Centro Pediatrico Emergency Port Sudan

La clinica è situata in una zona periferica di Port Sudan, città portuale di importanza strategica per tutto il Sudan perché unico accesso al mare del paese. Negli ultimi anni l’area ha avuto un enorme incremento demografico, passando in poco tempo dai trentamila abitanti di inizio millennio ai quasi cinquecentomila del 2007.Centro Pediatrico Emergency Port SudanUna crescita esponenziale e drammatica, causata dallo sviluppo del porto, dall’abbandono delle campagne provocato dalle sempre più frequenti siccità, ma soprattutto dall’ingente numero di profughi provenienti dai vari conflitti avvenuti nella regione, che ha concentrato in città una grande massa di poveri.

L’edificio è situato nella zona di espansione a Nord Ovest del porto, in un ampio spazio desertico tra due insediamenti abitativi fatti di baracche e di case in terra cruda; un’area molto povera in cui sono stati concentrati tutti i profughi sparsi nel resto di Port Sudan, una sorta di “nuova città” nella città.

La clinica è uno dei pochi avamposti sanitari di questa vasta regione in grado di fornire assistenza di base ai bambini della zona. In una superficie totale di 780 mq ospita 14 posti letto di degenza, 4 posti letto in isolamento, 3 ambulatori, farmacia e servizi diagnostici.

Il recinto e il giardino: protezione e socialità

L’edificio, a un solo piano, si basa sull’idea del recinto chiuso, con pochissime bucature esterne, ed è strutturato su un susseguirsi di corti. La gerarchia tra pieno e vuoto viene ribaltata in favore di quest’ultimo, che diviene così elemento generatore del progetto.

L’ingresso alla clinica è dominato da un albero posto al centro della zona d’attesa, segno fondativo e frammento di vita e di continuità con il giardino esterno. Gli interni sono caratterizzati dal forte controllo dell’irraggiamento diretto del sole attraverso la limitazione delle aperture esposte e attraverso la schermatura realizzata con pannelli in fibra naturale.

In questo modo gli spazi ospedalieri vengono isolati fisicamente e idealmente dalla calura opprimente esterna, con un susseguirsi di luoghi freschi e protetti illuminati da camini di luce zenitale che fungono anche da evacuatori del calore latente delle aree comuni; un modo per ripensare e riproporre le atmosfere e le tipologie dell’abitare tradizionale.Il giardinoMa il progetto si pone anche al centro di una sorta di polo di rivitalizzazione sociale della zona. La “piazza/giardino” posta sul lato d’ingresso dell’edificio ospita attività per gli adulti e il parco pubblico sul lato est è composto da un giardino per il gioco e da un piccolo campo per l’attività sportiva.

Lo potremmo definire un “giardino pediatrico”, dove il verde (irrigato dal sistema di depurazione delle acque reflue) rappresenta il vero catalizzatore sociale di tutta l’area ma anche una sorta di elemento di cura in sé. In questo deserto fisico e umano il giardino rappresenta una sorta di visione e assume un fortissimo valore simbolico perché preludio alla cura che verrà.

Materiali e tradizione

Tecnicamente si è voluto pensare a un edificio realizzato totalmente in laterizio prodotto nelle fornaci locali, utilizzando il già sperimentato sistema costruttivo a muri cavi ventilati e solai a voltine denominato jagharsch.

Nella facciata principale abbiamo voluto diversificare i materiali inserendo frammenti di sistemi costruttivi “tradizionali” presenti nella zona e in particolare la pietra di corallo: un materiale di cui si trovano cumuli abbandonati in tutta l’area di Port Sudan, derivanti dalle demolizioni di vecchi edifici. L’intera città era infatti costruita con questa pietra ora non più cavabile, un tempo unico materiale da costruzione reperibile presente lungo tutta la costa.Materiali e tradizioneCosì come lo è il sito archeologico di Suakin, a pochi chilometri di distanza: una città che storicamente ha svolto un ruolo cruciale per i commerci e per la cultura di questa regione e che ha conosciuto la sua epoca d’oro (anche dal punto di vista architettonico) a partire dai primi del cinquecento quando il suo porto è stato conquistato del sultano Selim I per restare sotto la dominazione Ottomana fino a metà dell’ottocento.

In questo modo il cantiere è diventato laboratorio di restauro e di ripristino della memoria, volontà di ricordare le radici di questo luogo.

Ulteriore elemento caratterizzante la facciata principale è la presenza di frangisole di legno ispirati agli edifici tardo coloniali, che evocano un altro retaggio dell’impero ottomano: le tipiche persiane in legno fatte in modo che le donne potessero osservare le attività in strada senza essere viste.

Schermature che proteggono dalla luce diretta del sole e dagli occhi indiscreti del mondo, sono macchine termiche per ombreggiamento e ventilazione perfette, semplici ed efficaci.

Non è stato facile riproporre e riportare in vita questi elementi, che identificavano un carattere distintivo, ritracciabile in tutto quello che era il mondo ottomano dai Balcani all’Africa, in un luogo in cui si è persa la memoria dei saperi passati in favore di un vuoto tecnicismo della modernità.

Impianti: dopo l’esperienza di Nyala

Anche dal punto di vista impiantistico, abbiamo voluto realizzare un edificio che rispondesse alle esigenze di comfort e igiene richieste dalla committenza, ma mettendo a frutto le esperienze già maturate a Nyala con la realizzazione di impianti semplici che fossero un compromesso tra tecniche tradizionali e innovative.

Anche in questo caso l’edifico è stato concepito come involucro passivo, facendo uso di sistemi cavi di ventilazione dei muri e dei tetti e creando una “pelle” di protezione che non permettesse l’irraggiamento diretto del sole. Il sistema di raffrescamento e ventilazione della struttura è stato realizzato implementando le tecniche adiabatiche e di filtrazione messe a punto con successo in Darfur.PiantinaCome si legge nella relazione dell’ingegnere impiantista di questo progetto, “si è cercato di lavorare sull’efficienza fluidodinamica nella distribuzione dell’aria e di verificare l’effettivo rendimento del sistema di raffreddamento adiabatico nel clima di Port Sudan, dove la capacità di un sistema adiabatico è fortemente “limitata” da condizioni esterne molto “vicine” alla curva di saturazione, e pertanto il raffreddamento raggiungibile è minore.

Per ottenere un valore minimo e accettabile di potenza frigorifera da “cedere” al sistema, è stato pertanto necessario dimensionare correttamente la portata di aria nelle due unità di trattamento dell’aria (UTA). Gli impianti adiabatici sono necessariamente impianti a tutt’aria esterna (stante la necessità di garantire un “continuo” apporto di acqua all’aria in trattamento), condizione per nulla sfavorevole in ambienti ospedalieri.

Se progettare significa, anche, accettare una nuova sfida ogni volta che “virtualmente” si affronta un foglio bianco da riempire di idee, questa volta la scelta è stata (forse) anche più radicale, nel tentativo di dimostrare che qualità, funzionalità, risparmio energetico e (perché no?) bellezza non devono necessariamente passare attraverso scelte economicamente e tecnologicamente “impegnative”. Un po’ per dirla come un vecchio industriale americano molto famoso nel suo settore (Henry T. Ford): “tutto ciò che non c’è non si rompe”. E noi aggiungiamo anche non costa e non consuma. E quindi mi domando: sei proprio sicuro che non puoi farne a meno?”

LAVORO DI SQUADRA

Badile e piccone a quaranta gradi sono lo strumento chiave di comunicazione con una “manodopera” probabilmente abituata ad ogni sorta di sopruso, che stenta a credere al fatto che il khawaja (bianco) sia lì con loro a sporcarsi le mani, a sudare sotto il sole. È una sorta di rito iniziatico durante il quale si costruiscono nuove regole sociali basate sul rispetto reciproco e sull’azione.

Badile e piccone, trapano e flex diventano strumenti di dialogo, per allacciare una relazione non con gli operai ma con gli uomini. Perché si condividono, anche se in modo diverso, le stesse sensazioni, le stesse fatiche. Non si superano le differenze, ma si apre uno spiraglio di condivisione. Questa, in un mondo dove i diritti sono ancora un obbiettivo lontano, è una conquista importantissima.

Nel caso Port Sudan il blu si accompagna con le tonalità del verde, che è il colore della natura: è quindi fresco e umido, rappresenta l’armonia e l’equilibrio, la costanza e la pazienza. Il suo utilizzo equivale a un modo per portare all’interno degli ospedali la natura, creando un ambiente fresco e allo stesso tempo ludico per i piccoli pazienti pediatrici.

I colori hanno un indubbio impatto psicologico sulla percezione di uno spazio, influendo molto sulla psiche umana. Se le simbologie che vengono generalmente attribuite alle diverse tonalità cromatiche sono molte e sfuggenti, esistono significati che si sono profondamente radicati nella percezione collettiva e del singolo.



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