Il destino dell’edilizia moderna tra rinnovo e recupero

Quale sarà la sorte delle moderne costruzioni? Questo l’importante interrogativo a cui alcuni relatori d’eccellenza nell’ambito della critica e della storia dell’arte contemporanea hanno cercato di dar risposta nel corso dell’incontro “Il destino dell’edilizia moderna tra rinnovo e recupero” – al quale ha partecipato anche il Sovrintendente di Brescia, Mantova e Cremona Dott. Luca Rinaldi. Il convegno è stato organizzato dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Brescia e dall’azienda Tassullo , in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Brescia, col Collegio dei Geometri di Brescia, col Collegio di Costruttori Edili di Brescia e Provincia, con Ala e Inarsind.

Segno dell’attenzione sempre crescente riservata non solo dalle Associazioni ma anche dalle aziende al patrimonio edilizio moderno e contemporaneo, il convegno – seguito dai numerosi progettisti in platea – ha avuto il suo cuore negli interventi di Philippe Daverio, noto storico dell’arte nonché autore televisivo, e di Francesco Poli, Docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera e curatore di mostre d’arte e d’architettura contemporanea.

Daverio ha dato un taglio antropologico all’argomento: “Ci sono popoli stanziali, come gli europei, che costruiscono per l’eternità e popoli originariamente nomadi che costruiscono con materiali che hanno invece una durata limitata, come gli americani. Personalmente credo nell’architettura come segno di un’identità. Dobbiamo quindi avere la capacità di pensare e di mantenere ciò che è stato edificato, salvo eccezioni. Quello che oggi è noto come Castel Sant’Angelo a Roma ha subito nella sua storia molte mutazioni d’uso ed è bello proprio per questo, per questa concrezione di stili.”

La concezione dell’architettura come “manutenzione” è stata sposata anche da Francesco Poli: “Ma la città – ha evidenziato – non è solo composta di case o monumenti. E’ un sistema composito di percorsi esistenziali e di persone che vi abitano. La vera bellezza è il senso che acquistano le cose. Un esempio? Il Lingotto a Torino, il cui recupero ha cambiato la funzione dell’edificio: un tempo era una fabbrica, il luogo triste del lavoro, e oggi è qualcosa di completamente diverso, ma legato alla storia della città. Recuperare il vecchio, edificare il nuovo, inserendo il tutto in una memoria”.

Al di là delle opere degli “archistar”, che spesso dialogano solo con se stesse e non sono inserite nel tessuto della città, “è necessario – ha concluso Daverio – che gli architetti dialoghino con il presente”.

Il destino dell’edilizia moderna tra rinnovo e recupero
Brescia, 2 ottobre 2008

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