Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
Obiettivo primario del progetto è riconsegnare all’uso pubblico l’ex chiesa Sant’Ambrogio di Cantù, significativo edificio del seicento comasco un tempo facente parte dell’omonimo complesso monastico, la cui storia, a partire dalla soppressione dell’istituzione religiosa del 1784, è stata tristemente segnata dagli utilizzi più disparati e impropri (caserma, deposito militare, abitazioni e botteghe), trasformazioni di fortuna, aggiunte di corpi edilizi “senza qualità” e insensati abbattimenti (alla metà dell’Ottocento vengono demoliti la chiesa interna e il campanile e nel 1936, per dare posto al mercato settimanale, i caseggiati del monastero) che ne hanno risparmiato soltanto la struttura principale (ormai completamente isolata e orfana del contesto architettonico originario), e da lunghi periodi di abbandono protrattisi fino alla definitiva acquisizione da parte del Comune (1980) ed alla successiva coraggiosa decisione di arrestarne l’avanzante degrado (che già aveva provocato i crolli di alcune parti della copertura) per destinarlo a sede museale (1992) come Centro Arti Popolari della Città ospitante al suo interno un Museo del Costume e delle Arti decorative. Storia delle fabbrica Le prime notizie storiche risalgono al 1358 e testimoniano la presenza di un “ospedale” di Sant’Ambrogio, mentre la chiesa e il campanile vengono costruiti solo a partire dal 1505. Successivamente le regole liturgiche previste dalla controriforma di San Carlo Borromeo impongono la separazione della chiesa in due spazi distinti (1586): la chiesa interna, riservata alle monache di clausura, e quella esterna, dedicata alle funzioni religiose aperte ai fedeli, poi ulteriormente rinnovata con un ricco apparato decorativo barocco culminante nel ciclo pittorico della cupola, dipinto da Giampaolo e Raffaele Recchi nel 1676. Nel 1784, dopo una lunga crisi economica, l’istituzione religiosa viene definitivamente soppressa. Pochi anni dopo le strutture del monastero ospitano le truppe prima dell’esercito napoleonico (1811) e poi di quello austriaco (1814) che utilizza la chiesa esterna come magazzino militare. Successivamente la proprietà del complesso viene ceduta all’asta e, dopo l’abbattimento della chiesa interna, del campanile e del porticato orientale del monastero (1875–1895), suddivisa in unità d’affitto. Contemporaneamente, a ridosso del lato orientale della chiesa, tramite un lento processo di accrescimento edilizio, prende forma uno stretto corpo di fabbrica adibito a botteghe ed abitazioni. Negli stessi anni il grande spazio interno della chiesa, ancora ricco nella parte alta di pregevoli decorazioni pittoriche (in particolare il ciclo do affreschi della cupola raffigurante l’insolito tema iconografico della Trasfigurazione della Madonna) e a stucco (i capitelli delle pareste e il grande cornicione), nella parte bassa viene parzialmente occupato da due modestissime “abitazioni di fortuna” ricavate chiudendo gli spazi degli altari ovest e sud con due muri disposti ad angolo retto (costruiti con una poverissima muratura mista lasciata a rustico), nei quali si aprono alcune curiose finestrelle che si affacciano sullo spazio interno della chiesa come fosse un cortile privato oppure una piccola piazza urbana coperta. Progetto di conservazione e riuso L’intervento si pone l’obiettivo primario di conservare (con un attenzione quasi archeologica) la fabbrica esistente nella attuale consistenza materica di tutte le sue stratificazioni storiche, indipendentemente dalla fase costruttiva cui appartengono e senza ricorrere a selettive selezioni di parte e che, in nome di una ritrovata lettura del presunto spazio originario barocco, suggerirebbero una sbrigativa eliminazione delle “aggiunte improprie”. Il progetto al contrario sfida queste “brutture” apparentemente prive di qualità, mantenendole quali eloquenti testimonianze materiali della storia “recente” della fabbrica, senz’altro meno nobile di quella seicentesca ma altrettanto autentica e meritevole di essere documentata. L’intento anzi è quello di valorizzare la varietà offerta dall’insolito e per certi versi suggestivo accostamento esistente tra lo spazio monumentale della chiesa molto degradato ma ancora ricco di raffinate decorazioni nella parte alta, ed i minuti spazi domestici dei corpi aggiunti semplicemente definiti da lisce pareti tinteggiate, soffitti lignei ad orditura semplice a vista e pavimenti in cotto. All’interno il percorso museale percorre e coinvolge indistintamente spazi originari e spazi “incongrui” e gli inserimenti progettuali si limitano a creare attraverso un sistema scale-passerella un collegamento “aereo” tra l’ultimo livello del corpo aggiunto sud e il solaio di copertura di quello ovest dove un inaspettato “terrazzo pensile” (destinato a parte di un caffè-bar ed ancorato ai muri perimetrali della chiesa senza gravare sul fragile solaio sottostante) funge da straordinario osservatorio privilegiato per la contemplazione dello splendido apparato decorativo della cupola. Quest’ultimo, consegnatoci dagli accidenti del tempo e dal prolungato abbandono della fabbrica in uno stato di degrado molto avanzato, è stato oggetto di uno scrupoloso intervento finalizzato alla massima conservazione della materia esistente comprese le numerose lacune, diffusamente presenti anche nei tra gli stucchi del cornicione ma tutti mantenuti senza ricorrere ad arbitrari quanto impossibili tentativi di completamento figurativo o pittorico. Esternamente, alla rigorosa conservazione delle tracce di intonaco esistente (lasciato scrupolosamente soprasquadro rispetto alle riprese di nuovo intonaco effettuate per colmare e proteggere la superficie delle numerose lacune presenti) si affianca nuovamente la pratica dell’aggiunta che in questo caso si traduce nell’accostamento a ridosso dei prospetti esistenti di due nuove presenze architettoniche, necessarie all’adeguamento funzionale del manufatto: un corpo d’ingresso a due piani sul lato nord e uno corpo composto su quello sud formato da: una torre di risalita (scala e ascensore) collocata in prossimità dell’ubicazione dell’antico campanile della chiesa (abbattuto alla metà dell’Ottocento assieme alla chiesa interna del monastero) ed un volume espositivo di collegamento tra il nuovo vano scala e tre diversi livelli della fabbrica esistente. Queste architetture parlano un linguaggio dichiaratamente contemporaneo che sottolinea l’autonomia espressiva dell’aggiunta e cerca una consonanza con l’esistente lontana da reverenziali mimetismi, scommettendo con ostinazione quasi provocatoria sulla capacità espressiva del progetto del nuovo. Si tratta di volumi complessi definiti da cortine murarie continue che, a seconda delle esigenze compositive, inaspettatamente si incurvano oppure si inclinano (a strapiombo oppure a scarpata), interrotte soltanto da pochi stretti tagli verticali vetrati, che in diversi punti risolvono per trasparenza il problema dell’accostamento dei muri nuovi con quelli antichi. Il rivestimento esterno dei è composto da una vibratile trama di mattoni policromi la cui complessità di intreccio rimanda al virtuosismo creativo proprio della grande tradizione artistica locale delle raffinate lavorazioni artigianali del pizzo e del merletto. Il rivestimento esterno in mattoni a pasta molle La particolare e complessa trama policroma del rivestimento esterno è attenuta attraverso una sapiente posa di mattoni a pasta molle “tipo a mano” prodotti dalla SanMarco. I mattoni nelle tre differenti colorazioni (rosso, rosato e giallo) appartenenti alla Linea Vivo SanMarco sono in realtà ottenuti con un procedimento produttivo che affonda le sue origini nella tradizione del laterizio e più precisamente nel panorama lombardo tardo rinascimentale quando si producevano mattoni impastando argilla e paglia, come quelli voluti da Filarete per la facciata principale della Cà Granda a Milano. Come allora anche oggi quei mattoni sono “scasserati” dallo stampo attraverso l’utilizzo di un elemento vegetale (limatura fine di legno), anziché la tradizionale sabbia. In questo modo i mattoni così prodotti non presentano “sporcature” o alterazioni propri dei mattoni sabbiati, ma invece manifestano nella loro posa a vista le colorazioni intense e i vibranti movimenti cromatici della argilla naturale. Per la posa dei mattoni a “pasta molle” è stata utilizzata la Malta a Vista Grigia di Gras Calce, una malta idrofugata a norma CE e certificata per un bassissimo contenuto di solfati alcalini: percentuale inferiore allo 0,01%. Questo dato è particolarmente interessante infatti per quanto riguarda il mattone faccia a vista la legge consente un contenuto di solfati fino a uno 0,05%; quindi la Malta a Vista Gras Calce contiene un quantitativo in percentuale di sali ben inferiore rispetto a quelli presenti e permessi nel mattone. Ai fini di eventuali efflorescenze la presenza nella malta di solfati alcalini in queste percentuali è totalmente ininfluente. Tecnologia costruttiva Dal punto di vista strutturale, i corpi aggiunti si accostano ai muri esterni della fabbrica senza gravare su di essi e si reggono su colonne portanti in acciaio che sostengono i solai in c.a. ai quali sono ancorati a loro volta i paramenti esterni, verticali o inclinati. Questi sono realizzati con una tecnologia in larga parte sperimentale composta da una orditura portante di pilastrini metallici (profili standard ad H e ad L di piccola dimensione inclinati a seconda delle esigenze compositive ed ancorati al bordo esterno dei solai soprastanti) tra loro collegati da un sottile strato di calcestruzzo (armato solo con rete elettrosaldata) rivestito e collegato a sua volta (tramite ferri opportunamente sagomati) ad una cortina decorativa in mattoni pieni posati quasi per intero a “dente di sega”. Il getto del calcestruzzo, compiuto a più riprese all’interno dell’intercapedine compresa tra la muratura esterna in laterizio e la casseratura a perdere interna (in pannelli isolanti rivestiti in fibre di legno mineralizzato), consente la completa collaborazione strutturale dei diversi elementi del pacchetto. In questo modo si creano delle murature miste in mattoni faccia a vista di spessore relativamente limitato, già provviste di coibentazione e soprattutto capaci di salire liberamente con una inclinazione sia a scarpata che a strapiombo, allargando il ventaglio già tradizionalmente ampio delle possibilità compositive e narrative offerte dall’architettura del laterizio. TEAM PROGETTUALE Progetto e direzione del lavori: prof. ing. arch. Marco Dezzi Bardeschi Collaboratori: ing. Alessandro Melani ed ing. Giovanni Becattini (strutture corpi nuovi e consolidamenti strutturali), prof. ing. Giancarlo Chiesa (impianti meccanici), prof. arch. Gabriella Guarisco (coordinamento alla progettazione e assistenza di cantiere), arch. Ferdinando Zaccheo (contabilità), arch. Alessandro Campeggi (progettazione esecutiva e assistenza di cantiere per paramento esterni in laterizio), prof. Francesco Paolo Campione (consulenza per l’ordinamento del nuovo museo), ing. Patrizia Tettamanti (pratiche VV.FF.), Mercurio srl (piano della sicurezza), arch. Roberta Peri (ricerca storica). Responsabile del procedimento: arch. Gianpaolo Bellasio. Materiali Rivestimento esterno: Mattoni a vista tipo a “pasta molle”: colore rosso, giallo, rosato (Linea Vivo, SanMarco) Malta a vista colore grigio (Gras Calce) Consiglia questo progetto ai tuoi amici Commenta questo progetto