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La disciplina delle distanze tra costruzioni è devoluta allo Stato, gli enti locali possono derogare alle norme statali solo prevedendo limiti maggiori rispetto alle norme del codice civile. Con sentenza del 2005/232, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 50, ottavo comma, let. c, della Legge Regionale Veneto n. 11/2004 che disciplina le distanze tra costruzioni. I giudici costituzionali hanno ritenuto illegittima la normativa regionale che introduce distanze minime più restrittive rispetto ai limiti imposti dall’art. 873 cc. Si ricorda, al riguardo, che il codice civile impone, nella realizzazione di nuove opere, che si mantenga una distanza tra fabbricati non inferiore a tre metri (salvo, naturalmente, l’ipotesi di costruzioni in aderenza). La norma è dettata dalla necessità di evitare che si realizzino pertugi bui e potenzialmente pericolosi; sotto questo profilo, pertanto, si tratterebbe di norme poste a tutela del pubblico interesse. Lo stesso articolo, nell’ultimo capoverso, consente ai regolamenti locali di stabilire distanze maggiori. Occorre rilevare che la Corte Costituzionale sembra aver fornito un’interpretazione alquanto restrittiva al dettato del codice civile. Volendo estendere il principio ai regolamenti edilizi comunali, ci si chiede quanti cadrebbero sotto la scure della Consulta; non è raro, infatti, che regolamenti locali dettino una disciplina meno severa rispetto alla normativa civilistica. A voler seguire l’indirizzo dettato dagli ermellini, non poche amministrazioni comunali sarebbero tenute a ridisegnare la normativa comunale in tema di distanze nelle costruzioni. di Donato Palombella I documenti sono reperibili sul portale Diritto e Progetti: www.dirittoeprogetti.it Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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