Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Sulle colline di Los Angeles, lungo la superstrada che conduce a San Diego, nella località di Bretwood sorge, tra la fitta vegetazione ancora selvatica, l’acropoli californiana del Centro per le Arti Visive della Fondazione Getty, progettato da Richard Meier.Indice: Caratteristiche del Getty Center a Los Angeles Il giardino artificiale Le sale espositive Si tratta di un imponente complesso edilizio, di portata e di dimensioni quasi urbane, che comprende una serie di architetture per le istituzioni e le manifestazioni artistico-culturali insieme ad un giardino di varie essenze arboreo-floreali (di cui sono importanti i diversi profumi singoli) collocati al culmine di una lunga striscia di terreno boschivo incontaminato, risistemato a parco naturalistico. E’ “il più vasto progetto affidato ad un solo architetto nel tardo Ventesimo Secolo”, ha osservato Philip Jodidio qualche anno fa, ad opere non ancora concluse ma è anche “il più complesso lavoro dell’intera opera di Meier”, come ritengono Richard Koshalek e Dana Hutt, gli ultimi biografi (1999) dell’architetto newyorkese. Caratteristiche del Getty Center a Los Angeles Entro quella grossa distesa di elementi naturali, alla quale si perviene per monorotaia, dal sottostante parcheggio e dalla corrispondente stazione dei vagoncini di collegamento, lungo un serpeggiante percorso panoramico ed ambientale, il Centro Getty appare davvero quale una effettiva acropoli contemporanea, stagliata e candida, che si percepisce sempre più con nitidezza ed identità, nelle sue forme precise, mentre il trenino si avvicina alle costruzioni.Anche lo stesso suo progettista parla di quest’opera come di una composizione classica” dal sapore “aristotelico”, anche se poi egli si riferisce, per la romanticità del luogo, all’idea delle “città italiane sulla collina” e, per l’articolazione dei corpi costruiti e degli spazi irregolarmente riempiti, ad altri esemplari storici di antica epoca romana (la Villa Adriana a Tivoli e Caprarola).Potrebbe sembrare che in questa realizzazione Meier abbia fatto riferimento ad un inconscio assemblaggio eclettico e storicistico in versione attuale (e post-moderna), contrastante però con la sua tipica architettura neo-razionalistica, completamente estranea (almeno nell’aspetto esteriore e distributivo) alle forme del lontano passato o ad espressioni ibride. Al massimo un diretto rapporto con l’architettura antica nel Centro per l’Arte a Brentwood si può riconoscere nella fedele riproduzione, però per le sue sale interne soltanto, della parte espositiva proveniente per intero dalla collezione originaria dei Getty a Malibu, che era sistemata in una bizzarra ricostruzione della pompeiana Villa del Fauno (ora momentaneamente chiusa per restauri ed ampliamenti, affidati agli architetti Machado e Silvetti e rifatta in copia identica dentro una serie di ambienti ricavati negli attuali spazi nuovi), i cui meravigliosi pezzi (scultorei prevalentemente) sono stati completamente trasferiti qua dalla sede primitiva con l’esplicito scopo di non perdere la straordinaria opportunità di renderli visitabili al pubblico.Per il resto, la mossa eterogeneità del complesso meieriano, che appare evidente nei variegati rapporti di articolazione tra i differenti edifici del nuovo organismo, reciprocamente separati e quasi in allontanamento come tanti corpi scivolanti sopra un velo d’acqua (“un disordine progettato”, ha rilevato Silvio Cassarà), diversamente dagli altri progetti di Meier più unitari ed assemblati, anche nelle distinzioni funzionali segue un criterio contestuale preciso, relativo alla topografia del sito ed alla integrazione delle architetture nel verde arboreo, ma anche un intento pratico, riferito alle distinte destinazioni d’uso dei singoli edifici, specialisticamente adibiti all’accoglienza del pubblico con attrezzature di svago e rilassamento (piazzale interno di sosta e per spettacoli all’aperto con palco da musica e per manifestazioni teatrali, ristoranti e bar, passeggiate architettoniche ed ambientali con giardino, e piattaforme per vedute panoramiche nonché belvedere sospeso rivolti agli immediati dintorni ed alla vallata di Santa Monica e di Hollywood oltre cui i grattacieli di Los Angeles si stagliano sullo sfondo) e con spazi chiusi raccoglienti la documentazione artistico-culturale anche specializzata (sale museali ed espositive, Dipartimento di Informazione per la Storia dell’Arte, Istituto di Restauro, Centro di Ricerca, Biblioteca, Auditorio). Ogni settore, con il proprio apposito edificio, è dislocato autonomamente dagli altri, e costituisce un elemento indipendente nell’insieme differenziato delle architetture tipicamente meieriane (bianche ed a volumi ortogonali, ma con qualche leggera inflessione tonda oppure appena ondulata) scandite dalla inflessibile modularità standardizzata del pannello quadrato. Due sono però le eccezioni morfologico-espresive che diversificano questa costruzione dagli altri progetti dell’architetto americano: l’uso più insistito del cerchio-cilindro (imponente nell’atrio di ingresso, e poderoso nel Dipartimento di Storia dell’Arte), che si ripercuote nell’immenso giardino sottostante, ed il rivestimento di alcuni edifici in grezzo travertino romano di tinta ocracea. Mentre nel primo caso la circolarità è una elaborazione alto-moderna introdotta da Meier nel Museo di Atlanta (1980-83) e nelle Case Helmick a Des Moines (1984) e Grotta ad Harding(1985-89), divenuta poi tema conduttore dominante nel Centro Civico di Ulma (1986-93), invece l’impiego del materiale marmoreo, e per di più in blocchi sempre regolari ma sbozzati e non lisci, risulta una novità assoluta, che conferisce tonalità di calore materico e vitalità oggettuale alle altrimenti solite sue architetture manierate ed artificiose, impeccabilmente rigorosissime e perfette però anche monotone e ripetitive. Nonostante la consueta omogeneità formale del loro progettista, ogni edificio gettyano presenta comunque una propria distinguibile differenza espressiva, che costituisce anzi una sorta di repertorio campionativi del personale modo esecutivo meieriano: partendo, appena dopo la nitida pensilina della monorotaia superiore, dal padiglione di accoglienza e degli uffici (trattato con espliciti moduli quadrati bianchi a linee perpendicolari)e dal similare Istituto di Restauro che gli sta appena dietro (anch’esso quasi una citazione neo-Five), si procede verso l’entrata dei reparti museografici incontrando una doppia tettoia ondulata, che comincia ad inflettere la rigida modularità ortogonale, introducendo al maestoso atrio d’ingresso tondo, spazioso ed illuminatissimo. Da lì si prosegue per le parti espositive collocate attorno al piazzale rettangolare, in parte composte da tipologie frammiste di volumi rigidi e curvi (qualcuno dei quali, in particolare il settore di ristoro rivolto al giardino, elaborato con pietre grezze), finendo quindi nell’imponente, sebbene sobrio, Dipartimento di Storia dell’Arte, d’aspetto semicilindrico ed aperto verso la vegetazione del parco. Il giardino artificiale Tra tutti questi corpi edificati, l’elemento di respiro spaziale e di collegamento fisico più sorprendente è dato dal Giardino artificiale, meravigliosa risoluzione progettistica che con il verde crea una effettiva architettura arborea, avvalendosi di un suggestivo espediente naturalistico, affidato al rigido sentiero zen, appena scavato nel terreno e delimitato da sponde di metallo, che si insinua attorno ad un ruscello, anche questo ricostruito dentro un selvatico ambiente boschivo, che scorre dapprima esile e si ingrossa quindi fino a diventare un canale con rive di pietrame, sfociando poi in un grosso stagno circolare dai bordi disposti ad anfiteatro su gradoni piantumati, sistemati per la raccolta delle varie essenze floreali e vegetali. Meier in questo caso è riuscito ad intelligentemente mediare, collegandoli delicatamente e senza attriti, l’esperienza della cultura intellettuale impegnata con lo svagato divertimento di massa: la passeggiata in collina del tradizionale fine settimana popolare avviene nell’atmosfera festosa e spensierata del parco,ma può essere anche un invito per avvicinare la gente all’arte, in un contesto informativo e specializzato, pienamente organizzato dalla semplice visita alla indagine bibliotecaria. L’effetto conclusivo di questa eccezionale passeggiata architettonico-naturalistica si conclude nei terrazzamenti delle coltivazioni selezionate, dove viene attivato poderosamente anche un curioso fenomeno olfattivo con una serie di apposite piantumazioni (fiori ed alberi profumati) il cui flusso odoroso può essere fruito in varie sequenze sensibili di percorso e di scelta. Le sale espositive La parte tuttavia più consistente del grandioso complesso cultural-artistico del Centro Getty è ovviamente composto dalle sue sale espositive, i cui interni però, non considerando l’eccezione della riproposizione storicistico-pompeiana riferita alla originaria Fondazione, sono meno architettonicamente evidenziati e protagonisti (per quanto molto seguiti nelle metodologie di percezione e di illuminotecnica), per lasciare all’osservatore un pieno godimento degli oggetti collezionati. Non manca però qualche particolare vezzo scenografico negli allestimenti di certi capolavori artistici, di cui può ritenersi esemplare la collocazione del famoso quadro del Cristo entrante a Bruxelles di Ensor, la cui folla in corteo dipinta sulla tela viene ad interferire con la massa dei visitatori reali, creando un impatto visivo cui si sovrappone anche il movimento concreto, delle teste e dei corpi degli spettatori. Un ultimo accorgimento esibitivo curato poi da Meier proviene dal particolare settore informativo sistemato nelle stanze dei sotterranei, comprendente una mostra didattico-illustrativa sulla intera produzione esecutiva del Centro Getty, nella quale si possono visionare gli originali di progetto, dagli elaborati grafici a schizzo fino alle tavole di disegno tecnico ed ai numerosissimi e splendidi plastici lignei di visualizzazione e di studio di questa splendida costruzione, che, risalendo all’aperto nella luce piena del cielo californiano, il frequentatore può direttamente verificare dal vero, e fruire nella autentica oggettività fisica dell’architettura edificata. Consiglia questo progetto ai tuoi amici Commenta questo progetto