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Per il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani è arrivato il momento di smetterla di rammendare e mettere “toppe”, per coprire i buchi della mancanza di una visione a lungo termine. Oggi dipendiamo troppo dal gas, che per il 45% importiamo dalla Russia. Chiede di aprire una riflessione sul mix energetico del futuro del nostro Paese guardando oltre i 30 anni di Tommaso Tetro E’ arrivato il momento di smetterla di rammendare e mettere “toppe” sull’energia, per coprire i buchi della mancanza di una visione a lungo termine. Il caro-bollette ne è un esempio, e in un certo senso rappresenta quello che ci toccherà fare ogni tre quattro anni se non apriamo una riflessione sul mix energetico del futuro del nostro Paese. Una riflessione ampia che il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani lascia al Parlamento, e che nella suo pensiero guarda oltre i 30 anni. Non elude i necessari passaggi sulla crisi in Ucraina, che è monitorata dal Comitato di emergenza gas e che si è già riunito diverse volte, oltre a esser pronto a mettere in campo un Piano ad hoc con l’obiettivo finale di ridurre la dipendenza di gas dalla Russia, da cui oggi ne importiamo per il 45% del totale. “Abbiamo l’obbligo di riflettere sull’energy mix”, guardando al 2050 e al 2060 – osserva allora Cingolani, riferendo in Aula alla Camera sull’impennata dei prezzi dell’energia – se no ci ritroviamo ogni tre quattro anni a dover mettere una toppa. Aprite questa riflessione e lasciatela correre; questo dovete farlo voi. Io ho espresso un’opinione da cittadino e da scienziato”. Questo per aprire a un bilanciamento energetico basato su una diversificazione delle fonti sia di energia che di origine, perché per esempio per il gas “siamo totalmente dipendenti dall’import”. Racconta di come sia “imprenscindibile accelerare sulle rinnovabili“, anche se questo non basterà al 2030, così come non basterà pensare all’inevitabilità del “gas come combustibile di transizione”. Soluzioni per lo stoccaggio di energia In ogni caso, il ministro fa presente come il nostro Paese si trovasse in una situazione migliore sullo stoccaggio rispetto ad altri Paesi all’inizio dell’inverno (18 miliardi di metri cubi, quasi al 90% a ottobre 2021 contro il 75% a livello europeo). Ma gli stoccaggi, utilizzati a ritmo sostenuto, adesso sono ai livelli che vengono raggiunti a fine marzo. E’ per questo che – ammette – sarà necessario uno sforzo maggiore per gli stoccaggi per l’inverno 2022-2023, che prenderanno il via dal primo aprile. Il capitolo Ucraina: il panorama – come con le decisioni da prendere sulle bollette – si muove dentro uno sguardo europeo, e insieme si valuterà la situazione e che le misure da prendere. La crisi in Ucraina ci mette con le spalle al muro. L’elemento centrale – citato anche dal premier Mario Draghi – è il gas che dalla Russia arriva in Europa, e che ora tiene sotto scacco le economie. Il prezzo più alto, per quel pezzo di tubo che attraversa il territorio ucraino, lo paga proprio l’Italia; da noi infatti più che altrove (dove il mix energetico è più maturo), le ripercussioni del conflitto nel cuore dell’Europa pesano anche sulla ripresa – prezzi impazziti delle bollette, inflazione, materie prime – con il rischio di mangiarsi gli effetti benefici delle risorse del Pnrr. Sul fronte italiano invece il governo segue l’evoluzione della crisi, e mantiene in “monitoraggio costante” con “il Comitato emergenza gas” che “si è già riunito più volte”. Tra le possibili misure del Piano di emergenza, ci sono la flessibilità sui consumi di gas, l’aumento del Gnl, il completo utilizzo della capacità di trasporto e la massimizzazione di flussi da gasdotti non a pieno carico (come per esempio il Tap dall’Azerbaijan, il TransMed dall’Algeria e dalla Tunisia, il GreenStream dalla Libia). “L’obiettivo in generale – spiega Cingolani – è quello di ridurre la forte dipendenza dalla Russia”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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