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È questa l’eredità del 2005 secondo l’Istat, che ha diffuso le stime del prodotto interno lordo e dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche. Il Pil lo scorso anno è stato pari a zero; il deficit, invece, che il Governo prevedeva salire fino al 4,3%, si è attestato al 4,1 per cento. L’impatto positivo e la migliore tenuta dei conti pubblici si spiegano in parte anche con la revisione del livello del Pil, che rappresenta il denominatore del rapporto. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha accolto la notizia con soddisfazione: “È oggettivamente positivo e onestamente ha sorpreso anche me in modo positivo. Sarei stato già contento del 4,3 per cento. Vuol dire che la cura ha funzionato”. L’oggettività negativa, invece, sembra gravare tutta sul quadro macroeconomico: le tabelle diffuse ieri dall’Istat stressano il problema dell’assenza di sviluppo in Italia perchè ridefiniscono il profilo della crescita negli ultimi anni (la dinamica del prodotto è stata pari a zero lo scorso anno e nel 2003; mentre nel 2004 è stata solo dell’1,1% e nel 2002 è stata pari allo 0,3%); perchè lasciano intendere che il quarto quadrimestre del 2005 è andato peggio del previsto, mentre tutti gli economisti dei principali centri studi interni e internazionali scommettevano su un incremento del Pil dello 0,1-0,2% annuo in quanto scontavano una buona dinamica dell’ultima parte dell’anno. E, infine, perchè la mancata crescita ha comportato uno scotto anche in termini di minore occupazione: i dati segnalano una perdita pari a 102mila unità standard di lavoro, misura che traduce l’occupazione esistente in contratti di lavoro a tempo pieno. I dati del conto economico 2005 mettono inoltre in evidenza una dinamica mediocre anche della spesa delle famiglie (+0,1%), mentre confermano la flessione degli investimenti (-0,6%) e la situazione molto difficile dell’export (l’aumento complessivo delle esportazioni è stato dello 0,3 per cento). I numeri dell’Istat hanno generato molta apprensione tra le parti sociali. Così la Confindustria valuta i dati sul Pil “molto preoccupanti, dovrebbero far pensare”, secondo il vicepresidente Alberto Bombassei, per il quale le rilevazioni Istat “dovrebbero essere lo stimolo per un accordo non solo a livello politico ma anche fra le parti sociali”, anche perchè rendere più competitivo il sistema Italia non è un compito “solo di Confindustria, come non lo è solo del sindacato o del governo”. Insomma “c’è bisogno di rimboccarsi le maniche e ricominciare a fare qualcosa di nuovo”. Mentre per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, “il Paese rischia il declino: ci sono stati 100.000 posti di lavoro in meno, e altrettanti se ne perderanno se si continua così”. Secondo il numero uno della Cisl Savino Pezzotta, invece, “è segno di una stagnazione che è ormai prossima alla recessione”. La Confcommercio parla “di un 2005 in chiaroscuro, con tratti fortemente critici ed altri di segno positivo, che lasciano sperare in un miglioramento del tono economico generale”. Molto preoccupati anche i commenti di vari esponenti politici. “Il paese non cresce e quello zero, che fa paura a tanti, segna un punto di crisi nella nostra economia” ha detto Marco Follini, esponente dell’Udc. Quanto all’opposizione, “i dati di oggi sono i più gravi che io potessi immaginare nel quinquennio” ha dichiarato il leader dell’Unione, Romano Prodi. “Abbiamo avuto la media di sviluppo dello 0,3% – nell’ultimo anno è stato dello 0% – e dunque abbiamo perso 100mila posti di lavoro e, soprattutto, secondo dati del Fondo monetario internazionale, solo 9 paesi hanno fatto peggio di noi”. Il leader dell’Unione ha ammesso di sapere “benissimo” che per “mettere a posto una simile Italia bisogna lavorare tantissimi giorni. Però dovremo iniziare subito”. Prodi ha ribadito la necessità di “cambiare direzione, di cercare di invertire la rotta, ma a una condizione che, come quella delle Olimpiadi, impone uno sforzo comune, e cioè le cose si fanno tutti insieme”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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