono già stati contabilizzati nel bilancio dello Stato” e che quindi, “come sosteniamo da tempo, possono e devono essere pagati subito”. Per la presidente dell’Ance Federica Brancaccio “emerge con ancora più forza la necessità di risolvere il problema della liquidità delle imprese e delle famiglie così da non vanificare lo sforzo che è stato fatto per spingere l’economia”.

I 19 miliardi di crediti dei bonus edilizi incagliati nei cassetti fiscali mettono a rischio 115mila cantieri, 32mila imprese e 170mila lavoratori.

“Vanno chiaramente considerati gli orientamenti delle autorità statistiche rispetto alle modalità di registrazione nei conti pubblici di questi incentivi – osserva la dg di Confindustria Francesca Mariotti – ma non possono validare le modalità con cui è stato attuato il repentino blocco delle operazioni di sconto in fattura e cessione”.

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