Decumano Carbon Free: l’anello virtuoso che potrebbe essere applicato a tutti i borghi europei 22/10/2024
A cura di: Adele di Carlo Il professionista che redige un progetto compie un’obbligazione di risultato, vale a dire che è responsabile della realizzazione e della utilizzabilità del progetto stesso. Questo vale sia dal punto di vista strettamente tecnico che giuridico. Infatti se il progetto redatto è inadeguato o irrealizzabile (ad esempio in presenza di errori) dà luogo ad un inadempimento, di conseguenza il committente ha il diritto di rifiutare il compenso dovuto. Cosa succede, invece, se il progetto viene abbandonato prima della sua realizzazione? Il committente è tenuto a pagare il progettista oppure no? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano risponde al quesito. Progetto abbandonato, il committente deve pagare? La sentenza La Corte d’Appello di Milano ha affrontato – e risolto – un tema a lungo dibattuto, ovvero se il committente sia tenuto a pagare la parcella al professionista in caso di abbandono del progetto. La Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 2793 del 23 ottobre 2024, ha rigettato l’appello proposto da un’azienda la quale aveva commissionato la realizzazione di un impianto fotovoltaico. L’azienda in questione aveva ottenuto un finanziamento per la realizzazione dell’opera, tuttavia il professionista non ha svolto l’incarico per la progettazione definitiva, rinunciando alla realizzazione dell’opera. Il committente, inoltre, ha rifiutato il compenso al progettista per via della mancanza della progettazione esecutiva e della irrealizzabilità dell’opera. La Consulenza tecnica del giudice di primo grado aveva stabilito che il progetto preliminare e definitivo non generassero significative differenze tecniche e di costo rispetto ad una eventuale progettazione esecutiva (quest’ultima non realizzata). Da qui la richiesta del professionista incaricato di ricevere comunque il compenso per il lavoro svolto, anche se l’opera non è stata portata a termine. Il parere del CTU Ulteriori dettagli sul caso sono emersi durante la decisione in Corte d’Appello. Nello specifico il committente ha specificato che la relazione del CTU non avesse valutato l’idoneità del progetto e che questa non si potesse ricavare dalla concessione del finanziamento agevolato. In altre parole, secondo il committente, mancava la prova che il progetto presentato potesse essere idoneo all’esecuzione finale. La prova dell’idoneità del progetto Nel risolvere il caso, la Corte d’Appello di Milano non ha accolto la posizione dell’azienda committente, la quale si rifiutava di pagare il professionista. I giudici del secondo grado hanno argomentato la decisione spiegando che il professionista e, in generale, l’appaltatore, deve provare di aver adempiuto la propria obbligazione e che il progetto sia conforme alle regole. Senza la prova, il professionista non può pretendere il pagamento del compenso in sede giudiziale. Inoltre – specifica la Corte d’Appello di Milano – il progetto rappresenta una obbligazione di risultato, quindi il professionista incaricato deve consegnare un progetto utilizzabile anche dal punto di vista tecnico e giuridico. Nel caso in cui l’opera fosse irrealizzabile per errori presenti nel progetto in questione, si verificherebbe un inadempimento. Soltanto in questo caso il committente può legittimamente rifiutare il pagamento del compenso. Nel caso in esame, il professionista ha eseguito il progetto parzialmente per espressa volontà del committente e dunque spetta a lui, in quanto appaltatore, provare che quanto eseguito è conforme alle regole dell’arte e alle previsioni contrattuali; inoltre deve provare che il progetto consegnato è idoneo per poter essere utilizzato. Ciò vuol dire che la volontà di interrompere la collaborazione non esime il progettista dal provare l’esatto adempimento. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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