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Senza dubbio, almeno sotto il profilo statistico, la ripresa c’è, però tutti sentiamo la necessità di qualificarla come “timida” e “fragile” e questo per diverse ragioni, che spaziano dalla scenario internazionale, nel quale il commercio mondiale è in rallentamento, al mercato interno, dove, per esempio, in relazione ai consumi ci sono delle criticità. A questi elementi di fragilità oggettiva, però, si aggiunge, nel racconto della ripresa che c’è, l’incertezza di chi osserva, studia e analizza. È un riflesso, onestamente, di una naturale cautela dovuta all’esperienza degli ultimi venticinque anni. Troppe volte abbiamo sperato in un’inversione di tendenza robusta e troppe volte la macroeconomia del nostro Paese ci ha delusi, costringendoci a rivedere al ribasso le previsioni. Attualmente la ripresa italiana poggia su basi più solide che in passato. Prima di ragionarci voglio sgomberare il campo da potenziali equivoci riguardanti gli effetti dei recenti eventi terroristici, effetti sul livello e sulla dinamica dell’attività economica. Nessuno può prevedere seriamente l’evoluzione del clima di fiducia di imprese e famiglie in funzione di possibili variazioni del livello di sicurezza mondiale, ciò che possiamo fare è dare un’occhiata a com’è andata in passato, basandoci sui dati disponibili. In corrispondenza di eventi terroristici gravi non abbiamo chiare rotture di trend o modificazioni, né della fiducia, né del prodotto lordo. Qualche volta il Pil sale, in corrispondenza di quegli eventi, un’altra volta scende, in alcuni Paesi il clima di fiducia sale, in altre scende. Pertanto, sulla base di quanto accaduto in passato dobbiamo dedurre che le economie occidentali hanno in sé gli anticorpi, dolorosamente creati, per rispondere, dal punto di vista economico, in maniera positiva a questo tipo di shock. D’altra parte – ed è abbastanza banale – se in un futuro prossimo dovessimo essere in presenza di una recrudescenza di questi atti, è chiaro che potremmo anche avvertire delle discontinuità, in termini di clima di fiducia e di livello di attività economica. Per quanto riguarda il clima di fiducia, l’ultima rilevazione solo in parte è stata effettuata dopo il 13 novembre, quindi è possibile che il dato di novembre sia un po’ sovrastimato rispetto a quanto successo a Parigi. L’occupazione e il nostro indicatore dei consumi – ICC – sono crescenti lungo un trend ben impostato, anche se ci sono degli elementi di debolezza negli ultimi mesi. Da questo punto di vista c’è poco da fare: la ripresa c’è. Giusto per renderci conto da dove veniamo, faccio un’elaborazione leggermente complicata ma secondo me utile: a sinistra abbiamo il reddito disponibile pro capite a prezzi costanti, del 2015. Siamo a 17.590 euro e abbiamo recuperato 134 euro, rispetto al minimo di un anno fa, cioè del secondo trimestre del 2014. Se volete, quindi, questa è una testimonianza della ripresa. Tuttavia dobbiamo ricordare che dal minimo del secondo trimestre 2014 al massimo, che era nel quarto trimestre del 2005, avevamo perso € 3.400. È vero quindi che c’è un recupero, ma la perdita, comunque, c’è stata ed è forte, lo vediamo su tutti gli indicatori. Sui consumi la situazione è simile e, pertanto, dobbiamo valutare correttamente che a questi tassi di variazione e di recupero, all’inizio del 2017 potremmo avere 440-460 tra reddito disponibile e consumi in più, rispetto ai minimi. La cosa che secondo me si vede meglio, in termini di elementi critici, è l’assenza di una diffusione della ripresa sul piano territoriale, sul piano dei settori di consumo e sul piano delle formule distributive. Intanto c’è questo problema del divario nord-sud in termini di crescita, cioè il Pil del 2015 lo stiamo sostanzialmente aggiornando, quando ci collocheremo attorno allo 0,8-0,9 comunque avremo uno scarto di oltre 1,5 punti, in termini di crescita tra nord a sud. Il sud dovrebbe crescere allo 0,2%, il centro-nord oltre l’1,5. La legge di stabilità produce 50 miliardi di deficit di più e guardate che qualcuno li pagherà, giusto per ricordarlo. Non solo, ma per rendere coerente questo maggiore deficit contro i patti che noi abbiamo fatto di nostra spontanea volontà, con un governo che ha la fiducia del Parlamento, per essere d’accordo ci sono comunque 35 miliardi di imposte in più, in termini di clausole di salvaguardia, che sono state spostate da oggi a novembre prossimo. Bisogna stigmatizzare la crescente incertezza che i cambiamenti frequenti e repentini dei regimi fiscali hanno prodotto nella percezione soggettiva del valore della ricchezza immobiliare. Fra il 2007 e il 2014 la ricchezza relativa alle sole abitazioni si è ridotta di circa € 12.000 pro capite, che diventano 17.800 considerando gli altri asset reali. Su base aggregata l’Italia ha visto evaporare 700 miliardi di euro di ricchezza. Queste perdite, come detto, sono concentrate nel 2012. Vi sono buone ragioni per immaginare un’imposta sulle abitazioni private, ragioni legate alla necessità dei tributi propri per gli enti decentrati. Non vi sono però buone ragioni, logiche, per tassare gli immobili produttivi. Gli immobili produttivi non costituiscono riserva di valore, ma valore da mettere a reddito per espandere la ricchezza e l’occupazione. Negli ultimi due anni si è manifestata una particolarità italiana che non può non avere a che fare con le vicissitudini di Ici, Imu, Tasi, eccetera. Rispetto al 2013 – questi sono dati ufficiali – a metà dell’anno in corso i prezzi degli immobili sono mediamente cresciuti del 25% in Irlanda, del 10% in Portogallo e Austria, attorno al 5% in Germania, in Spagna e in Olanda, sono rimasti stabili in Belgio e sono scesi dell’8% in Italia. Non può essere un caso. La ripresa nel settore delle costruzioni è comunque testimoniata sia dal clima di fiducia delle imprese del settore sia dai dati sull’occupazione. In relazione alla ripresa degli investimenti residenziali e nonostante fonti attendibili denuncino un alto livello di invenduto di case nuove, l’effetto di traino si fa sentire sui beni durevoli e sulle stime di crescita della manutenzione ordinaria delle abitazioni, cioè la ripresa è marcata anche se i livelli di spesa del recente passato sono naturalmente ancora lontani. Negli ultimi mesi un po’ tutti hanno rivisto al rialzo le previsioni macroeconomiche, dopo che avevano definito le nostre troppo ottimistiche: ed effettivamente lo sono, ma non tanto quanto si immaginava, nel senso che sulla chiusura dell’anno in corso, a questo punto, raggiungere l’1,1% è impossibile, ma 0,8-0,9 dovrebbe essere alla portata. Mariano Bella Direttore Ufficio Studi Confcommercio – Imprese per l’Italia – Fonte ANGAISA Prospettive economiche, fiscalità e consumi 2 Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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