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Gli studi, le indagini e i risultati di seguito esposti sono frutto del cantiere di formazione, sperimentazione e restauro attualmente in atto nell’area archeologica di Pompei e riguardante i restauri delle pitture murali di alcuni termopoli (botteghe), gestito, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica, dal Centro DIAPReM, dalla Facoltà di Architettura Biagio Rossetti e dalla Facoltà di Architettura Valle Giulia. I fronti interessati dal restauro appartengono all’officina coactiliaria (bottega dei feltrai), all’officina infectoria (tintoria con fornace) e al Termopolio di Asellina (locanda), situati lungo via dell’Abbondanza. La stretta interazione fra la Soprintendenza Archeologica e le due Università ha consentito la redazione di un importante progetto, che ha avuto come obiettivo primario non solo la salvaguardia delle famose vestigia architettoniche, ma anche la formazione di diverse figure professionali che operano nel campo del restauro. Dal punto di vista delle caratteristiche e dei comportamenti materiali si può osservare come, generalmente, le murature a Pompei risultino mediocri sotto un rivestimento di livello altissimo, in cui le prescrizioni di Vitruvio risultano ampiamente applicate. Anticamente, infatti, i blocchi di tufo delle murature erano spesso legati con malta piuttosto debole e grossolana costituita da calce e terra vulcanica, utilizzata anche per il rinzaffo e per l’arriccio. L’intonaco vero e proprio, composto da calce e cristalli di calcite o polvere di marmo (o coccio pesto per l’esterno) presentava invece ottime caratteristiche. L’uso di malte deboli all’interno delle murature era probabilmente intenzionale, poiché assicurava deformabilità alle strutture e consentiva l’assorbimento dei frequenti movimenti del suolo, mentre l’intonaco doveva presentare caratteristiche di protezione e resistenza all’erosione. Il punto debole era costituito dall’interazione tra i due sistemi, problema che si è potuto verificare soprattutto nei periodi successivi alle operazioni di scavo, a causa degli sbalzi termici e della fuoriuscita dei sali, causata dall’evaporazione dopo secoli di seppellimento. Tutti i paramenti murari dei fronti oggetto del cantiere sono eseguiti in tecnica mista in pietra e laterizio; prevalgono i materiali lapidei tipici del luogo, di natura vulcanica, utilizzati anche come inerti e aggregati delle malte, per assicurare la naturale idraulicità conferita dalle ceneri vulcaniche (pozzolana). Anche per quanto riguarda le malte che caratterizzano i fronti si hanno situazioni di grande eterogeneità; oltre alle malte antiche, probabilmente coeve alla costruzione dei fronti o derivanti da restauri precedenti l’eruzione del Vesuvio, si hanno una serie di malte di restauro recenti, ascrivibili sia agli interventi eseguiti sulle facciate al momento dello scavo, che relative ad interventi successivi. Si ha quindi la compresenza di malte a base di calce aerea, idraulica e malte a base cementizia. I fronti del cantiere lungo via dell’Abbondanza si trovano al confine con la zone del sito archeologico non ancora scavata e, nelle zone retrostanti le facciate delle antiche botteghe, sono presenti muri di contenimento del terrapieno di materiale non ancora riportato alla luce; tali murature sono state realizzate al momento dello scavo (primo decennio del XX secolo) e in periodi successivi, utilizzando materiale locale di recupero (materiale lavico, pomici, conci calcarei, ecc): si hanno quindi murature miste in cui i blocchi lapidei sono legati da malta probabilmente di natura cementizia. Tra le problematiche più ricorrenti nella sperimentazione di malte di restauro nel cantiere di via dell’Abbondanza, oltre alla compatibilità fisico-chimica tra i componenti, vi è la ricerca di materiali che presentino caratteristiche idonee all’applicazione su materiali antichi, soprattutto per quanto concerne il principio della reversibilità, ovvero la possibilità di rimuovere ogni intervento eseguito sulle strutture originali. Inoltre, pur nel rispetto del principio di distinguibilità, un ulteriore fattore per la buona riuscita di interventi di integrazione è il raggiungimento di una tonalità cromatica atta a raggiungere un soddisfacente risultato dal punto di vista estetico e percettivo. In particolare, tra le problematiche rilevate nei fronti oggetto d’esame, è da segnalare la presenza di umidità dovuta al contatto diretto delle fasce inferiori delle murature con il muro di contenimento del retrostante terrapieno; la porzione non scavata trattiene e veicola le acque meteoriche, e i cicli secco-umido favoriscono la fuoriuscita dei sali in superficie, rendendo diffuso ed estremamente dannoso il problema dell’efflorescenza. Su tutte le superfici ancora intonacate e dipinte dei fronti oggetto del cantiere si presenta, inoltre, il problema dei vuoti da risarcire, laddove la malta originale si è polverizzata al di sotto degli intonaci, a causa della forte presenza di umidità e degli interventi non idonei eseguiti in passato (iniezioni, probabilmente a base cementizia, che nel corso del tempo hanno provocato i vuoti). All’interno del cantiere sono stati effettuati test e prove sperimentali riguardanti le varie operazioni previste per il successivo restauro, come la pulitura ed il trattamento biocida, il consolidamento della superficie e dei distacchi degli strati di intonaco, le prove di malte per le integrazioni e le stuccature, al fine di individuare i prodotti ed i materiali più idonei. La scelta di tali prodotti è avvenuta associando le prove pratiche in cantiere ai risultati delle analisi di laboratorio eseguite dal geologo Gian Carlo Grillini e dal chimico Dr. Diego Cauzzi, e dal laboratorio scientifico e dal centro ricerche della Fassa Bortolo. Queste analisi hanno comportato il prelievo di alcuni campioni di intonaci e di materiali applicati sulla superficie in passati interventi di restauro, al fine di determinarne l’esatta composizione e di definire la natura degli interventi conservativi precedenti, permettendo di indirizzare la metodologia d’intervento. Per la sperimentazione delle malte sono state predisposte campionature sulla base di ricette usualmente utilizzate a Pompei, ed altre ancora sono state preparate appositamente dal centro ricerche Fassa Bortolo. Molte campionature sono state realizzate su tavelloni in laterizio collocati all’aperto, mentre altre sono state applicate direttamente su parti delle murature di restauro. Tutte le prove sono state effettuate in condizioni di esposizione agli agenti atmosferici simili a quelle che dovranno sopportare dopo la posa in opera, al fine di testarne le caratteristiche ed il comportamento fisico-meccanico. Alcune prove sono state eseguite su una porzione del muro di contenimento del terrapieno, composto da materiali lapidei di reimpiego legati con malte a base idraulica, probabilmente cementizia, collocato tra il fronte dell’Officina Infectoria e il Compitum con altare, al fine di saggiarne la tenuta se utilizzata in stuccature effettuate su blocchi calcarei e per risarcire e chiudere le mancanze. Altre due prove sono state eseguite in una zona distinta del medesimo muro di contenimento. In questo caso è stata utilizzata anche una malta per il risanamento di murature umide a base di leganti resistenti ai solfati messa a punto dal centro ricerche Fassa Bortolo; nelle campionature è stata prevista anche la colorazione in pasta al fine di integrare le lacune presenti nelle zone di intervento con la cromia della superficie. In tal senso la malta è stata applicata in due prove, una nel colore naturale del prodotto, l’altra pigmentata con terre naturali. Un campione è stato applicato lavorato liscio (per favorire il deflusso dell’acqua), l’altro con superficie finita ruvida. Solo dopo aver effettuato le prove su tavelloni in laterizio, sui muri di contenimento del terrapieno retrostante e su murature di restauro, si è potuta constatare l’efficacia delle malte sperimentate potendo così decidere di effettuare ulteriori test su una zona del paramento a vista dell’officina infectoria, in corrispondenza della fascia inferiore, sottoposta, nel secolo scorso, a interventi di restauro. Le campionature sono periodicamente oggetto di campagne di monitoraggio e i risultati serviranno per la definizione del progetto di intervento le cui metodologie, messe a punto insieme al laboratorio della Soprintendenza, confluiranno in una manualistica di riferimento per l’area archeologica. di Federica Maietti I prodotti industriali per il restauro degli intonaci dell’antichità L’apporto dell’azienda Fassa Bortolo per il risanamento. I fronti di via dell’Abbondanza, oggetto del cantiere di restauro attualmente in fase conclusiva, presentano, per quanto riguarda la presenza di intonaci e malte, situazioni di grande eterogeneità; oltre alle malte antiche, probabilmente coeve alla costruzione dei fronti o derivanti da restauri precedenti l’eruzione del Vesuvio, si hanno una serie di malte di restauro recenti, ascrivibili sia agli interventi eseguiti sulle facciate al momento dello scavo, che relative ad interventi successivi. Si ha quindi la compresenza di malte a base di calce aerea, idraulica e malte a base cementizia. Le facciate si trovano al confine con la zone del sito archeologico non ancora scavata e, nelle zone retrostanti le facciate delle antiche botteghe, sono presenti muri di contenimento del terrapieno di materiale non ancora riportato alla luce; tali murature sono state realizzate al momento dello scavo (primo decennio del XX secolo) e in periodi successivi, utilizzando materiale locale di recupero (materiale lavico, pomici, conci calcarei, ecc): si hanno quindi murature miste in cui i blocchi lapidei sono legati da malta probabilmente di natura cementizia. Tra le problematiche più ricorrenti nella sperimentazione di malte di restauro nel cantiere di via dell’Abbondanza, oltre alla compatibilità fisico-chimica tra i componenti, vi è la ricerca di materiali che presentino caratteristiche idonee all’applicazione su materiali antichi, soprattutto per quanto concerne il principio della reversibilità, ovvero la possibilità di rimuovere ogni intervento eseguito sulle strutture originali. Inoltre, pur nel rispetto del principio di distinguibilità, un ulteriore fattore per la buona riuscita di interventi di integrazione è il raggiungimento di una tonalità cromatica atta a raggiungere un soddisfacente risultato dal punto di vista estetico e percettivo. In particolare, tra le problematiche rilevate nei fronti oggetto d’esame, è da segnalare la presenza di umidità dovuta al contatto diretto delle fasce inferiori delle murature con il muro di contenimento del retrostante terrapieno; la porzione non scavata trattiene e veicola le acque meteoriche, e i cicli secco-umido favoriscono la fuoriuscita dei sali in superficie, rendendo diffuso ed estremamente dannoso il problema dell’efflorescenza. Su tutte le superfici ancora intonacate e dipinte dei fronti oggetto del cantiere si presenta, inoltre, il problema dei vuoti da risarcire, laddove la malta originale si è polverizzata al di sotto degli intonaci, a causa della forte presenza di umidità e degli interventi non idonei eseguiti in passato (iniezioni, probabilmente a base cementizia, che nel corso del tempo hanno provocato i vuoti). All’interno del cantiere sono stati effettuati test e prove sperimentali riguardanti le varie operazioni previste per il successivo restauro, come la pulitura ed il trattamento biocida, il consolidamento della superficie e dei distacchi degli strati di intonaco, le prove di malte per le integrazioni e le stuccature, al fine di individuare i prodotti ed i materiali più idonei. La scelta di tali prodotti è avvenuta associando le prove pratiche in cantiere ai risultati delle analisi di laboratorio eseguite dal geologo Gian Carlo Grillini e dal chimico Dr. Diego Cauzzi, e dal laboratorio scientifico e dal centro ricerche della Fassa Bortolo. Queste analisi hanno comportato il prelievo di alcuni campioni di intonaci e di materiali applicati sulla superficie in passati interventi di restauro, al fine di determinarne l’esatta composizione e di definire la natura degli interventi conservativi precedenti, permettendo di indirizzare la metodologia d’intervento. Per la sperimentazione delle malte sono state predisposte campionature sulla base di ricette usualmente utilizzate a Pompei, ed altre ancora sono state preparate appositamente dal centro ricerche Fassa Bortolo. Molte campionature sono state realizzate su tavelloni in laterizio collocati all’aperto, mentre altre sono state applicate direttamente su parti delle murature di restauro. Tutte le prove sono state effettuate in condizioni di esposizione agli agenti atmosferici simili a quelle che dovranno sopportare dopo la posa in opera, al fine di testarne le caratteristiche ed il comportamento fisico-meccanico. Alcune prove sono state eseguite su una porzione del muro di contenimento del terrapieno, composto da materiali lapidei di reimpiego legati con malte a base idraulica, probabilmente cementizia, collocato tra il fronte dell’officina infectoria e il Compitum con altare, al fine di saggiarne la tenuta se utilizzata in stuccature effettuate su blocchi calcarei e per risarcire e chiudere le mancanze. Altre due prove sono state eseguite in una zona distinta del medesimo muro di contenimento. In questo caso è stata utilizzata anche una malta per il risanamento di murature umide a base di leganti resistenti ai solfati messa a punto dal centro ricerche Fassa Bortolo; nelle campionature è stata prevista anche la colorazione in pasta al fine di integrare le lacune presenti nelle zone di intervento con la cromia della superficie. In tal senso la malta è stata applicata in due prove, una nel colore naturale del prodotto, l’altra pigmentata con terre naturali. Un campione è stato applicato lavorato liscio (per favorire il deflusso dell’acqua), l’altro con superficie finita ruvida. Solo dopo aver effettuato le prove su tavelloni in laterizio, sui muri di contenimento del terrapieno retrostante e su murature di restauro, si è potuta constatare l’efficacia delle malte sperimentate potendo così decidere di effettuare ulteriori test su una zona del paramento a vista dell’officina infectoria, in corrispondenza della fascia inferiore, sottoposta, nel secolo scorso, a interventi di restauro. Pompei, materiali intelligenti per il restauro degli affreschi e delle scritte elettorali di via dell’Abbondanza Nel cantiere di via dell’Abbondanza a Pompei sono stati messi a punto nuovi dispositivi tecnologici per il restauro delle Venere Pompeiana e degli intonaci delle botteghe, basati su leghe a memoria di forma (SMA), impiegati inizialmente per il settore aerospaziale e medico. Questa tecnologia è stata sperimentata nel campo del restauro, mediante l’applicazione di leghe nichel-titanio, al fine di realizzare ancoraggi in grado di “memorizzare” una forma, in genere in funzione della temperatura, finalizzata ad una data problematica, altrimenti risolvibile in modo irreversibile o invasivo per il manufatto o l’opera oggetto dell’intervento. In particolare, le applicazioni che verranno messe a punto per il cantiere di Pompei riguarderanno dispositivi di ancoraggio per le lastre in policarbonato che verranno posizionate a protezione delle pitture murali; i dispositivi a memoria di forma consentirebbero infatti un allungamento o una contrazione degli agganci delle lastre in funzione del microclima. A temperature elevate corrisponderà un allontanamento della lastra dalla superficie dipinta in modo da consentire la circolazione di aria nell’intercapedine. La lastra in policarbonato verrà collocata ad una distanza calcolata in modo da ottimizzare il flusso termico nell’intercapedine tra la parete affrescata e la lastra stessa. Tali dispositivi consentono, inoltre, una manutenzione periodica delle lastre in policarbonato, essendo facilmente removibili. Altre applicazioni in via di sperimentazione riguardano l’applicazione di questi dispositivi sia come ancoraggi per superfici pittoriche che si presentano distaccate dalla muratura che come “agganci” per le lesioni nelle murature. I dispositivi saranno infatti sperimentati anche nel caso di porzioni di intonaco distaccate su murature con elevati livelli umidità, e in cui è noto che, in passato, siano stati eseguiti interventi di “riadesione” ma di cui non sono noti tecniche e materiali e che si ipotizza siano stati eseguiti con iniezioni di gesso o cemento. Il peso dell’intonaco stesso e dell’iniezione, distaccati dalla parete, gravano inoltre su zone sottostanti che sembrano non presentare distacchi evidenti. Occorre quindi innanzitutto evitare il collasso della porzione di intonaco distaccata. I dispositivi a memoria di forma potrebbero essere progettati e applicati creando un reticolo che assorba parte del peso dell’intonaco e dell’iniezione. Per mantenere l’unità visiva della facciata e non alterarne le caratteristiche e per evitare un forte impatto visivo dovuto alla presenza di materiali estranei, il numero dei dispositivi deve essere piuttosto ridotto. Inoltre, fori troppo vicini tra loro indebolirebbero l’intonaco peggiorando maggiormente la situazione già critica. Nel caso di porzioni di facciata in cui si riscontrino mancanze dell’intonaco o lacune dello strato pittorico e in cui siano quindi presenti integrazioni, come nel caso dell’affresco della Venere Pompeiana, i dispositivi a memoria di forma potrebbero essere inseriti in predeterminati punti dell’affresco per garantire, in caso di eventuali forze esterne (come i terremoti), un “punto di appoggio”. Nel caso di fessurazoni passanti nelle murature, dovute a cedimenti strutturali, nelle zone non affrescate è possibile intervenire sia nella facciata anteriore che in quella posteriore. Il dispositivo deve garantire che le due pareti restino nella posizione attuale senza allontanarsi ulteriormente l’una dall’altra e aumentare così le dimensione della frattura. La sperimentazione di tali dispositivi, che vede la stretta collaborazione con la II Facoltà di Ingegneria (sede di Forlì) dell’Università di Bologna, rientra nell’ambito delle ricerche e degli interventi di restauro in cui l’Università affianca la Soprintendenza Archeologica in una stretta condivisione di obiettivi comuni, anche attraverso il coinvolgimento di aziende private e fondazioni per il finanziamento delle ricerche e dei lavori di restauro, in particolare la Kacyra Family Foundation (Orinda, California, USA) la Fassa Bortolo e la Makrolon (Bayer Sheet Europe GmbH). Pompei, la protezione degli affreschi e delle scritte elettorali di via dell’Abbondanza Lo stato conservativo dei celebri dipinti murali che caratterizzano i fronti di via dell’Abbondanza, oggetto del cantiere di restauro attualmente in fase conclusiva, ha risentito, oltre che della diversa esposizione climatica delle pareti su cui essi sono collocati, anche della presenza delle vecchie lastre protettive. Queste, in vetro e plexiglas, sono rimaste agganciate alle murature delle facciate, in corrispondenza dei dipinti, fino al momento dell’avvio del cantiere: la loro rimozione è stato infatti uno dei primi interventi effettuati. Le pitture murali dell’officina di Verecundus (la Venere con elefanti), dell’officina infectoria (dipinti delle quattro divinità, della Venere con amorini e della processione di Cibele) e del Termopolio di Asellina risultavano protette da lastre in plexiglas e vetro, fissate mediante ganci in ferro allettati con malta cementizia al paramento murario, mentre sul fronte del Compitum con altare una parte del dipinto murale era protetto mentre risultava mancante la lastra di protezione centrale. Se le lastre preesistenti per un verso hanno preservato i dipinti dall’azione diretta degli agenti atmosferici – in particolare dal dilavamento da acque meteoriche, erosione eolica diretta (ingenerando comunque il fenomeno della corrasione dovuto alla formazione di mulinelli che trasportano particellato solido nell’interstizio tra lastra e parete) – e dal degrado antropico, per un altro hanno determinato, nell’intercapedine così costituitasi, ciò che si suole definire come “effetto serra”, generando un locale aumento di temperatura sulla superficie murale. La rimozione della totalità delle lastre preesistenti, a cura dei restauratori del Laboratorio di Restauro della Soprintendenza e con l’assistenza delle restauratrici della Triade s.r.l., ha permesso la valutazione delle morfologie di degrado, altrimenti offuscata dal deposito di particellato atmosferico sulla superficie interna delle lastre. Si è potuto constatare, quindi, che il sistema da esaminare non può essere limitato alle due superfici, lastre e intonaco, ma va considerata, in primo luogo, la rilevante presenza del terrapieno nella parte retrostante dell’intonaco, che provoca una forte umidità ed, in secondo luogo, l’influenza delle condizioni ambientali. In particolare, non possono essere ritenuti trascurabili per il controllo del deterioramento degli affreschi i flussi convettivi che inevitabilmente si producono tra la superficie dipinta e la lastra, in considerazione della differenza di temperatura tra l’intonaco ed il vetro, e così pure l’effetto complessivo di interazione tra questi flussi e quelli di tipo turbolento presenti lungo via dell’Abbondanza a causa dell’azione del vento. A protezione dei dipinti murali verranno collocate nuove lastre in policarbonato di produzione della Makrolon (Bayer Sheet Europe GmbH) il cui effetto è anche quello di filtrare l’intera radiazione UV e di attenuare l’irraggiamento solare, oltre che di proteggere dagli agenti atmosferici. Tali lastre verranno posizionate sfruttando i ganci che reggevano le lastre preesistenti. E’ inoltre in corso una ricerca volta all’utilizzo di dispositivi a memoria di forma come dispositivi di ancoraggio delle lastre stesse, al fine di poter progettare la distanza della lastra dalla muratura, e quindi dal dipinto murale, facendo variare l’intercapedine in funzione della temperatura esterna e dell’irraggiamento solare, controllando il microclima che si viene a creare tra i due sistemi (lastre e sistema parete). La sperimentazione di tali dispositivi rientra nell’ambito delle ricerche e degli interventi di restauro in cui l’Università affianca la Soprintendenza Archeologica in una stretta condivisione di obiettivi comuni, anche attraverso il coinvolgimento di aziende private e fondazioni per il finanziamento delle ricerche e dei lavori di restauro, in particolare la Kacyra Family Foundation (Orinda, California, USA) la Fassa Bortolo e la Makrolon (Bayer Sheet Europe GmbH). Scheda Cantiere Enti coinvolti: – Soprintendenza Archeologica di Pompei – Facoltà di Architettura “Valle Giulia”, Laboratorio Progetto Restauro, Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti -Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Centro DIAPREM – Facoltà di Architettura Biagio Rossetti – Università degli Studi di Ferrara – Laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologica di Pompei Soprintendente archeologo: prof. dr. P. G. Guzzo, Direttore degli scavi: dr. A. d’Ambrosio, Responsabile ufficio restauri: dr. E. De Carolis, Responsabile del laboratorio di restauro: rest. S. Vanacore Studi, ricerche e sperimentazioni: – prof. arch. N. Santopuoli (Facoltà di Architettura “Valle Giulia” e Laboratorio Progetto Restauro dell’Università di Roma “La Sapienza”- Centro DIAPREM dell’Università di Ferrara) – arch. F. Maietti, arch. R. Cami, arch. F. Ferrari, rest. L. Tapini, dr. arch. C. Bellan, dr. arch. V. Modugno, arch. C. Assirelli, arch. F. Tassinari, arch. A. L. Furquim Bezerra (Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara – Centro DIAPREM). – prof. Arch. S. A. Curuni, arch. M. Curuni, arch. F. Broglia, arch. D. Catini, arch. A. Picchione, (Facoltà di Architettura “Valle Giulia”- Laboratorio Progetto Restauro dell’Università di Roma “La Sapienza”). – dr. rest. E. Concina e rest. D. De Vincenzo (Triade srl. – Napoli) – prof. L. Seccia, prof. ing. F. De Crescenzio, prof. ing. E. Troiani, ing. M. Fantini, ing. V. Virgilli, (II Facolta di Ingegneria, sede di Forlì – Laboratorio di Archeoingegneria dell’Università degli Studi di Bologna) Campagna di rilievo 3D: prof. arch. M. Balzani, arch. F. Ferrari, arch. A Grieco, arch. G. Galvani, arch. S. Settimo (Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara – Centro DIAPREM) Indagini termografiche e misure conduttimetriche delle murature: dr. M. Fabretti e dr. G. Fabretti (Centre for the Diagnostic in Art , Formello – Roma) Indagini scientifiche sui materiali: prof. G. C. Grillini (Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara – Centro DIAPREM) dr. Diego Cauzzi (Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna e Rimini) Analisi scientifiche di laboratorio e campagna di sperimentazione sui materiali: Laboratorio scientifico della Fassa Bortolo, Spresiano (Treviso) Progetto di restauro: Soprintendenza Archeologica di Pompei – prof. Dr. P. G. Guzzo (Soprintendente), Dr. A. d’Ambrosio, Dr. E. De Carolis, rest. S. Vanacore – prof. arch. N. Santopuoli (Facoltà di Architettura “Valle Giulia” – Laboratorio Progetto Restauro – Centro DIAPREM) – prof. S. A. Curuni (Facoltà di Architettura “Valle Giulia”) – dr. rest. E. Concina e rest. D. De Vincenzo (Triade srl – Napoli) Esecuzione lavori: Direzione lavori: prof. arch. N. Santopuoli (Facoltà di Architettura “Valle Giulia” – Centro DIAPREM) Servizio Prevenzione e Protezione della Soprintendenza Archeologica di Pompei: Responsabile: geom. A. Nastri (Soprintendenza Archeologica di Pompei). Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione: ing. M. Vitale (Napoli) Saggi d’intervento e restauro: – rest. S. Vanacore con l’assistenza di cantiere di: rest. S. Giudice, rest. M. Valentini, rest. V. Serrapica (Laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologica di Pompei). – dr. rest. E. Concina e rest. D. De Vincenzo (Triade di Napoli) Sponsorizzazione degli Interventi di restauro delle pitture murali: FASSA BORTOLO, Spresiano (Treviso) Kacyra Family Foundation (“Foundation”) Orinda (California) Bayer Sheet Europe GmbH Tecno Coperture, Cercola (Napoli) Pubblicità e Comunicazione: Uni Pubblicità & Marketing, Modena. (*) arch. prof. Nicola Santopuoli Direttore Laboratorio “PROGETTO RESTAURO” Facoltà di Architettura Valle Giulia Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Consiglia questo comunicato ai tuoi amici