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L’edificio fa parte del complesso della Villa Gnecchi-Rusconi e, secondo uno dei pochi documenti esistenti, la struttura risulta accatastata nel 1850 e inaugurata nel 1863. E’ composto da due blocchi principali: quella che un tempo poteva essere una sorta di dogana, con uffici dove venivano registrati i carri e le quantità di grano, e l’aia vera e propria. Quest’ultima è sicuramente la parte più interessante. L’area esterna che copre circa 640 metri quadrati, era stata studiata per essere un ingegnoso essiccatoio naturale. La superficie è costituita da enormi lastre di granito bianco di Montorfano, inclinate verso sud in modo da impedire il ristagno dell’acqua piovana. Ai lati si trovano ancora le quattro colonne di ghisa con i ganci utilizzati per appendere i sacchi di grano e le bandiere segnavento che indicavano la direzione delle correnti d’aria e la posizione migliore per scaricare le granaglie. Si tratta dell’unico esempio di aia ventilata esistente in Brianza, un ingegnoso sistema di ventilazione naturale. L’Aia presenta tracce concrete di bioarchitettura nella canalizzazione domestica dell’acqua piovana che sfrutta un sistema di pluviali e pozzetti. Nulla è lasciato al caso: l’altezza del muro perimetrale era stata studiata al centimetro per sfruttare al meglio la luce del sole. Ma è addentrandosi sotto le imponenti lastre granitiche che si capisce il funzionamento dell’aia. Qui infatti si trovano sette corridoi sotterranei, separati da muri di pietra e pilastri di mattoni. Sette cunicoli spaziosi, studiati per garantire una perfetta aerazione grazie al vento che penetra dai lati aperti. Questa arguzia permetteva alle lastre di granito, ove era disteso il grano, di mantenere una temperatura che garantiva ai chicchi di asciugare senza scoppiare sotto i raggi del sole. Inoltre, grazie alla perfetta canalizzazione della pioggia, era scongiurata la possibilità che le messi marcissero a causa dei ristagni d’acqua. E’ proprio questo dedalo sotterraneo, motore nascosto dell’ingegnosa opera di bioedilizia che costituisce l’aia, che la Proprietà sta per recuperare e rendere fruibile al grande pubblico. I cunicoli, riportati quasi interamente alla loro originaria bellezza, diventeranno un percorso didattico illuminato da suggestivi fasci di luce che ne accentueranno le caratteristiche, la struttura e le particolarità. Restauro conservativo L’intervento prevede un delicato e complesso restauro conservativo, in quanto l’intero complesso è vincolato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Culturali. Il progetto, curato dall’Arch. Bruna Galbusera, intende infatti conservare e valorizzare la natura storica dell’Aia, fornendo un esempio concreto di bioedilizia. Il recupero dell’aia ventilata Le murature in pietra di collegamento si presentavano in condizioni di degrado a causa della malta argillosa utilizzata all’epoca e dei percolati d’acqua. Si è quindi deciso di ricomporre le murature utilizzando malta di calce idraulica RÖFIX 954, ripristinando così la loro funzione portante. Le lastre di granito che costituiscono l’impalcatura, ancora in buone condizioni, sono poste in opera leggermente scostate l’una dall’altra in modo tale che l’acqua meteorica fluisca liberamente, poggiano su pilastri interni in mattoni pieni (sezione 60×80 cm), alti circa 1,45 m e si impostano sui muri continui in pietra che collegano tutte le linee dei pilastri in direzione nord-sud. Restauro del cortile e del muro di cinta Dopo la rimozione della vegetazione, che aveva preso il sopravvento durante il periodo d’abbandono della struttura, si è potuto intervenire sul muro di cinta ripristinando le fughe della muratura con RÖFIX 665, una malta riempitiva a base di calce idraulica naturale, con aggregato siliceo in granulometria fino a 6 mm. Questa operazione ha permesso di riconsolidare fra loro le pietre che costituiscono la muratura e di migliorare la planarità del supporto preparandolo all’applicazione successiva. L’applicazione del rinzaffo, spesso non eseguita o quantomeno trascurata, ha la generica funzione di consolidare la struttura, ma in questo caso ha avuto più importanza un’altra componente. Applicando RÖFIX 675 a copertura totale del supporto ed in spessore di circa 5/7 millimetri, si è potuto sfruttare la capacità d’assorbimento preparando uno strato uniforme che, dopo dieci giorni di maturazione, si è potuto bagnare abbondantemente prima dell’applicazione dell’intonaco. La pratica di inumidire ed in alcuni casi di bagnare il supporto è sempre necessaria quando si utilizzano prodotti naturali, formulati secondo ricette tradizionali, per garantire una lenta evaporazione dell’acqua di impasto ed un lento assorbimento da parte del supporto, al fine di ridurre la possibilità della formazione di fessure. Per l’esecuzione dell’intonaco è stato utilizzato RÖFIX 696, a base di calce idraulica naturale, applicato con macchina intonacatrice in spessori massimi di 15 millimetri in due mani successive a distanza di almeno 24 ore. Questo lasso di tempo non è necessario, dato che la calce si può lavorare anche fresco su fresco. Diventa indispensabile quando si devono eseguire spessori importanti su muratura mista o quando si lavora a temperature troppo elevate che provocherebbero la formazione di fessure e altre problematiche da risolvere. Per la finitura del ciclo è previsto l’utilizzo di RÖFIX 952, malta da restauro colorata, applicata in spessori di circa cinque millimetri e rifinita con frattazzo di legno. Fasi dell’intervento di restauro Il recupero dell’edificio ad un solo piano caratterizzato dallo stile arabeggiante è stato eseguito con cura recuperando i decori originari. Ciò è stato possibile grazie all’abilità delle maestranze impiegate ed all’impegno economico della proprietà che ha permesso l’utilizzo di intonaci a calce idraulica naturale, sughero per la coibentazione interna, grasselli di calce stagionati per il consolidamento e gli affreschi, pitture e velature ai silicati di sicura qualità per le tinteggiature. 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