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Arrivano le risorse a disposizione di tutti i Paesi. E’ un passaggio storico messo a punto dall’Europa. Una sintesi di posizioni diverse che mantiene però inalterata la cifra totale del bazooka. All’Italia andranno 209 miliardi, pari al 28% dell’intera somma. Al cuore dell’accordo l’Europa ha piantato la transizione ecologica e il digitale. di Tommaso Tetro Indice degli argomenti: La suddivisione del Piano Ue Le condizioni ambientali e digitali Caccia alle idee Spendere bene e spendere subito La compatibilità verde Una risposta comune all’emergenza, con le risorse di tutti gli Stati. A disposizione di tutti i Paesi, che prima dovranno indicare un programma di riforme, indicando spese e investimenti. E’ un passaggio storico l’accordo sul Recovery Fund messo a punto dall’Europa. Una sintesi, non facile, di posizioni diverse che mantiene però inalterata la cifra totale del bazooka a 750 miliardi. Anche se scendono alcune cifre. Come il pezzo riguardante i sussidi da 500 a 390 miliardi, e viene scambiato il peso tra trasferimenti a fondo perduto e i prestiti da 250 a 360 miliardi. All’Italia andranno 209 miliardi, 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti, pari al 28% dell’intera somma. Ma pur diminuendo la quota delle sovvenzioni, viene rafforzata di 15 miliardi la parte sostanziale della Resilience recovery facility – che prevede allocazioni dirette ai Paesi – che aumenta così da 310 a 325 miliardi. Un taglio riguarda invece la parte di trasferimenti suddivisi tra vari programmi. E, nodi politici permettendo, c’è un plus di 36 miliardi con il pacchetto di risorse del Mes, dedicate alla sanità. La suddivisione del Piano Ue Recovery and resilience facility: è la parte principale del piano e ora conta su 325 miliardi di trasferimenti a fondo perduto. Si tratta di risorse che vengono allocate direttamente agli Stati membri secondo precisi criteri di ripartizione. React-Eu: scende a 45 miliardi (da 50) di sussidi veicolati attraverso la politica di coesione verso i territori più colpiti dalla crisi. Horizon Europe: scende a 11,5 miliardi (da 13,5) di sussidi la dotazione aggiuntiva per sostenere la ricerca in Europa. InvestEU (ex piano Juncker): scende a 11,5 miliardi di sussidi (da 30,3) la dotazione per mobilitare nuovi volumi di investimenti. Solvency support instrument: viene azzerato (meno 26 miliardi) il fondo a sostegno delle aziende entrate in crisi a causa del coronavuirus. Fondo agricolo per lo sviluppo rurale: scende a 10 miliardi (meno 5) la dotazione supplementare di 15 miliardi di sussidi per azioni in linea con il Green deal. Just transition fund: passa a 10 miliardi da 30 la dotazione integrativa per finanziare azioni di sostegno ai territori più in difficoltà sulla transizione ecologica. RescuEu: resta invariata a due miliardi di sussidi la dotazione per rafforzare la protezione civile Ue. Eu4Healt: il nuovo programma europeo per la sanità scende a 5 miliardi di sussidi (da 7,7). Azione esterna: scende a 10 miliardi di sussidi (da 15,5). Le condizioni ambientali e digitali Ora, sarà tutto nuovo. A cominciare dal modello di economia che dovrà spingerci fuori dalla crisi. Al cuore del Recovery Fund – che comunque vale 750 miliardi di euro – l’Europa ha piantato la transizione ecologica e il digitale. Quasi fossero delle implicite condizionalità. Uno schema, quello delle condizionalità ambientali, di cui non si può fare a meno immaginando la prossima società che si intende costruire. E che, l’emergenza dettata dal coronavirus, ha accelerato in tutte le sue estensioni, mettendo in evidenza ogni tipo di fragilità che, ancora fino a pochi mesi fa, tentavamo di nascondere, come polvere, sotto il tappeto dell’immobilismo. Ora, invece: basta scuse. Non c’è alibi che tenga. Ci sono le risorse. C’è il debito comune Europeo. E c’è per una volta almeno l’opportunità di occupare la prima posizione: l’Italia infatti è in cima alla lista dei Paesi per i fondi che le verranno destinati. Ci sarebbe anche un governo per spendere questi 209 miliardi; ai quali potrebbero aggiungersi anche i 36 miliardi con la richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (il Mes), che spesso viene chiamato Fondo salva-Stati evocando così, con una nota, scenari di rigidità economica per la restituzione del prestito. I progetti sul digitale e la transizione ecologica, con il Green deal, sono ormai delle pre-condizioni, e non più soltanto degli indicatori di valutazione. In base a questo ragionamento bisognerebbe rivedere fin da subito i quasi 20 miliardi che vanno in sussidi ambientalmente dannosi, anche perché la commissione Ue dallo sviluppo sostenibile intende partire. Non soltanto però una strada da percorrere; quella ambientale, insieme con quella digitale, potrebbe – stando alle indiscrezioni sui gruppi di lavoro essere anche un modo per recuperare soldini buoni per recuperare le risorse che il Recovery fund mette a disposizione: si pensa infatti a una tassa sulle emissioni inquinanti che rendono pericolosa l’aria che respiriamo (la carbon tax), a una tassa sulla plastica (la plastic tax), e anche a una ‘vera’ tassa per i grandi latifondisti post-moderni del mondo digitale (la web tax). Caccia alle idee Spendere bene, e spendere presto. La sensazione era di essere ancora una volta – anche in questa dura crisi che ha piegato, e piagato, il nostro Paese – la ‘grande dimenticata’ dell’Ue. Invece l’Italia si ritrova in una situazione unica: la Bce che compra debito a pieno ritmo, l’Europa che decide di destinare a noi le risorse più consistenti pari a 209 miliardi, il Patto di stabilità sospeso, lo scostamento di bilancio per una nuova manovra da 25 miliardi, e il possibile arrivo anche del Mes. Ci sono risorse per pianificare i prossimi 20 anni del Paese che si vuole costruire. Un futuro che è tutto nelle mani del governo. E delle idee che riuscirà a scovare. La caccia è aperta, insomma. E le ipotesi – che piace sia a un pezzo di maggioranza che alle opposizioni – di una commissione Bicamerale, oltre alla costituzione di una task-force ad hoc, puntano in questa direzione. Gli interventi dovranno essere calibrati per la crescita, lo sviluppo sostenibile, la transizione tecnologica in chiave ambientale della filiera industriale. Il programma nazionale di riforma, che di solito viene scritto in contemporanea al documento di programmazione economica e finanziaria, offre la base per mettere a punto le aree su cui lavorare dando anche delle indicazioni specifiche. Di sicuro il Recovery Plan che l’Italia proverà a presentare a settembre dovrà essere in linea con le ‘regole’ immaginate dalla commissione Europea che, nelle scelte di Ursula von der Leyen, sono già abbastanza delineate: è chiaro infatti che Green deal ed economia circolare saranno al centro dei progetti dell’Ue insieme con una spinta decisa sul digitale. Spendere bene e spendere subito Anche qualcosa di non scritto dovrà farne parte, forse più di ogni altra. E cioè: pensare non alla scadenza elettorale ma un orizzonte temporale di medio e lungo periodo che riesca soprattutto ad abbracciare e accompagnare verso l’età adulta, e lavorativa, i giovani, i diciottenni di oggi, a essere la futura classe dirigente del Paese. Una sfida per l’Italia che spesso, per colpa della burocrazia, non ha saputo spendere i fondi strutturali europei che aveva a disposizione, perdendo il treno dell’innovazione e aumentando il ritardo infrastrutturale e il gap impiantistico con il resto degli Stati. L’obiettivo prioritario è “incrementare fortemente gli investimenti pubblici”, puntando nei prossimi quattro anni ad “almeno un punto percentuale in rapporto al Pil rispetto al 2019”. Primo punto dovrà essere il rafforzamento della resilienza e la capacità del sistema sanitario, a cominciare dagli operatori sanitari, dall’assistenza essenziale, dai presidi territoriali. E ancora tra le raccomandazioni all’Italia c’è la tutela dell’occupazione, l’offerta di liquidità all’economia, investimenti nel Green deal e nel digitale, l’efficientamento della P.a. e la riforma del sistema giudiziario. La parte preponderante in quanto a volumi la prenderanno le infrastrutture, come il 5G, la fibra, i trasporti, la rete autostradale e quella ferroviaria. E non andrebbe sottovalutato il nucleo di risorse da spendere per istruzione e ricerca; cosa che mentre settembre si avvicina richiede un’attenzione sempre più particolare. La compatibilità verde “Stiamo andando a tutta velocità, lavoriamo sodo perché il Recovery Fund entro la fine dell’anno sia a disposizione dei suoi destinatari; i governi sanno che spendere in investimenti in questo momento può fin d’ora essere contabilizzato nel prossimo Recovery Fund, purché compatibili con il Green deal. L’Europa non è ancora fuori dall’emergenza, ma siamo arrivati ad un grande spartiacque, che abbiamo superato rimanendo uniti”. Per il ministro dell’Ambiente Sergio Costa “ora che ci sono i soldi penso che si debba pensare a un cuneo fiscale ambientale. Una diminuzione del costo del lavoro per le aziende che si impegnano a investire nell’economia green, secondo criteri fissati dal Parlamento. Abbiamo adesso un’enorme opportunità e responsabilità quella di traghettare l’Italia verso una ripresa economica più sostenibile e inclusiva, alimentando con i fondi a disposizione il Green deal”. I fondi arriveranno nel 2021, ma il 10% dei sussidi, più o meno 8 miliardi potranno essere anticipati e finanziare progetti già avviati. L’Italia dovrà indicare le riforme che intende realizzare tenendo conto delle raccomandazioni Ue che tra le altre cose indicano di rivedere pensioni, lavoro, giustizia, Pubblica amministrazione, sanità e istruzione. Ora si tratta di riuscire a combinare le misure d’emergenza con le strategie per il futuro. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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