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1. in materia di rivalutazione generale dei beni d’impresa, possibile per tutti i beni immateriali e materiali, con eccezione delle aree edificabili (ammesse ad una diversa e specifica norma di rivalutazione), risultanti nel bilancio in corso al 31 dicembre 2004, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 12% per i beni ammortizzabili e al 6% per quelli non ammortizzabili (art.1, commi 469-472, legge 266/2005 – Finanziaria 2006, cfr. Circolare ANCE n.6 del 23 gennaio 2006), è stata precisata l’applicabilità dei chiarimenti forniti nella Circolare ministeriale n.9/E/2002, emanata in occasione della precedente norma di rivalutazione, prevista dalla legge 448/2001. Ciò implica, in sostanza, che: – in caso di cessione dei beni rivalutati prima del 2008 (ossia precedentemente alla decorrenza degli effetti fiscali della rivalutazione) le relative plusvalenze, o minusvalenze, devono essere determinate senza tenere conto della rivalutazione eseguita. In tal caso, al soggetto che ha eseguito la rivalutazione, è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva pagata (12% o 6%) riferibile ai beni ceduti. L’ammontare complessivo dell’imposta sostitutiva riconosciuta a credito va portato ad aumento del saldo attivo risultante dalla rivalutazione. Quest’ultimo, inoltre, per la parte riferibile ai beni ceduti, viene “liberato” fiscalmente, per cui una volta distribuito non sarà assoggettato a tassazione ordinaria ai fini delle imposte sul reddito; – le maggiori quote di ammortamento, calcolate sul valore rivalutato dei beni, possono essere dedotte fiscalmente solo a partire dal 2008 e sino ad esaurimento, rispettando comunque i limiti indicati dall’art. 102 del TUIR – DPR 917/1986 (ossia, in base ai coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988) Inoltre, in caso di bene oggetto di un diritto di superficie, a parere dell’Agenzia, la rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al titolare di tale diritto reale. In materia di affrancamento del saldo attivo che si genera a seguito della rivalutazione, possibile con il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 7% (art.1, comma 472, legge 266/2005), è stato chiarito che: – a seguito dell’affrancamento, il saldo attivo è liberamente distribuibile ai soci e non concorre a formare il reddito imponibile della società che ha effettuato la rivalutazione (alla quale non spetta più il credito d’imposta pari all’imposta sostitutiva versata per la rivalutazione). Resta ferma, invece, la tassazione in capo ai soci della relativa attribuzione del saldo attivo, quale utile percepito; – l’affrancamento ha, a differenza della rivalutazione generale dei beni, efficacia fiscale immediata (ossia, dall’inizio del periodo d’imposta in cui viene effettuato e con riferimento alla distribuzione dei saldi attivi eseguita anche prima del versamento dell’imposta sostitutiva); – l’imposta sostitutiva del 7% può essere versata, oltre che in tre rate annuali, pari al 10% nel 2006, 45% nel 2007 e 45% nel 2008, come previsto espressamente dalla norma (art.1, comma 472, legge 266/2005), anche in un’unica soluzione; – è possibile procedere all’affrancamento del solo saldo attivo che si genera a seguito della rivalutazione generale dei beni (di cui al comma 469 della legge Finanziaria 2006), con esclusione, quindi, di quello relativo alla rivalutazione specifica delle aree edificabili, o di risulta, prevista dai successivi commi 473-476 della medesima legge 266/2005 – Finanziaria 2006 (cfr. Circolare ANCE n. 6 del 23 gennaio 2006); 2. con riferimento alla riapertura dei termini, al 30 giugno 2006, per la rivalutazione delle aree edificabili o agricole possedute da privati non esercenti attività commerciale (possibile con il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 4% dell’intero valore rideterminato dei terreni – art.11-quaterdecies, comma 4, D.L. 203/2005, convertito con modifiche dalla legge 248/2005, cfr. Circolare ANCE n.5 del 16 gennaio 2006), l’Agenzia ha precisato che, ai fini del calcolo della plusvalenza: – l’applicazione di tale beneficio non esclude l’ulteriore rivalutazione del valore delle aree, effettuabile in base all’indice Istat, relativo ai prezzi al consumo delle famiglie. Ai sensi dell’art.68 del TUIR – DPR 917/1986, infatti, in caso di cessione di aree edificabili, la plusvalenza va determinata in base alla differenza tra corrispettivo percepito e costo d’acquisto del terreno aumentato degli oneri inerenti e rivalutato in base al suddetto indice Istat. Sulla base di quanto espresso dall’Agenzia, la rideterminazione del costo d’acquisto dell’area, effettuata in base alla disposizione agevolativa, non impedisce l’ulteriore rivalutazione del medesimo terreno in base all’indice Istat nel periodo intercorrente tra la rivalutazione e la successiva cessione del bene; – come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 81/E/2002, è possibile rivalutare sulla base della variazione dell’indice ISTAT il valore iniziale dei terreni acquisiti per successione o donazione, indicato nelle relative denunce o atti registrati, da assumere quale termine di raffronto per determinare la plusvalenza tassabile; 3. in relazione alle novità introdotte dal comma 496 dell’articolo unico della legge 266/2005 (legge finanziaria 2006), in tema tassazione delle plusvalenze immobiliari, in sintesi, l’Amministrazione finanziaria precisa quanto segue: – il nuovo regime opzionale di tassazione delle plusvalenze immobiliari (c.496), realizzate a seguito della cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni nonchè, in ogni caso, di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito pari al 12,50%, non può applicarsi nell’ipotesi di cessione di abitazioni acquisite nell’esercizio dell’attività edile, come corrispettivo dell’opera prestata in esecuzione di un contratto d’appalto. Occorre, innanzitutto, premettere che l’acquisto di tali unità immobiliari costituisce per l’imprenditore edile un pagamento in natura (in luogo di denaro), relativo ad un servizio fornito, e come tale avente, ai fini delle imposte dirette, la natura di reddito d’impresa. In fase di successiva cessione delle abitazioni da parte dell’imprenditore che le ha ricevute in permuta, il maggior valore relativo ai medesimi immobili non può considerarsi una plusvalenza tassabile come reddito diverso, poichè realizzato nell’esercizio dell’attività d’impresa e, quindi, fuori dall’applicazione dell’art.67 del TUIR DPR 917/1986, che dispone esplicitamente che non possono essere considerati redditi diversi quelli conseguiti nell’esercizio di arti o professioni o di imprese commerciali o da s.n.c e s.a.s.. Specularmente, l’acquirente di tali immobili a destinazione abitativa, non potrà avvalersi delle disposizioni agevolative di cui al successivo c.497 dell’art.1 della legge 266/2005 (applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale sul valore catastale delle medesime abitazioni cedute pari alla rendita catastale, rivalutata del 5% e moltiplicata per il coefficiente di 120, o di 110 se l’immobile costituisce una “prima casa” per il soggetto acquirente), poichè è lo stesso c.497 a specificare che rientrano nel campo di applicazione della norma le sole cessioni fra persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali; – nel caso di più venditori, l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva al 12,50%, di cui al c.496 dell’art.1 della legge 266/2005, può essere esercitata anche solo dai soggetti che abbiano interesse ad avvalersene; 4. nell’ambito del principio di separazione tra valore imponibile fiscale e valore dichiarato nell’atto di compravendita di abitazioni e relative pertinenze, effettuata tra persone fisiche non esercenti attività commerciale (applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale sul valore determinato su base catastale dell’immobile, a prescindere dal prezzo di cessione dichiarato nel rogito – art.1, comma 497, legge 266/2005, cfr. News ANCE n.125 dell’11 gennaio 2006), è stato precisato che: – tale principio può essere applicato unicamente ai fabbricati censiti in catasto nella tipologia abitativa, ed alle relative pertinenze. Rimangono esclusi, quindi, gli immobili che, seppure di fatto utilizzati come abitazione, siano iscritti in catasto in una diversa categoria (ad esempio fabbricati accatastati come uffici o negozi); – non ci sono limiti quantitativi o qualitativi (legati cioè a vincoli di classificazione catastale) riferibili all’acquisto delle pertinenze delle abitazioni. Ciò implica che il nuovo regime opzionale di determinazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (che prescinde dal prezzo di cessione dichiarato nel rogito) può essere applicato anche per l’acquisto di più immobili pertinenziali, purchè tale destinazione risulti nell’atto di compravendita. Allo stesso modo, non ci sono vincoli legati alla categoria catastale in cui risulta censita la pertinenza, ma valgono le regole generali dell’art.817 del Codice Civile (per cui la stessa deve risultare asservita in modo durevole e funzionale all’abitazione, per il miglior uso di quest’ultima, e ci deve essere la volontà del proprietario dell’unità abitativa di porre la pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale con il bene principale); – può essere acquistata con atto separato anche la sola pertinenza di un’unità abitativa già posseduta dall’acquirente, purchè nell’atto risulti espressamente tale destinazione. 5. in tema di determinazione del reddito dei fabbricati abitativi posseduti dalle imprese e concessi in locazione, alla luce delle modifiche, apportate dall’art.7, comma 1 del D.L. 203/2005 convertito con modificazioni in legge 248/2005, all’art.90 del TUIR DPR 917/1986 (canone di affitto ridotto delle sole spese sostenute nel periodo d’imposta, debitamente documentate, riferibili agli interventi di manutenzione ordinaria, entro il limite del 15% dell’importo del canone stesso), l’Amministrazione precisa che, con riferimento alla disciplina delle altre spese e dei componenti negativi relativi gli immobili “patrimoniali”, la nuova disposizione (contenuta nel secondo comma del citato art. 90) ha carattere speciale e derogatorio rispetto al principio generale di inerenza dei componenti negativi di reddito. Pertanto, la norma contiene un divieto assoluto di deducibilità di tutti i componenti negativi relativi a tali immobili, compresi anche gli interessi passivi ad essi relativi, sia di funzionamento, sia di finanziamento; 6. per quanto riguarda, infine, le modifiche alle regole di deducibilità dei canoni per i contratti di leasing immobiliare, previste nell’attuale testo dell’art.102, comma 7, del TUIR – DPR 917/1986 cosi` come modificato dall’art.5-ter della legge 248/2005 (estensione al leasing immobiliare del criterio di deducibilità dei canoni, già previsto relativamente ai contratti di leasing mobiliare, con il vincolo ulteriore che il medesimo contratto di leasing immobiliare abbia una durata minima che varia tra 8 e 15 anni (cfr. Circolare ANCE n.7 del 23 gennaio 2006), l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti relativamente alla particolare ipotesi di leasing relativo ad un immobile realizzato in appalto (cd “leasing appalto”). In particolare: – per espressa previsione normativa, le nuove disposizioni trovano applicazione per i contratti stipulati a decorrere dal 4 dicembre 2005 (data successiva a quella di entrata in vigore della legge 248/2005 che ha convertito il D.L. 203/2005). Ciò vale anche per i contratti di “leasing appalto”, per i quali, quindi, ai fini dell’applicabilità delle nuove disposizioni, rileva il momento della stipula, nel quale viene individuata l’opera da realizzare e stabilite le condizioni del leasing, non essendo necessaria, per la conclusione del medesimo contratto, anche la consegna dell’opera; – diversamente, per la verifica della durata minima del contratto di leasing (attualmente pari alla metà del periodo di ammortamento del bene, e comunque tra compresa tra gli otto e i quindici anni), è stato precisato che questa decorre dalla data di stipula del contratto ovvero, se diversa, da data successiva (che potrebbe essere quella di consegna del bene) qualora le parti abbiano differito il momento a partire dal quale decorre l’obbligo di pagamento dei canoni. Tale precisazione differisce da quanto chiarito, in prima battuta, dal Dipartimento per le Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze secondo il quale, al fine dell’individuazione della durata minima del contratto, non si poteva prescindere dall’effettivo godimento del bene da parte dell’utilizzatore. In caso di “leasing-appalto”, quindi, la durata del relativo contratto avrebbe dovuto calcolarsi, non dal momento della stipula dello stesso, ma dal momento dell’avvenuta consegna dell’opera a favore dell’utilizzatore. L’Amministrazione finanziaria ha inoltre chiarito che, nel caso di una società di leasing che abbia stipulato prima del 4 dicembre 2005 (data successiva a quella di entrata in vigore della legge 248/2005 che ha convertito il D.L. 203/2005) un contratto di leasing immobiliare, senza essere ancora proprietaria dell’immobile oggetto del medesimo contratto, ma soltanto promissoria acquirente, si applicano comunque le regole vigenti prima delle modifiche recate dal citato D.L. 203/2005, avendo riguardo alla data di stipula del contratto di leasing, ed essendo del tutto irrilevante a tali fini la circostanza che la società di leasing si sia obbligata con un contratto di locazione finanziaria relativamente ad un bene del quale non è ancora proprie Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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